Papa Francesco – Discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale per i giovani Consacrati

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE PER I GIOVANI CONSACRATI

Aula Paolo VI
Giovedì, 17 settembre 2015

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Buongiorno!

Vi ringrazio. Il Cardinale Prefetto mi ha detto che voi siete cinque mila giovani consacrati. Io incomincerei con le domande che voi avete preparato e che avete avuto la cortesia di inviarmi.

[ads2]Ma prima di tutto so che fra voi ci sono consacrati e consacrate dall’Iraq e dalla Siria. Vorrei iniziare con un pensiero ai nostri martiri dell’Iraq e della Siria, i nostri martiri di oggi. Forse voi ne conoscete tanti o alcuni… Alcuni giorni fa, in Piazza, un sacerdote iracheno si è avvicinato e mi ha dato una croce piccola: era la croce che aveva in mano il sacerdote che è stato sgozzato per non rinnegare Gesù Cristo. Questa croce la porto qui… Alla luce di queste testimonianze dei nostri martiri di oggi – che sono più dei martiri dei primi secoli -, e anche dei martiri della vostra terra irachena e siriana, vorrei incominciare il nostro dialogo ringraziando il Signore: che la sua Chiesa compia nel suo Corpo quello che manca alla Passione di Cristo, ancora oggi, e chiedendo la grazia del piccolissimo martirio quotidiano, di quel martirio di tutti i giorni, nel servizio di Gesù e della nostra vita consacrata.

E adesso fatemi le vostre domande, e poi vediamo…

PRIMA DOMANDA Santo Padre, il Vangelo, che tutti noi consacrate e consacrati abbiamo abbracciato come nostra forma di vita, ci dice che il Signore Gesù, ai due discepoli che lo seguivano e gli chiedevano: “Dove abiti?”, ha risposto: “Venite e vedete”. In questi giorni abbiamo fatto memoria della nostra chiamata e delle molte altre chiamate che il Signore ci ha rivolto da quando abbiamo risposto per la prima volta al suo invito a seguirlo più da vicino e in maniera profetica. Santo Padre, anche Lei ha sentito la chiamata alla vita consacrata e ha seguito Gesù; anche Lei ricorderà quell’”ora decima” della chiamata. E’ troppo ardito chiederLe di condividere con noi come fu quella prima chiamata, in quella primavera di settembre 1953… Cosa L’ha affascinata di Gesù e del Vangelo? Perché si è fatto religioso, perché si è fatto sacerdote?

PAPA: Di dove sei tu? (applausi)

R. – Sono di Aleppo, Siria… (applausi)

SECONDA DOMANDA (in inglese) – Caro Santo Padre, nella Evangelii gaudium, “La gioia del Vangelo”, ci ricorda che tutti i battezzati, qualunque sia la loro posizione nella Chiesa o il loro livello di istruzione nella fede, sono operatori di evangelizzazione e che questa evangelizzazione, compito missionario, dovrebbe essere portata avanti con spirito: una  evangelizzazione che brucia dentro il proprio cuore e che è molto diversa da una serie di compiti vissuti come un obbligo pesante che uno semplicemente tollera o sopporta come qualcosa che contraddice le inclinazioni e i desideri personali. Caro Santo Padre, qual è la missione dei giovani consacrati nella Chiesa oggi? Dove dovremmo andare? A chi dovremmo rivolgerci per un aiuto e come? Dove ci sta inviando la Chiesa?

PAPA: Come ti chiami? Di dove sei e di quale istituto?

R. – (in inglese) Santo Padre, il mio nome è Sister Mary Giacinta, vengo dall’India e appartengono alle Sorelle della Carità di Maria Bambina.

TERZA DOMANDA (in spagnolo) – Santo Padre, questa domanda l’ha scritta una suora di clausura, che non è potuta essere qui con noi oggi… Perché credo che possa riferirsi a tutti i consacrati. Noi giovani consacrati di oggi apparteniamo ad una generazione che alcuni hanno definito “liquida e instabile”, con poche radici, che ha difficoltà ad impegnarsi completamente. Le nostre famiglie, a volte, non sono strutturate; apparteniamo ad una generazione che spesso preferisce la comodità e il relativismo, tutto quello che è immediato, light, da usare e gettare… Dopo aver concluso la prima tappa della formazione alla vita consacrata e aver fatto i voti solenni, anche noi spesso sperimentiamo una certa instabilità nel nostro itinerario della sequela di Cristo. Como possiamo evitare di cadere nelle mediocrità?

