Cari Confratelli,
sono lieto per questo momento di preghiera giubilare, che, oltre a richiamarci come Pastori a riscoprire le radici della Misericordia, è occasione per rinnovare, attraverso di voi, il legame tra il Successore di Pietro e le diverse Chiese locali presso le quali siete portatori e artigiani di quella comunione che è linfa per la vita della Chiesa e per l’annuncio del suo messaggio. Ringrazio il Cardinale Parolin per le sue parole e la Segreteria di Stato per la generosità con cui ha preparato queste giornate di incontro.
Benvenuti a Roma! Riabbracciarla in quest’ora giubilare ha per voi un significato speciale. Qui dimorano tante delle vostre sorgenti e delle vostre memorie. Qui siete arrivati ancora giovani con il proposito di servire Pietro, qui ritornate spesso per incontrarlo, e da qui continuate a ripartire come suoi inviati portando il suo messaggio, la sua vicinanza, la sua testimonianza. Infatti, qui Pietro c’è fin dagli albori della Chiesa; qui Pietro c’è oggi nel Papa che la provvidenza ha voluto che ci fosse; qui Pietro ci sarà domani, ci sarà sempre! Così ha voluto il Signore: che l’umanità impotente, che di per sé sarebbe soltanto pietra d’inciampo, diventasse per divina disposizione roccia incrollabile.
[ads2]Ringrazio ognuno di voi per il servizio che svolge al mio ministero. Grazie per l’attenzione con cui raccogliete dalle labbra del Papa la confessione sulla quale poggia la Chiesa di Cristo. Grazie per la fedeltà con la quale voi interpretate con il cuore indiviso, con la mente integra, con la parola senza ambiguità quanto lo Spirito Santo chiede a Pietro di dire alla Chiesa in questo momento. Grazie per la delicatezza con la quale “auscultate” il mio cuore di Pastore universale e cercate di far sì che tale respiro raggiunga le Chiese cui sono chiamato a presiedere nella carità.
Vi ringrazio per la dedizione e per la pronta e generosa disponibilità della vostra vita densa d’impegni e segnata da ritmi spesso difficili. Voi toccate con mano la carne della Chiesa, lo splendore dell’amore che la rende gloriosa, ma anche le piaghe e le ferite che la fanno mendicante di perdono. Con genuino senso ecclesiale e umile ricerca di conoscenza di svariati problemi e tematiche, rendete la Chiesa e il mondo presenti al cuore del Papa. Leggo quotidianamente, per lo più alla mattina presto e alla sera, le vostre “comunicazioni” con le notizie sulle realtà delle Chiese locali, sulle vicende dei Paesi presso cui siete accreditati e sui dibattiti che incombono sulla vita della Comunità internazionale. Di tutto questo vi sono grato! Sappiate che vi accompagno ogni giorno – spesso con nome e volto – con il ricordo amico e la preghiera fiduciosa. Vi ricordo nell’Eucaristia. Siccome non siete Pastori diocesani e il vostro nome non viene pronunciato in alcuna Chiesa particolare, sappiate che il Papa in ogni anafora vi ricorda come estensione della propria persona, come inviati suoi per servire con sacrificio e competenza, accompagnando la Sposa di Cristo e i Popoli nei quali essa vive.
Vorrei dirvi alcune cose.
1. Servire con sacrificio come umili inviati
Il Beato Paolo VI, nel riformare il servizio diplomatico della Santa Sede, così scrisse: «L’attività del Rappresentante Pontificio reca innanzitutto un prezioso servizio ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e a tutti i cattolici del luogo, i quali trovano in lui sostegno e tutela, in quanto egli rappresenta un’Autorità Superiore, che è a vantaggio di tutti. La sua missione non si sovrappone all’esercizio dei poteri dei Vescovi, né lo sostituisce o intralcia, ma lo rispetta e, anzi, lo favorisce e sostiene col fraterno e discreto consiglio» (Lett. ap. Sollicitudo omnium Ecclesiarum: AAS 61 [1969], 476).
Nel vostro operare, dunque, siete chiamati a portare ad ognuno la carità premurosa di chi rappresentate, diventando così colui che sostiene e tutela, che è pronto a sorreggere e non solo a correggere, che è disponibile all’ascolto prima di decidere, a fare il primo passo per eliminare tensioni favorire comprensione e riconciliazione.
