Nella 20.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù, tra le mormorazioni della gente, ribadisce di essere il pane vivo disceso dal cielo:
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”.
“La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”.
Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
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[ads2] Il segno e la parola del Signore in questo capitolo sesto del Vangelo di S. Giovanni, hanno suscitato la mormorazione da parte dei Giudei che non vogliono essere scomodati nei loro schemi religiosi: pensano di avere fede e di non aver bisogno d’altro. Ora la mormorazione sfocia in “aspra discussione”: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Ma Gesù continua il suo annuncio: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”. Che cos’è questo “mangiare la carne del Figlio dell’uomo”, questo pane che dà la vita eterna? All’uomo si dà troppo poco – ci ha detto Benedetto XVI – se non gli si dà Dio. L’uomo ha bisogno di Dio. Ma per accogliere Dio nel proprio cuore, l’uomo ha bisogno di sciogliere il suo cuore da una catena: quella dei suoi progetti, della sua volontà. La tentazione quotidiana dell’uomo è invece proprio quella di ridurre Dio alla propria misura, di mettere Dio a suo servizio. Questa è la nostra crisi religiosa costante: trovare il modo di piegare Dio a questo. Gesù viene a portarci la volontà del Padre, non una volontà contro di noi, che disprezza la nostra fatica quotidiana, ma la rivelazione di un amore che ci ha creato per innalzarci a Dio, a misura del cuore di Dio.
Fonte: Radio Vaticana
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