Fronte Nord-Est della guerra, dopo gli ultimi scontri del 1917 sugli Altipiani. Gli avvenimenti si susseguono imprevedibili. Lunghe attese sono seguite dal tragico incalzare di bombe e agguati. Ufficiali e soldati fanno i conti con se stessi, con gli uomini intorno, con le motivazioni dello stare lì. E anche con la paura che non finisce mai di debilitare l’equilibrio dei soldati.
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Valutazione Pastorale: Ermanno Olmi non era presente all’incontro seguito alla proiezione del suo ultimo film alla stampa. Corretto e cortese come sempre, ha voluto però inviare un video messaggio registrato dalla stanza di ospedale al S.Raffaele di Milano, dove era ricoverato per alcuni, opportuni controlli. Dal suo intervento, breve e concreto, si sono potute appurare due cose: la scelta dell’argomento non è sua ma è la risposta ad una richiesta; il copione non vuole raccontare la Guerra Mondiale (quella che è poi diventata la Prima) ma il dolore che lascia la guerra. Da questa precisazione si muove il racconto che rinuncia volutamente a scene di battaglia o di scontri tra nemici. Anzi tutto si svolge nell’arco di una sola nottata dentro un caposaldo italiano identificato come il Dosso di Sopra in Val Formica-Cima Larici a quota 1800 metri. All’interno di un unico ambiente (del tutto reale al pari del paesaggio circostante) si muove un gruppo di figure che diventano citazione di quelle impegnate in quei tragici giorni. L’ufficiale di carriera, quello di fresca nomina, l’attendente, il cappellano militare, tanti soldati nell’insieme consapevoli del destino di morte che li aspetta. L’approccio di Olmi all’argomento lavora sul versante della “inutile strage”, della superficialità di ordini e strutture, della mancanza di motivazioni. Prevale la sensazione di abbandono, di isolamento,di non ritorno: che diventa strazio esistenziale quando un soldato ricorda: “La prima licenza dopo sei mesi, e a casa ho trovato mia moglie a letto con un altro…”. Quando si cerca un volontario, l’ultimo che si fa avanti preferisce spararsi prima di andare a morte sicura all’esterno. In quel caposaldo rivivono molte storie dedicate, dice Olmi, “al mio papà, che quand’ero bambino mi raccontava della guerra dov’era stato soldato”. Eliminato ogni riferimento concreto, il regista disegna uno scenario di aspro cromatismo in un perlaceo B&N, e scrive passaggi di scontrosa, riluttante poesia. L’insistito lirismo lavora, va detto, a scapito di un’emozione che perde compattezza e capacità di coinvolgimento. E quando il racconto ha esaurito tutto il raccontabile, Olmi sceglie di chiudere con una serie di immagini d’archivio che allargano il materiale narrativo. Di suo, di bello e commovente, il regista bergamasco fa sentire netta la richiesta di perdono per i tanti ragazzi mandati a morire, la consapevolezza del vuoto morale che lascia la guerra, la pietà grande per le vittime in una preghiera che fa del film una operazione linguistica forte: parlare di ieri per rivolgersi all’oggi, fare di avvenimenti lontani un terreno per quelli contemporanei. Per questo il film,anche se non sempre risolto, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte, successive occasioni come opportunità di riflessione sul rapportocinema/storia, anche a livello scolastico e didattico.