Senza l’umiltà nessun servizio è possibile o fecondo. L’umiltà di un Nunzio passa attraverso l’amore per il Paese e per la Chiesa in cui si è chiamati a servire. Passa per l’atteggiamento sereno di stare dove il Papa l’ha voluto e non con il cuore distratto dall’attesa della prossima destinazione. Essere lì per intero, con mente e cuore indivisi; smontare le proprie valigie per condividere le ricchezze che si portano con sé, ma anche per ricevere quanto non si possiede ancora.
Sì, è necessario valutare, paragonare, rilevare quelli che possono essere i limiti di un percorso ecclesiale, di una cultura, di una religiosità, della vita sociale e politica per formarsi e poter riferire un’idea esatta della situazione. Guardare, analizzare e riferire sono verbi essenziali ma non sufficienti nella vita di un Nunzio. Serve anche incontrare, ascoltare, dialogare, condividere, proporre e lavorare insieme, perché traspaia un sincero amore, simpatia, empatia con la popolazione e la Chiesa locale. Ciò che i cattolici, ma anche la società civile in senso lato vogliono e devono percepire è che, nel loro Paese, il Nunzio si trova bene, come a casa sua; si sente libero e felice di instaurare rapporti costruttivi, condividere la vita quotidiana del posto (cucina, lingua, usanze), esprimere le proprie opinioni e impressioni con grande rispetto e senso di prossimità, accompagnare con lo sguardo che aiuta a crescere.
Non basta puntare il dito o aggredire chi non la pensa come noi. Ciò è una misera tattica delle odierne guerre politiche e culturali, ma non può essere il metodo della Chiesa. Il nostro sguardo dev’essere esteso e profondo. La formazione delle coscienze è il nostro primordiale dovere di carità e ciò richiede delicatezza e perseveranza nella sua attuazione.
Certamente è ancora attuale la minaccia del lupo che dall’esterno rapisce e aggredisce il gregge, lo confonde, crea scompiglio, lo disperde e lo distrugge. Il lupo ha le stesse sembianze: incomprensione, ostilità, malvagità, persecuzione, rimozione della verità, resistenza alla bontà, chiusura all’amore, ostilità culturale inspiegabile, diffidenza e così via. Voi ben sapete di che pasta è fatta l’insidia dei lupi d’ogni genere. Penso ai cristiani in Oriente, verso i quali il violento assedio sembra mirare, con il silenzio complice di tanti, alla loro eradicazione.
Non si chiede l’ingenuità degli agnelli, ma la magnanimità delle colombe e l’astuzia e la prudenza del servo saggio e fedele. È bene tenere gli occhi aperti per riconoscere da dove vengono le ostilità e per discernere le vie possibili per contrastare le sue cause e affrontare le sue insidie. Tuttavia, vi incoraggio a non indugiare in un clima di assedio, a non cedere alla tentazione di piangersi addosso, di fare le vittime di chi ci critica, ci pungola e talora anche ci denigra. Spendete le vostre migliori energie per far risuonare ancora nell’anima delle Chiese che servite la gioia e la potenza della beatitudine proclamata da Gesù (cfr Mt 5,11).
Restare pronti e felici di spendere (talora anche perdere) tempo con vescovi, preti, religiosi, parrocchie, istituzioni culturali e sociali, in definitiva è ciò che “fa il lavoro” del Nunzio. In queste occasioni si creano le condizioni per imparare, ascoltare, far passare messaggi, conoscere problemi e situazioni personali o di governi ecclesiali che vanno affrontate e risolte. E non c’è nulla che faciliti il discernimento e l’eventuale correzione più della vicinanza, della disponibilità e della fraternità. E per questo per me è molto importante: vicinanza, disponibilità e fraternità con le Chiese locali. Non si tratta di una supina strategia per raccogliere informazioni e manipolare realtà o persone, ma di un atteggiamento che si addice a chi non è solo un diplomatico di carriera, né appena uno strumento della sollecitudine di Pietro, ma anche un Pastore dotato della capacità interiore di testimoniare Gesù Cristo. Superate la logica della burocrazia che spesso può impadronirsi del vostro lavoro – si capisce, è naturale – rendendolo chiuso, indifferente e impermeabile.
