Sal 136 – Il salmo del Nabucco

1890

Si tinge di espressioni apparentemente contradditorie la liturgia della quarta domenica di Quaresima.
È la domenica “Laetare”, quella che – per così dire – festeggia il passaggio di metà quaresima, con i paramenti rosa e con il canto iniziale che invita alla gioia:
Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione.
Decisamente un tono diverso per il salmo responsoriale. È il celebre Super flumina Babylonis che ha ispirato pagine immortali di musica sacra, penso alla immortale opera di Palestrina, ma anche il famosissimo coro del Nabucco (il Va’ pensiero di Verdi).
E possiamo ricordare anche la poesia di Quasimodo: Alle fronde dei salici, che descrive l’orrore per le deportazioni e le stragi della guerra.
Ascoltiamo intanto un passaggio del salmo, tratto dal sito ufficiale della CEI.

[ads2]

SALMO
Lo stato d’animo di amarezza e di profonda nostalgia evocato dal salmo 136 è legato alle vicende storiche della deportazione in Babilonia avvenuta nel 586 avanti Cristo, quando venne profanato e distrutto il tempio di Gerusalemme e la quasi totalità della popolazione venne deportata in terra straniera, sotto il re Nabucodonosor II.
La prima lettura della messa offre un breve racconto di queste avvenimento, che provocò un trauma insanabile nel popolo di Israele, con la cessazione improvvisa anche delle sue istituzioni religiose che derivavano dai tempi di Mosè e Aronne.
Il salmista non ha più parole né ispirazione per continuare il suo canto. Sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, si vedono le cetre dei cantori di Israele tristemente appese ai salici, alberi che nella cultura orientale sono proverbiali per il fatto che fioriscono senza portare alcun frutto.
I babilonesi scherniscono i credenti nel Dio degli dei. “Cantateci i canti di Sion”: dateci una prova di quello splendore che era il vanto di Israele e la mitica bellezza del suo tempio e delle sue liturgie.
L’unico sentimento che il salmista riesce ad esprimere è il suo struggente desiderio di tornare nella città santa. Nessun altro pensiero deve distrarlo.
Verso la fine dell’esilio, ai tempi di Ciro, fu una tentazione per molti Israeliti che ormai si erano sistemati in terra straniera, di preferire la relativa tranquillità conquistata all’ideale di un ritorno alla terra dei padri, la terra che Dio aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
Quasi per reagire a questo torpore, il salmista canta il suo struggente desiderio della città santa, di quella terra che sola può dirsi patria.
Il salmo si conclude con un versetto che è omesso dalla Liturgia. Durante la riforma liturgica, alcune parte della Bibbia, dei salmi in particolare, sono stati eliminati dalla celebrazione. Sarebbe interessante aprire una discussione su questo.
Ecco le parole, durissime, che non entrano mai nelle celebrazioni:
“Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra”.
Si può dire quello che si vuole, ma questo testo appartiene alla Bibbia, è dunque un testo ispirato e non possiamo censurare la Parola di Dio.
L’esistenza di testi come questo deve spingerci anzitutto a essere umili.
Per penetrare il senso delle scritture dobbiamo lasciarci guidare dalla fede della Chiesa. La Bibbia non si può leggere come un dizionario o come un trattato di cultura religiosa.
Alla fine, l’unico vero criterio di interpretazione è Cristo: anzi, come dice il vangelo di questa domenica, Cristo crocifisso: innalzato come il serpente nel deserto.
Il crocifisso è il segno massimo della misericordia di Dio, ma è anche il segno più eloquente della ingiustizia e della empietà dell’uomo.
C’è un aspetto del cristianesimo che troppo spesso viene sottaciuto. E cioè il fatto che noi non solo dobbiamo cercare il bene, l’amore e la verità di Dio con tutte le nostre forze.
Ma dobbiamo anche compiere, finché siamo in questo mondo, una battaglia senza quartiere contro il male. Non si tratta certo di fare violenza a nessuno. Ma di avere le idee chiare, su ciò che è bene e su ciò che è male.
Desiderare Gerusalemme, che per noi cristiani è la città della risurrezione, ma anche della passione e della croce, significa concretamente non solo ricercare il bene, ma anche combattere il male, che si annida prima di tutto nel nostro cuore.
Questa in fondo è la vera strada della gioia pasquale.

Salmo Responsoriale

Sal.136

RIT: Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.

Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.

Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.

Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme