Commento al Vangelo del 19 marzo 2017 – d. Giacomo Falco Brini

IL POZZO E’ PROFONDO

Alcuni anni fa mi trovavo con un fratello sacerdote in una località balneare per un breve periodo di riposo. Eravamo soliti trovare un po’ d’ombra presso un piccolo pino marittimo, molto vicino alla spiaggia libera dove ci recavamo; lì sotto lasciavamo il telo per asciugarci e il nostro zaino. Quel pomeriggio, rientrando dal mare dopo un bel bagno, ci sdraiammo al solito posto ma ci accorgemmo che c’erano anche altri teli e alcune borse. Dopo qualche minuto, due giovani donne si avvicinarono con passo rapido. Intuimmo che dovevano essere le proprietarie di quelle cose e allora, spontaneamente, ci alzammo per far spazio, affinché potessero anche loro godere dell’ombra del pino. Una di esse, vedendo il nostro comportamento, cominciò a scusarsi con noi. Quel mio confratello la rassicurò dicendo che l’ombra dell’albero era lì per tutti e che potevano tranquillamente prendere posto perché c’era spazio a sufficienza. Ma quella donna, dopo una furtiva occhiata con l’amica, ci rivolse uno sguardo piuttosto ammiccante e, con modalità sprezzantemente sfidante, ci disse: “e perché mai ci date spazio? Dovremmo forse darvi qualcosa in cambio?…”

A parte la constatata, imperante sfiducia nei confronti di chi oggi può compiere un atto gratuito, quell’episodio mi fece ricordare il racconto della donna di Samaria con Gesù al pozzo. La richiesta d’acqua del Signore dovette inizialmente suonargli come una indebita avance: un giudeo giammai avrebbe parlato con una samaritana, quindi tanto meno l’avrebbe mai “abbordata” in luogo pubblico (Gv 4,9). Come mai quell’uomo le faceva una simile richiesta? Ma soprattutto, come mai quella donna venne al pozzo per attingere acqua a mezzogiorno (Gv 4,6), quando normalmente ci si reca nelle ore fresche dell’alba e del tramonto? Sembrerebbe volutamente, per starsene da sola. Come se il vangelo, con infinita discrezione, ci volesse presentare la sua solitudine. Eppure, presso un pozzo, Giacobbe corteggiò Rachele (Gen 29,9ss.) che poi sposò; Mosè incontrò la sua futura sposa Zippora tra le figlie di Reuel (Es 2,10-22): un richiamo evidente dell’evangelista Giovanni per dirci che c’è qualcosa di più, dietro il gioco di fraintendimenti sull’acqua, che cresce progressivamente nel dialogo tra Gesù e quella donna. La scena del racconto, concentrata sul loro incontro, diventa paradigmatica di ogni esperienza di fede. Il Signore nel suo bisogno molto umano di bere acqua scopre la sua sete, affinché la donna possa, poco a poco, scoprire la propria sete più profonda e insoddisfatta.

E il pozzo è lì, sullo sfondo, a ricordarci che il cuore umano è un pozzo molto profondo, ovvero senza fondo, fatto per ricevere e dare acqua. Ma c’è acqua e acqua (Gv 4,10-15). C’è l’acqua stagnante e morta, segno di una vita spenta e infeconda (cfr. Ger 2,13), e c’è l’acqua che zampilla per la vita eterna. Gesù è la sorgente venuta a farci dono di quest’ultima per una vita piena e felice. Il suo dono supera ogni umana attesa: l’acqua viva è il suo amore gratuito, lo Spirito Santo che ci è stato donato (cfr. Rm 5,5). Il racconto nella sua interezza sembra ordinare al lettore un percorso preciso per poter farne esperienza. Infatti, giunge a trovare quest’acqua solo chi accetta la sfida della profondità. Giunge a trovarla solo chi ha il coraggio della verità (Gv 4,18).

Nel mondo in cui viviamo e ci muoviamo, da un lato la cultura mediatica sembra creata “ad hoc” per non farci scendere in profondità davanti alla nostra e altrui esistenza; da un altro lato, quella stessa cultura è impegnatissima a parlare e far parlare sulle cose umane più profonde e delicate fino a farne un pubblico spettacolo, come se tutti ne potessero opinare con competenza. Ogni riferimento a talk-show e programmi melodrammatici di successo non è per niente casuale: lì, in qualunque caso, la profondità del cuore umano o viene evitata/mascherata oppure è banalizzata. Il vangelo di oggi, invece, suggerisce un habitat diverso affinché il cuore umano possa fare la verità in sé e quindi vivere in profondità, scoprendo l’acqua viva di cui parla Gesù. Il dinamismo dell’incontro che leggiamo nel vangelo si distende lentamente: c’è tutto il tempo necessario per l’emergere di pregiudizi, di altre difese e domande da parte della donna davanti agli occhi accoglienti dello sconosciuto Rabbi giudeo. Questo ci ricorda che non c’è incontro vero con sé stessi, con Dio e con gli altri se non ci si regala il tempo e l’apertura necessari. Inoltre, ci ricorda che ci vuole disponibilità a discendere negli inferi dei propri insuccessi, dove celiamo a noi stessi e agli altri ciò che più ci vergogna (Gv 4,16-18). Quando la samaritana tocca, accompagnata da Gesù, la verità di sé, incontra la verità di Dio che risplende sul volto di Cristo: Egli non la giudica e riconosce la sua sincerità. Spinta dall’acqua sotterranea della propria anima si apre a riconoscere in Lui il tanto atteso Messia; esce dalla sua infelice solitudine e può annunciare a tutti la gioia di averlo forse incontrato. Quando l’acqua di Gesù ci raggiunge, spinge sempre chi ne ha sentito in profondità la sete, a cercare gli altri per renderli partecipi (Gv 4,25-30.39)  

Fonte: il blog di d. Giacomo Falco Brini, Predicatelo sui tetti

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III Domenica del Tempo di Quaresima

Gv 4, 5-42
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 19 – 25 Marzo 2017
  • Tempo di Quaresima III, Colore viola
  • Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 3

Fonte: LaSacraBibbia.net

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