La sede della Nunziatura Apostolica sia veramente la “Casa del Papa”, non solo per la sua tradizionale festa annuale, ma come luogo permanente, dove tutta la compagine ecclesiale possa trovare sostegno e consiglio, e le autorità pubbliche un punto di riferimento, non solo per la funzione diplomatica, ma per il carattere proprio e unico della diplomazia pontificia. Vigilate affinché le vostre Nunziature non diventino mai rifugio degli “amici e amici degli amici”. Fuggite dai pettegoli e dagli arrivisti.
Il vostro rapporto con la comunità civile si ispiri all’immagine evangelica del Buon Pastore, capace di conoscere e di rappresentare le esigenze, i bisogni e la condizione del gregge, specie quando gli unici criteri che li determinano sono il disprezzo, la precarietà e lo scarto. Non abbiate paura di spingervi fino a frontiere complesse e difficili, perché siete Pastori ai quali importa davvero il bene delle persone.
Nell’ingente compito di garantire la libertà della Chiesa di fronte ad ogni forma di potere che voglia far tacere la Verità, non illudetevi che questa libertà sia solo frutto d’intese, accordi e negoziati diplomatici, per quanto perfetti e riusciti. La Chiesa sarà libera solo se le sue istituzioni potranno operare per «annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 23), ma anche se si manifesterà come vero segno di contraddizione rispetto alle mode ricorrenti, alla negazione della Verità evangelica e alle facili comodità che spesso contagiano anche i Pastori e il loro gregge.
Ricordatevi che rappresentate Pietro, roccia che sopravvive allo straripare delle ideologie, alla riduzione della Parola alla sola convenienza, alla sottomissione ai poteri di questo mondo che passa. Dunque, non sposate linee politiche o battaglie ideologiche, perché la permanenza della Chiesa non poggia sul consenso dei salotti o delle piazze, ma sulla fedeltà al suo Signore che, diversamente dalle volpi e dagli uccelli, non ha tana né nido per poggiare il proprio capo (Mt 8,18-22).
La Chiesa Sposa non può poggiare il capo se non sul petto trafitto del suo Sposo. Da lì sgorga il suo vero potere, quello della Misericordia. Non abbiamo il diritto di privare il mondo, anche nei forum dell’azione diplomatica bilaterale e multilaterale e nei grandi ambiti del dibattito internazionale, di questa ricchezza che nessun’altro può donare. Questa consapevolezza ci spinge a dialogare con tutti, e in molti casi a farci voce profetica degli emarginati per la loro fede o la loro condizione etnica, economica, sociale o culturale: «Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera d’indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo» (Bolla Misericordiae Vultus, 15).
2. Accompagnare le Chiese con il cuore di Pastori
La molteplicità e complessità dei problemi da affrontare nel quotidiano non vi deve distrarre dal cuore della vostra missione apostolica, che consiste nell’accompagnare le Chiese con lo sguardo del Papa, che non è altro che quello di Cristo, Buon Pastore.
E per accompagnare bisogna muoversi. Non basta la fredda carta delle missive e dei rapporti. Non basta imparare per sentito dire. Bisogna vedere in loco come il buon seme del Vangelo si va diffondendo. Non attendete che le persone vengano da voi per esporvi un problema o desiderose di risolvere una questione. Recatevi nelle diocesi, negli istituti religiosi, nelle parrocchie, nei seminari, per capire cosa il Popolo di Dio vive, pensa e domanda. Siate cioè vera espressione di una Chiesa “in uscita”, di una Chiesa “ospedale da campo”, capaci di vivere la dimensione della Chiesa locale, del Paese e dell’Istituzione presso cui siete inviati. Conosco il grande volume di lavoro che vi attende, ma non lasciate che sia soffocata la vostra anima di Pastori generosi e vicini. Proprio questa vicinanza – vicinanza! – è oggi condizione essenziale per la fecondità della Chiesa. Le persone hanno bisogno di essere accompagnate. Serve loro una mano sulla spalla per non smarrire la strada o non scoraggiarsi.
Accompagnare i Vescovi sostenendo le loro migliori forze e iniziative. Aiutarli ad affrontare le sfide e a trovare le soluzioni che non ci sono nei manuali, ma sono frutto del discernimento paziente e sofferto. Incoraggiare ogni sforzo per la qualificazione del clero. La profondità è una sfida decisiva per la Chiesa: profondità della fede, dell’adesione a Cristo, della vita cristiana, della sequela e del discepolato. Non bastano vaghe priorità e teorici programmi pastorali. Bisogna puntare sulla concretezza della presenza, della compagnia, della vicinanza, dell’accompagnare.
