Il commento al Vangelo di domenica 11 settembre 2016 (il brano del Vangelo è a fine articolo) XXIV Domenica del Tempo Ordinario, a cura di Paolo Curtaz.
Perle giubilari
Procede determinato il nostro Giubileo, immensa grazia e opportunità che ci è stata data per passare dal dio piccino che portiamo nel cuore a quello di Gesù.
E si è celebrato non tanto nell’imponenza delle celebrazioni, ma nella profondità della riflessione e dei piccoli gesti, nella moltiplicazione delle porte sante, come se, davvero, la salvezza fosse servita a domicilio.
Attraversando momenti forti, brutali, destabilizzanti, che hanno come innervato la riflessione, tolta dall’iperuranio, resa accessibile e autentica.
Il terrorismo islamico, l’esodo dei profughi e, buon ultimo, il terremoto che ci ha ricordato che siamo polvere, che la vita va colta qui e ora, che vale la pena vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, l’unico.
In questa vigilia dell’inizio delle scuole, almeno per gran parte delle regioni italiane, in questo lugubre anniversario dell’abbattimento delle torre gemelle, la liturgia, ancora, ci propone il vangelo che ci ha accompagnato in questo anno giubilare, il cuore della riflessione di Luca, la parabola della misericordia declinata in tre atti.
Così, tanto per insistere.
[ads2]La pecora
Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Nessuno, Signore, fidati.
Nessuno corre il rischio di lasciare le novantanove pecore per sbattersi e faticare andando a cercare al ribelle o la svampita. Nessuno lo fa. Non la società, che ormai ha smarrito la quasi totalità delle pecore, fabbricando marginalità. A volte nemmeno la Chiesa, più preoccupata di salvare il salvabile che di trovare atteggiamenti e linguaggi nuovi per dire Cristo agli smarriti.
Preferiamo le nostre certezze. Il danno minore. L’assenza del rischio.
Preferiamo non mettere in discussione le cose acquisite, anche nella fede.
Invece tu vai. Ti stanchi per cercare quella pecore, per cercare noi, per cercare me.
E quando la trovi non sfoghi su di lei la stanchezza e la rabbia per una giornata passata inutilmente a correre sulle colline. Non la bastoni, irritato, coma avrei fatto io.
La prendi sulle spalle. Le eviti ulteriore stanchezza.
Una pecora, non un agnellino.
Un bel peso. Un’ulteriore fatica.
Così è Dio. Il Dio di Gesù, che continuamente cerca. Mi cerca, ovunque io mi sia perso.
La moneta
Ma certamente faremmo come la massaia distratta che ha perso una delle dieci monete lasciatagli dal marito per fare la spesa grande. Sa bene, lei come noi, il valore del denaro, la fatica nel guadagnarselo.
Allora cerca, come cercheremmo noi.
Ribalta casa finché non trova quel benedetto biglietto di carta moneta scivolato dietro il divano.
E, lei come noi, sospira piena di sollievo.
Solo che, dopo, fa una cosa assurda.
Chiama le vicine, racconta la vicenda. Prepara un caffè e un dolce, poi apre una bottiglia di liquore. Spende più della moneta ritrovata.
Perché, dice Gesù, Dio è così.
Esagerato. Sempre. Non ci ama col bilancino, mai.
I figli
Figli tristi, quelli della parabola del Padre miserciordioso, così simili a noi. Che stravolgono e tradiscono il volto del Padre.
Lo annientano, lo umiliano.
Pensano che sia un despota da sfruttare, da cui fuggire, da obbedire per averne un tornaconto.
Idioti.
La fame spinge in primo a rimpiangere le carrube di cui si nutrono i maiali che pascola, come l’ultimo dei servi. Nessuno gliene dava. A nessuno sta a cuore la sua morte. Solo al Padre.
La gelosia spinge il secondo ad accorgersi che non aveva bisogno di elemosinare un capretto per far festa con gli amici. Tutto ciò che è del Padre è giù suo.
Chissà se, alla fine capiranno chi è il Padre.
Chissà se lo capiremo.
Parabole
Le parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio. Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio e questo significa fare come Lui.
Noi diciamo: “Ti amo perché sei amabile, te lo meriti, perché sei buono”.
Dio dice: “Ti amo con ostinazione e senza scoraggiarmi perché so che il mio amore ti renderà buono”.
C’è una bella differenza! In fondo in fondo costruiamo una vita di fede orientata intorno ai nostri meriti. Nessuno si merita l’amore di Dio. Il suo amore è assolutamente gratuito, libero, pieno.
Dio non ci ama perché siamo buoni, ma amandoci senza misura ci rende buoni, aprendoci alla speranza e alla conversione.
L’esperienza del peccato diventa occasione per un incontro più duraturo e autentico con questo Dio che ci perseguita con il suo amore.
Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa del peccato, Luca sa che l’esperienza di sofferenza interiore che è il peccato, lo smarrimento, la lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un incontro che salva, che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio.
La nostra fede non si fonda sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca.
il blog di paolo curtaz: www.paolocurtaz.it
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XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
- Colore liturgico: verde
- Es 32, 7-11. 13-14; Sal. 50; 1 Tm 1, 12-17; Lc 15, 1-32
Lc 15, 1-32
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 11 – 17 Settembre 2016
- Tempo Ordinario XXIV, Colore verde
- Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net