Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!
Abbiamo appena ascoltato il racconto del miracolo dal quale proviene il rito conclusivo del nostro battesimo, il rito dell’Effatà: il sacerdote sfiora con un dito le labbra del neonato, tocca le sue orecchie e dice: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre.”.
Colpisce sempre la discrezione di Gesù: prima di compiere un miracolo, conduce il malato in disparte; il miracolo è un segno esterno dell’intimo amore di Dio per la sua creatura. L’amore di Dio è un fatto reale che non ha bisogno, di per sé, di prove, né di conferme, come i miracoli; l’intimità dell’Amore non si ostenta, non si mette in piazza; Dio la pensa così: l’amore non può, non deve essere oggetto di spettacolo!
[ads2]Il Vangelo di oggi costituisce un ammonimento severo alla nostra civiltà dell’immagine, ove, al contrario, tutto può essere spettacolarizzato, compresi i sentimenti. Assistiamo a un vero e proprio capovolgimento dei valori. Non esiste più distinzione tra pubblico e privato: e la motivazione – una menzogna che rasenta l’assurdità – la motivazione di questo abbattimento del confine (tra pubblico e privato) sarebbe, è il dovere di verità. Si tratta di un equivoco, un grossolano equivoco! “La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità!”, a cui ci hanno abituati quarant’anni di telefilm polizieschi, da Perry Mason a oggi, è una formula processuale, e si pronuncia con giuramento formale.
Ma la vita quotidiana, la vita reale non si svolge in un’aula di tribunale; ci sono atti che esigono discrezione, intimità, segreto, proprio in nome della verità… (esigono).
È Gesù stesso a ricordarcelo, quando, dall’alto della montagna, insegna che al Padre nostro che è nei cieli, non sfugge nulla; ci vede benissimo, anche nel segreto; e ci ricompenserà (cfr. Mt 6).
Ma a noi, la ricompensa segreta di Dio non ci basta.
Noi abbiamo bisogno del riscontro positivo degli altri, della gente; magari anche solo cliccando ‘mi piace’, ‘non mi piace’ – possibilmente ‘mi piace’… –.
Più Gesù proibiva di divulgare la notizia del miracolo, più i testimoni lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!
Che male c’è a parlare di un bene ricevuto? che male c’è a parlare di buoni sentimenti? Si parla e si legge sempre e solo di tragedie, di crimini efferati, di cronaca nera… Dedichiamo più spazio, sulle pagine dei giornali, alla cosiddetta cronaca bianca!
Sarà pur vero che i quotidiani contribuiscono ad alimentare convinzioni del tipo: il mondo è cattivo, son tutti corrotti, meglio non fidarsi di nessuno… Tuttavia il cristiano si differenzia dagli altri uomini di buona volontà, anche per questo profondo senso della discrezione, che diventa un vero e proprio habitus: noi cristiani siamo come il buon samaritano, che fa del bene a un israelita, ad un nemico, e quest’ultimo, probabilmente non verrà mai a sapere di dovere la vita ad un samaritano…
Oggi nessuno fa niente per niente! ebbene, noi cristiani abbiamo scoperto il segreto del bene: il segreto del bene è il bene del segreto! Sembra un gioco di parole, ma è la verità!!
Fare il bene ci rende buoni se e quando riconosciamo che (il bene) è sempre opera di Dio, Dio che opera in noi e con noi! E se il bene che compiamo è sempre opera di Dio, che bisogno c’è di darne rilievo sui giornali, come se fosse una prodezza nostra? noi siamo soltanto degli strumenti!
O, sì, siamo anche disposti a schernirci davanti ai giornalisti, affermando che noi siamo solo servi inutili, e altre amenità del genere… e qui rischiamo di peccare di falsa modestia….
Meglio tacere: facciamo il bene, ma non ostentiamolo! Tanto, il bene, quando è autentico, quando è vero, si ostende da solo, si mostra da sé; non ha bisogno di ostentazione. Fare il bene in nome di Cristo, è fine a se stesso: letteralmente, il fine del bene che possiamo compiere è il bene, nient’altro che il bene! Anche per il bene vale il principio biblico del non voltarsi indietro (cfr. Gn 19,15-29). Vero è che il bene da noi compiuto ci sembra un (piccolo) capolavoro uscito dalle mani di un artista: siamo tentati di alzare continuamente il velo che lo copre, per ammirarlo; nel suo capolavoro, l’artista ammira (un po’ anche) se stesso: chi fa arte, o è convinto di farla, conosce bene la tentazione del narcisismo; una delle patologie più pericolose per l’artista è proprio il narcisismo autoreferenziale! Conosciamo tutti la favola di Narciso…
Il narcisismo autoreferenziale è ciò che distingue il mecenate, il filantropo, dal vero apostolo della carità! Si potrebbe obbiettare che il bene è bene e basta. Certo, ma noi cristiani siamo un po’ tutti malati di morale, nel senso che dobbiamo sempre risalire alle motivazioni dell’agire nostro e altrui – il bene perfeziona colui che lo compie, il bene fatto rende più buoni, la virtù di carità fa di noi cristiani autentici… –: non è dunque una perdita di tempo la riflessione sulle differenze profonde tra bene in quanto tale, e bene in quanto nostro. Affinché il bene si bene cristiano, è necessario cancellarvi le nostre impronte…
Chissenefrega se gli altri non lo verranno mai a sapere, se gli altri non riusciranno a risalire a noi, e non ci potranno ringraziare!! Attenzione: la gratitudine degli uomini è la nostra ricompensa terrena. Non ce ne sarà altra, nel regno dei cieli! parola di Gesù. La nostra unica ricchezza, la ricompensa divina (come la chiama Isaia) è la fede nel Cristo crocifisso e risorto!
La salvezza si intuisce dai suoi effetti. Questa è la risposta che il Signore diede ai discepoli del Battista, mandati a chiedere se fosse Gesù il Messia, o se dovessero aspettarne un altro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, (…) i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” (cfr. Lc 7,19-23).
Oggi più di allora, l’azione del Cristo nella storia, si può intuire solo attraverso segni: il segno della fede è l’indizio più chiaro e più significativo!
Lo ripeto e concludo: mantenere la fede nel Cristo crocifisso e risorto, in un mondo che sembra aver smarrito il senso della fede, della speranza, della carità, è la prova – paradossale finché volete, ma è così! – (è la prova) che Dio non è una nostra invenzione. Il bene che facciamo, non lo facciamo perché siamo più buoni degli altri, ma perché crediamo in Gesù di Nazareth!
Questo ci mette al riparo dalla tentazione dell’orgoglio, nel narcisismo, della supponenza…
Possiamo costruire la nostra casa sulla roccia della fede, oppure sulla sabbia delle nostre capacità. E non ci vuole una grossa esperienza, né una grande saggezza, per sapere che le capacità umane sono nulla, una ben misera ricchezza: oggi ci sono, forse. Domani, chissà?…
XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
- Colore liturgico: verde
- Is 35, 4-7; Sal.145; Gc 2, 1-5; Mc 7, 31-37
Mc 7, 31-37
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Fonte: LaSacraBibbia.net