RISPOSTA DI PAPA FRANCESCO:

Vi ringrazio. Ringrazio Sara, Mary Giacinta e Pierre. Ringrazio tutti e tre.

Incominciamo da Sara, perché tu tocchi un problema molto serio, che è la comodità nella vita consacrata: “dobbiamo fare questo…, stiamo tranquilli…, io osservo tutti i comandamenti che devo fare qui, le regole…, sono osservante…”. Ma quello che santa Teresa di Gesù diceva sull’osservanza rigida e strutturata, quello toglie la libertà. E quella era una donna libera! Tanto libera che è dovuta andare all’Inquisizione. C’è una libertà che viene dallo Spirito e c’è una libertà che viene dalla mondanità. Il Signore vi chiama – e ci chiama a tutti – a quello che Pierre ha chiamato “modo profetico” della libertà, cioè la libertà che va unita alla testimonianza e alla fedeltà. Una mamma che educa i figli nella rigidità – “si deve fare, si deve, si deve, si deve…” – e non lascia che i figli sognino, che abbiano i sogni e che non lascia i figli crescere, annulla il futuro creativo del figli. I figli saranno sterili. Anche la vita consacrata può essere sterile, quando non è proprio profetica; quando non si permette di sognare. Ma pensiamo a santa Teresa di Gesù Bambino: chiusa in un convento, anche con una priora non tanto facile; alcuni pensavano che la priora faceva le cose per disturbarla… Ma quella suorina di 16, 17, 18, 20, 21 anni sognava! Mai ha perso la capacità di sognare, mai ha perso gli orizzonti! Al punto che oggi è la Patrona delle missioni; è la Patrona degli orizzonti della Chiesa. E quello che santa Teresa chiamava “almas concertadas” è un pericolo. E’ un grande pericolo. Lei era una monaca di clausura, ma è andata per le strade di tutta la Spagna, facendo le fondazioni, i conventi. E mai ha perso la capacità di contemplazione. Profezia, capacità di sognare è il contrario della rigidità. I rigidi non possono sognare. Pensiamo a quelle belle cose che Gesù dice ai rigidi dei suoi tempi, ai consacrati rigidi dei suoi tempi, nel capitolo 23 di San Matteo. Leggetelo. Quelli sono i rigidi. E l’osservanza non deve essere rigida; se l’osservanza è rigida non è osservanza, è egoismo personale. E’ cercare sé stessi e sentirsi più giusti degli altri. “Ti ringrazio Signore perché non sono come quella suora, come quel fratello, come quello là…. Ti ringrazio Signore perché la mia Congregazione è proprio cattolica, osservante, e non come quella Congregazione che va di là, e quella di là e di là…”. Questo è il discorso dei rigidi. Ma tutte queste cose le troverete nel capitolo 23 di San Matteo. Teresa le chiama “almas concertadas”. E come non convertirci in questo? Cuore aperto sempre a quello che ci dice il Signore; e quello che ci dice il Signore, portarlo al dialogo col superiore, col maestro o la maestra spirituale, con la Chiesa, col vescovo. Apertura, cuore aperto, dialogo, e anche dialogo comunitario. “Ma, Padre, noi non possiamo dialogare, perché quando dialoghiamo sempre litighiamo…”. “Ma va bene! Anche Pietro, Paolo, Giacomo nei primi tempi – leggete gli Atti degli Apostoli – litigavano fortemente. Ma poi erano tanto aperti allo Spirito Santo che avevano questa capacità di perdonarsi. Sto per dire una parola un po’ difficile. Io vi parlo sinceramente: uno dei peccati che spesso trovo nella vita comunitaria è la incapacità del perdono fra i fratelli, fra le sorelle. “Ah, quella me la pagherà! Gliela farò pagare!…”. E questo è sporcare l’altro! Le chiacchiere in una comunità impediscono il perdono, e portano anche ad essere più lontani gli uni dagli altri, ad allontanarsi uno dall’altro. A me  piace dire che le chiacchiere non sono soltanto un peccato – perché chiacchierare è peccato, confessatevi se fate questo… E’ peccato! –, ma chiacchierare è anche terrorismo! Perché chi chiacchiera “butta una bomba” sulla fama dell’altro e distrugge l’altro, che non può difendersi. Perché sempre si chiacchiera nell’oscurità, non nella luce. E l’oscurità è il regno del diavolo. La luce è il Regno di Gesù. Se tu hai qualcosa contro tuo fratello, contro tua sorella, vai… Prima prega, rasserenati l’anima, e poi vai a dirlo a lui, a lei: “Io non sono d’accordo su questo… tu hai fatto una cosa brutta…”. Ma mai, mai buttare la bomba della chiacchiera. Mai, mai! E’ la peste della vita comunitaria! E così il religioso, la religiosa, che ha consacrato la sua vita a Dio, diventa un terrorista e una terrorista, perché butta nella sua comunità una bomba che distrugge.

