Accompagnare la famiglia nel momento della malattia

577

“Ogni famiglia prima o poi deve fare i conti con l’esperienza del dolore, esperienza fortemente destabilizzante, ma che può anche aiutarla a stringere nuovamente i propri legami e a farla crescere”. E’ questo il messaggio di speranza portato da padre Adriano Moro alla Scuola di Formazione permanente del Clero di lunedì 9 marzo.

Come reagisce la famiglia davanti alla malattia di un suo membro? A questa domanda il religioso camilliano (in servizio all’Ospedale Borgo Trento di Verona) ha cercato di rispondere soprattutto a partire dalla propria articolata esperienza che gli ha permesso di maturare una profonda sensibilità verso i malati e le loro famiglie, imparando tempi e modi di uno degli aspetti della cura pastorale della Chiesa certamente più importanti e delicati.

“Quando una persona si ammala – ha spiegato padre Moro – è tutta la famiglia che si ammala con lei. La malattia modifica i rapporti affettivi, familiari, lavorativi; porta sovente alla perdita di ruoli e posizioni; obbliga a riconsiderare i propri ritmi di vita e la propria valutazione del tempo e del futuro”. 

Diversi sono i modi in cui la persona può reagire nel momento dell’insorgere della malattia: calma accettazione, ansia, rabbia, preoccupazione e depressione. Ugualmente i congiunti possono avere reazioni diverse: attivando forme di collaborazione e di cura, o viceversa,  latitando e diradando le visite, soprattutto davanti alla possibilità di un esito infausto della malattia. In altri casi si  assiste alla delega della cura del malato ai soli operatori sanitari, o ancora al  rifiuto in modo immaturo della malattia con la sua conseguente negazione. 

Le situazioni più emblematiche in cui tali dinamiche relazionali si manifestano sono, ad esempio, la scoperta di una malattia oncologica (seguita in genere da fasi precise di cui è necessario tenere conto, ovvero: shock, negazione, disperazione, collera, rielaborazione e accettazione); la malattia psichica (spesso accompagnata da solitudine e mancanza di riferimenti valoriali); la cura di un disabile (anziano o giovane, con il conseguente problema del “dopo di noi”).

L’operatore pastorale (prete, religiosa, volontario) che visita i malati nelle strutture ospedaliere e i loro familiari a casa, può avere un ruolo molto positivo nell’aiutare il malato a recuperare serenità e i membri della sua famiglia a mobilitare energie positive: solidarietà, spirito di adattamento, comunicazione efficace, condivisione e rispetto. Ma per fare questo ci sono degli atteggiamenti che deve assolutamente evitare: visite sporadiche e frettolose; paternalismo fatto di rassicurazioni superficiali e fervorini religiosi; la preoccupazione di dare per forza delle risposte.

L’accompagnamento – ha concluso padre Moro – deve essere costante, personalizzato, privilegiare l’ascolto e la comunicazione non verbale per saper trasmettere una vicinanza umana, un’empatia che sole possono trasmettere il conforto e la luce della fede ai cuori sofferenti”.

Alessio Graziani

Fonte