Una mia viva preoccupazione riguarda la selezione dei futuri Vescovi. Ne ho parlato a voi nell’anno 2013. Parlando alla Congregazione per i Vescovi qualche tempo fa, ho tracciato il profilo dei Pastori che ritengo necessari alla Chiesa di oggi: testimoni del Risorto e non portatori di curriculum; Vescovi oranti, familiarizzati con le cose dell’“alto” e non schiacciati dal peso del “basso”; Vescovi capaci di entrare “in pazienza” alla presenza di Dio, così da possedere la libertà di non tradire il Kerygma loro affidato; Vescovi pastori e non principi e funzionari. Per favore!
Nel complesso compito di rintracciare in mezzo alla Chiesa coloro che Dio ha già individuato nel proprio cuore per guidare il suo Popolo, una parte sostanziale tocca a voi. Siete voi i primi a dover scrutare i campi per accertarvi su dove sono rintanati i piccoli David (cfr 1 Sam 16,11-13): ci sono, Dio non li fa mancare! Ma se andiamo sempre a pescare nell’acquario, non li troveremo!
Bisogna smuoversi per cercarli. Girare per i campi con il cuore di Dio e non con qualche prefissato profilo di cacciatori di teste. Lo sguardo con il quale si cerca, i criteri per valutare, i tratti della fisionomia ricercata non possono essere dettati dai vani intenti con i quali pensiamo di poter programmare nelle nostre scrivanie la Chiesa che sogniamo. Perciò, bisogna lanciare le reti al largo. Non ci si può accontentare di pescare negli acquari, nella riserva o nell’allevamento degli “amici degli amici”. In gioco c’è la fiducia nel Signore della storia e della Chiesa, che non trascura mai il loro bene, e perciò non dobbiamo tergiversare. La domanda pratica, che mi viene adesso da dire, è: ma non ce n’è un altro? Quella di Samuele al padre di Davide: “Ma non c’è un altro?” (cfr 1 Sam 16,11). E andare a cercare. E ci sono! Ce ne sono!
3. Accompagnare i popoli nei quali è presente la Chiesa di Cristo
Il vostro servizio diplomatico è l’occhio vigile e lucido del Successore di Pietro sulla Chiesa e sul mondo! Vi prego di essere all’altezza di tale nobile missione, per la quale dovete continuamente prepararvi. Non si tratta solo di acquisire contenuti su temi, tra l’altro mutevoli, ma di una disciplina di lavoro e di uno stile di vita che permetta di apprezzare anche le situazioni di routine, di cogliere i cambiamenti in atto, di valutare le novità, saperle interpretare con misura e suggerire azioni concrete.
È la velocità dei tempi a domandare una formazione permanente, evitando di dare tutto per scontato. A volte il ripetersi del lavoro, i numerosi impegni, la mancanza di nuovi stimoli alimenta una pigrizia intellettuale che non tarda a produrre i suoi frutti negativi. Un serio e continuo approfondimento gioverebbe a superare quella frammentazione per cui individualmente si cerca di svolgere al meglio il proprio lavoro, però senza alcun, o con assai poco, coordinamento e integrazione con gli altri. Non pensate che il Papa non sia consapevole della solitudine (non sempre “beata” come per gli eremiti e i Santi) in cui vivono non pochi Rappresentanti Pontifici. Sempre penso al vostro stato di “esuli”, e nelle mie preghiere chiedo continuamente che in voi non venga mai meno quella colonna portante che consente l’unità interiore e il senso di profonda pace e fecondità.
L’esigenza che sempre più dovremo fare nostra è quella di operare in una rete unitaria e coordinata, necessaria per evitare una visione personale che spesso non regge di fronte alla realtà della Chiesa locale, del Paese o della Comunità internazionale. Si rischia di proporre una visione individuale che certamente può essere frutto di un carisma, di un profondo senso ecclesiale e di capacità intellettuale, ma non è immune da una certa personalizzazione, da emotività, da sensibilità differenti e, non per ultimo, da situazioni personali che condizionano inevitabilmente il lavoro e la collaborazione.