Tu, Sara, hai parlato anche dell’instabilità della nostra sequela. Sempre, dall’inizio della vita consacrata fino adesso, ci sono momenti di instabilità: sono le tentazioni. I primi monaci del deserto scrivono su questo e ci insegnano come trovare la stabilità interiore, la pace. Ma sempre ci saranno le tentazioni, sempre, sempre… La lotta sarà fino alla fine. E tornando a santa Teresa di Gesù Bambino, lei diceva che si deve pregare per quelli che stanno per morire, perché là c’è proprio il momento di maggior instabilità, in cui le tentazioni vengono con forza. Culturalmente è vero, noi viviamo un tempo molto, molto instabile, e anche un tempo che sembra essere “un pezzo di tempo”: noi viviamo la cultura del provvisorio. Mi diceva un vescovo – un anno fa o due anni fa, più o meno – che è andato da lui un bravo giovane, un bravo ragazzo, un professionista, che voleva farsi prete, ma soltanto per dieci anni: ”poi vedremo…”. Ma questo succede, accade: la nostra cultura è del provvisorio. Anche nei matrimoni: “Sì, sì, noi ci sposiamo! Finché l’amore dura… quando l’amore se ne va, ciao ciao: tu a casa tua, io a casa mia”. E questa cultura del provvisorio è entrata nella Chiesa, è entrata nelle comunità religiose, è entrata nelle famiglie, nel matrimonio… La cultura del definitivo: Dio ha inviato il Suo Figlio per sempre! Non provvisoriamente, ad una generazione o ad un Paese: a tutti. A tutti e per sempre. E questo è un criterio di discernimento spirituale. Io sono nella cultura del provvisorio? Ad esempio, per non disgregarsi, prendere anche impegni definitivi.

Tu, Mary Giacinta, hai parlato dell’evangelizzazione. Una evangelizzazione – hai citato – che brucia nel cuore: la voglia di evangelizzare, dove il cuore brucia, col cuore che brucia. Questo è lo zelo apostolico. Evangelizzare non è lo stesso che fare proselitismo. Noi non siamo una associazione di calcio che cerca soci, aderenti… Evangelizzare non è soltanto convincere, è testimoniare che Gesù Cristo è vivo. E come ti faccio questa testimonianza? Con la tua carne, con la tua vita. Tu potrai studiare, potrai fare corsi di evangelizzazione, e questo è buono, ma la capacità di riscaldare i cuori non viene dai libri, viene dal tuo cuore! Se il tuo cuore brucia di amore per Gesù Cristo, tu sei un bravo evangelizzatore o una brava evangelizzatrice. Ma se il tuo cuore non brucia e guardi solo le cose di organizzazione, che sono necessarie, ma secondarie… E qui io vorrei – perdonatemi se sono un po’ femminista – ringraziare la testimonianza delle donne consacrate – non tutte, però, ce ne sono alcune un po’ isteriche! -: voi avete questa voglia di andare sempre in prima linea. Perché? Perché voi siete madri, avete questa maternità della Chiesa, che vi fa essere vicine. Io ricordo a Buenos Aires, un ospedale era rimasto senza suore, perché erano poche, anziane, e quella Congregazione era quasi alla fine… – perché gli istituti religiosi sono tutti provvisori: il Signore ne sceglie uno per un tempo, poi lo lascia e ne fa un altro; nessuno ha la possibilità di rimanere per sempre; è una grazia di Dio, e alcuni sono per quel tempo; questo sia chiaro – …queste suorine, poverine, erano anziane… E mi hanno parlato di una Congregazione della Corea: le Suore della Sacra Famiglia di Seul. Tramite un sacerdote coreano alla fine sono arrivate tre suore coreane in quell’ospedale, a Buenos Aires, dove si parla lo spagnolo. E loro sapevano lo spagnolo nello stesso modo in cui io so il cinese: niente. Il secondo giorno, sono andate nelle sale, nei reparti. Sono andate nei reparti e con i gesti, con una carezza, con il sorriso… Gli ammalati dicevano: “Ma che belle suore! Come lavorano! Che buone sono!”. “Ma ti hanno detto qualcosa?” “No, niente”. Era la testimonianza di un cuore che bruciava. E’ la maternità delle suore. Non perdere questo, per favore! Perché la suora è l’icona della Madre Chiesa e della Madre Maria. Voi davvero avete questa funzione nella Chiesa: essere icona della Chiesa; icona di Maria; icona della tenerezza della Chiesa, dell’amore della Chiesa, della maternità della Chiesa e della maternità della Madonna. Non dimenticare questo. Sempre in prima linea, ma così. E, inoltre, la Chiesa è sposa di Gesù Cristo – finisco con le suore – e le suore sono spose di Gesù Cristo, e tutta la forza la prendono di là, davanti al tabernacolo, davanti al Signore, nella preghiera con il loro Sposo, per portare il suo messaggio.

Devo affrettarmi un po’ perché c’è tanto lavoro oggi!

E tu Pierre hai detto parole-chiave: seguire Gesù più da vicino; vicino, vicinanza; in maniera profetica. Di questo ho parlato, della profezia, quando ho risposto a Sara. E un’altra parola, che è chiave, nella vita consacrata: memoria. Ossia profezia, vicinanza, memoria. Di profezia ho parlato. Vicinanza. Vicinanza fra voi e con gli altri. Vicinanza con il popolo di Dio. Un compagno di lavoro del mio papà – vari compagni erano entrati in Argentina dopo la guerra civile spagnola ed erano mangiapreti -, una volta uno di loro si è ammalato di un’infezione brutta, brutta, con le piaghe, una malattia brutta, e la moglie lavorava pure e c’erano tre figli. Questo è venuto a conoscenza di una Congregazione, Les Petites Soeurs de l’Assomption, quelle suore che ha fondato il padre Pernet. Il loro lavoro… A quei tempi, dopo le preghiere, andavano nelle case dove c’erano difficoltà. Tutte erano infermiere e curavano gli ammalati, portavano i bambini a scuola, facevano le domestiche e poi alle quattro del pomeriggio tornavano a casa. E’ andata una di loro, è andata la superiora, perché era un caso difficile. Disse: “Ci vado io”. Immaginate voi cosa ha detto quell’uomo a questa suora: le parolacce più brutte. Ma lei tranquilla, faceva il suo lavoro, curava le piaghe, portava i bambini, faceva da mangiare. E poi, dopo più di un mese, quell’uomo è guarito. E’ guarito. E’ tornato al lavoro. Alcuni giorni dopo uscivano dal lavoro lui e tre o quattro compagni mangiapreti. Passavano per la strada due suore e uno di loro ha detto loro parole brutte, alle suore. E questo con un pugno lo ha buttato sul pavimento e ha detto così: “Sui preti e su Dio di’ tutte le cose che vuoi, ma contro la Madonna e contro le suore niente!”. Pensate, un ateo, un mangiapreti, perché?, perché aveva visto la maternità della Chiesa, aveva visto il sorriso della Madonna in quella suora paziente che lo curava, faceva la domestica a casa e portava i bambini e andava a prenderli a scuola. Non dimenticare questo, suore: voi siete l’icona della Santa Madre Chiesa e della Santa Madre Maria. Non dimenticare questo. E la Chiesa vi ringrazia di questo, è una bella testimonianza. E questo è vicinanza, siate vicini, vicinanza ai problemi, ai veri problemi.