Grandi sono le sfide che ci attendono nei nostri giorni e non mi sento di tratteggiare un elenco. Voi le conoscete. Forse è anche più saggio intervenire sulle loro radici. Come si va progressivamente disegnando, la diplomazia pontificia non può essere estranea all’urgenza di rendere palpabile la misericordia in questo mondo ferito e frantumato. La misericordia deve essere la cifra della missione diplomatica di un Nunzio Apostolico, il quale, oltre allo sforzo etico personale, deve possedere la ferma convinzione che la misericordia di Dio s’inserisce nelle vicende di questo mondo, nelle vicende della società, dei gruppi umani, delle famiglie, dei popoli, delle nazioni. Anche nell’ambito internazionale, essa comporta il non considerare mai niente e nessuno come perduto. L’essere umano non è mai irrecuperabile. Nessuna situazione è impermeabile al sottile e irresistibile potere della bontà di Dio che mai desiste nei riguardi dell’uomo e del suo destino.
Questa radicale novità di percezione della missione diplomatica libera il Rappresentante Pontificio da interessi geopolitici, economici o militari immediati, chiamandolo a discernere nei suoi primi interlocutori governativi, politici e sociali e nelle istituzioni pubbliche l’anelito a servire il bene comune e a fare leva su questo tratto, anche se talora si presenta offuscato o mortificato da interessi personali e corporativi o da derive ideologiche, populistiche o nazionalistiche.
La Chiesa, pur senza sottovalutare l’oggi, è chiamata a lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Deve sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. Ci sarà sempre la tensione tra pienezza e limite, ma alla Chiesa non serve occupare spazi di potere e di autoaffermazione, bensì far nascere e crescere il seme buono, accompagnare pazientemente il suo sviluppo, gioire con la provvisoria raccolta che si può ottenere, senza scoraggiarsi quando un’improvvisa e gelida tempesta rovina quanto sembrava dorato e pronto da raccogliere (cfr Gv 4,35). Ricominciare fiduciosamente nuovi processi; ripartire dai passi compiuti, senza fare retromarcia, favorendo quanto fa emergere il meglio delle persone e delle istituzioni, «senza ansietà, con chiare e tenaci convinzioni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 223).
Non abbiate paura di interloquire con fiducia con le persone e le istituzioni pubbliche. Affrontiamo un mondo nel quale non è sempre facile individuare i centri di potere e molti si scoraggiano pensando che siano anonimi e irraggiungibili. Invece sono convinto che le persone siano ancora abbordabili. Sussiste nell’uomo lo spazio interiore dove la voce di Dio può risuonare. Dialogate con chiarezza e non abbiate paura che la misericordia possa confondere o sminuire la bellezza e la forza della verità. La verità si compie in pienezza solo nella misericordia. E siate sicuri che la parola ultima della storia e della vita non è il conflitto ma l’unità, alla quale anela il cuore di ogni uomo. Unità conquistata trasformando il drammatico conflitto della Croce nella sorgente della nostra pace, perché lì è stato abbattuto il muro di separazione (cfr Ef 2,14).
Cari Confratelli,
nell’inviarvi di nuovo alla vostra missione, dopo questi giorni di fraterni e lieti incontri, la mia parola conclusiva vuole affidarvi alla gioia del Vangelo. Noi non siamo commessi della paura e della notte, ma custodi dell’alba e della luce del Risorto.
Il mondo ha tanta paura – tanta paura! – e la diffonde. Spesso fa di essa la chiave di lettura della storia e non di rado la adotta come strategia per costruire un mondo poggiato su muri e fossati. Possiamo anche comprendere le ragioni della paura, ma non possiamo abbracciarla, perché «Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2 Tm 1,7).
Attingete da tale spirito, e andate: aprite porte; costruite ponti; tessete legami; intrattenete amicizie; promuovete unità. Siate uomini di preghiera: non trascuratela mai, soprattutto l’adorazione silenziosa, vera sorgente di tutto il vostro operato.
La paura abita sempre nell’oscurità del passato, ma ha una debolezza: è provvisoria. Il futuro appartiene alla luce! Il futuro è nostro, perché appartiene a Cristo! Grazie!
Vi invito a pregare insieme l’Angelus. E’ mezzogiorno.
Angelus
Benedizione