E l’altra parola-chiave è memoria. Io penso che Giacomo e Giovanni non hanno mai dimenticato quell’incontro con Gesù. Gli altri apostoli lo stesso. Pietro: “Tu sei Pietro”; Nicodemo; Natanaele… Il primo incontro con Gesù. La memoria, la memoria della propria vocazione. Nei momenti oscuri, nei momenti di tentazione, nei momenti difficili della nostra vita consacrata, tornare alle fonti, fare memoria e ricordare lo stupore che noi abbiamo sentito quando il Signore ci ha guardato. Il Signore mi ha guardato… Memoria.

E tu mi hai chiesto di condividere la mia memoria, come è stata, quella prima chiamata il 21 settembre del ’53. Ma non so come è stata. So che per caso, sono entrato in Chiesa, ho visto un confessionale e sono uscito diverso, sono uscito in un’altra maniera. La vita lì è cambiata. E cosa mi ha affascinato del Gesù e del Vangelo? Non so… la sua vicinanza a me: il Signore non mi ha mai lasciato solo, anche nei momenti brutti e oscuri, anche nei momenti dei peccati… Perché anche questo dobbiamo dire: tutti siamo peccatori. E lo diciamo in teoria, ma non nella pratica! Io ricordo i miei e mi vergogno. Pure in quei momenti, mai il Signore mi ha lasciato solo. E non solo me, tutti. Il Signore non lascia mai nessuno.

E io ho sentito questa chiamata di farmi sacerdote e religioso. Il sacerdote che mi ha confessato quel giorno, che io non conoscevo, era lì per caso, perché aveva la leucemia, era in cura, è morto un anno dopo. E poi mi ha guidato un Salesiano, come te, un Salesiano che mi aveva battezzato. Sono andato da lui e lui mi ha guidato dai Gesuiti… Ecumenismo religioso! Ma nei momenti più brutti, mi ha aiutato tanto la memoria di quel primo incontro, perché il Signore ci incontra sempre definitivamente, il Signore non entra nella cultura del provvisorio: Lui ci ama per sempre, ci accompagna per sempre.

E dunque: vicinanza alla gente, vicinanza fra noi; profezia con la nostra testimonianza, col cuore che brucia, con lo zelo apostolico che riscalda i cuori degli altri, anche senza parole, come quelle suorine coreane; e memoria, tornare sempre.

E vi do un consiglio, prendete il Libro del Deuteronomio, dove Mosè fa la memoria del popolo, e fate voi la memoria della vostra vita: “Quando io ero schiavo là, come il Signore mi ha liberato, e come…”. E’ bello. Alla fine, quasi alla fine del Libro insegna come si deve andare a dare l’offerta al tempio, dice: “Mio padre era un arameo errante…”. Imparare a raccontare la propria vita davanti al Signore: “Io sono stato schiavo, schiava, il Signore mi ha liberato, e per questo vengo e faccio festa!”. Fare festa: quando tu ricordi le meraviglie che il Signore ha fatto nella tua vita, ti viene di fare festa, ti viene un sorriso da un orecchio all’altro!, di quei sorrisi belli, perché il Signore è fedele! Profezia, memoria, vicinanza, cuore che brucia, zelo apostolico, cultura del definitivo, no all’usa e getta.

E voglio finire con due parole. Una che è il simbolo del peggiore, non so se il peggiore ma uno dei peggiori atteggiamenti di un religioso: rispecchiare sé stesso, il narcisismo. Guardatevi da questo. E noi viviamo in una cultura narcisistica, e sempre abbiamo questa tendenza a rispecchiarci. No al narcisismo, a guardare sé stessi. E sì al contrario, a ciò che spoglia di tutto il narcisismo, sì all’adorazione. E io credo che questo è uno dei punti sul quale dobbiamo andare avanti. Tutti noi preghiamo, rendiamo grazie al Signore, chiediamo favori, lodiamo il Signore… Ma io faccio la domanda: Noi adoriamo il Signore? Tu, religioso o religiosa, hai la capacità di adorare il Signore?. La preghiera di adorazione silenziosa: “Tu sei il Signore”, è il contrario di quel rispecchiarsi proprio del narcisismo. Adorazione, voglio finire con questa parola: siate donne e uomini di adorazione. E pregate per me. Grazie.

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