Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale “Inutile strage”. I cattolici e la Santa Sede nella Prima Guerra Mondiale, 10.10.2014

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Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale “Inutile strage”. I cattolici e la Santa Sede nella Prima Guerra Mondiale, promosso e organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze storiche, in collaborazione con l’Accademia di Ungheria in Roma e la Commission Internationale d’Histoire et d’Étude du Christianisme. Il Convegno inizia mercoledì 15 ottobre in Vaticano, prosegue i suoi lavori il 16 ottobre nell’Aula San Pio X a Roma (via dell’Ospedale) per concludersi il 17 all’Accademia di Ungheria a Roma in via Giulia.

Intervengono: il Rev.mo P. Bernard Ardura, O. Praem., Presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche, e il Prof. Roberto Morozzo della Rocca, dell’Università degli Studi di “Roma Tre”.

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Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

Intervento del Rev.mo P. Bernard Ardura, O. Praem.

Non mancano, dalla Bosnia Erzegovina alla Francia, dall’Austria all’Italia e in tanti paesi coinvolti, cento anni fa, nella Prima guerra mondiale, le iniziative destinate a commemorare il conflitto di cui si è detto che avesse concluso effettivamente il secolo XIX e la Belle Époque, e aperto il secolo XX.

L’iniziativa del Pontificio Comitato di Scienze Storiche intende coinvolgere numerosi specialisti di questo argomento, per proporre una rilettura del conflitto non soltanto visto ma anche vissuto da parte dei credenti – in maggioranza cattolici, ma anche protestanti e ortodossi – e più specificamente da parte della Santa Sede che, allora ancora priva di territorio proprio, si è trovata sul territorio dell’Italia coinvolta nel conflitto, cercando per quanto fosse possibile di salvaguardare la sua specifica natura.

Con l’immagine dell’ossario di Douaumont, vicino a Verdun, creato su iniziativa di Monsignor de Ginisty, Vescovo di Verdun durante la guerra e unica autorità rimasta nella città martoriata dall’artiglieria nemica, abbiamo scelto due parole forti di Benedetto XV che caratterizzano i feroci combattimenti, le considerevoli perdite umane e l’inutilità strategica di tanti sacrifici di giovani vite.

« Inutile strage », due parole che esprimono la drammaticità della Prima guerra mondiale, oggetto del nostro Convegno internazionale. Due parole scritte da Papa Benedetto XV nella sua Nota ai Capi dei popoli belligeranti, del 1° agosto 19171, per invitarli a cessare il conflitto e ad aprire le vie della pace.

Due parole quasi insopportabili di fronte al sacrificio di tanti milioni di soldati e civili le cui vite furono stroncate nel corso dei combattimenti sanguinosi, senza ottenere significativi successi strategici.

Cento anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, il Pontificio Comitato di Scienze Storiche, in collaborazione con l’Accademia di Ungheria in Roma e la Commission Internationale d’Histoire et d’Études du Christianisme, ha ritenuto opportuno offrire l’occasione di una rivisitazione della storiografia con particolare attenzione all’impegno dei cattolici e della Santa Sede nel conflitto. L’iniziativa si è potuta realizzare, grazie alla generosa disponibilità di ventiquattro docenti universitari che rappresentano molti degli Stati coinvolti nel conflitto.

Se la Prima guerra mondiale fu un violento scontro tra Stati, essa fu anche luogo di incontri, di riconciliazioni e di profonde e durevoli relazioni tra uomini spesso lontani gli uni dagli altri a motivo delle loro opinioni politiche o delle loro credenze religiose, ma riconciliati nel condividere per mesi e anni l’angoscia, le paure, la vicinanza della morte, le ferite, nelle disumane condizioni delle trincee, delle fortezze o dei campi di battaglia.

Un secolo dopo l’« inutile strage », i discendenti dei soldati della Prima guerra mondiale hanno l’opportunità di rivisitare parte della storia che ha segnato in modo duraturo il secolo XX, come l’aratro lascia la sua impronta sul campo.

La Prima guerra mondiale è scoppiata in una Europa globalmente cristiana, e la tentazione di mescolare fino a confonderle guerra e religione non fu illusoria. Se il ritorno sugli eventi del Primo conflitto mondiale potesse aiutarci a capire l’incongruenza della strumentalizzazione della religione e della sacralizzazione della guerra e della violenza, avremmo capito quanto la Storia sia Magistra vitae.

Accanto a Storici rappresentanti degli Stati belligeranti, che ci faranno comprendere come il conflitto fu vissuto dai loro connazionali e come furono accolte o meno le iniziative di pace della Santa Sede, cercheremo di cogliere più a fondo le dinamiche di alcuni settori della società in guerra.

Dal punto di vista della Chiesa, ci interessa molto analizzare le mosse di San Pio X allo scoppiare della guerra e di Benedetto XV nel 1917, così come le reazioni dei cattolici e degli altri credenti di fronte a questi tentativi di scongiurare, poi di arginare il conflitto.

Ci proponiamo di studiare anche l’operato dei cappellani militari che condivisero la vita e le prove degli uomini nelle trincee, così come l’opera d’assistenza svolta da religiosi e religiose che intendevano così servire la Patria, o l’opera compiuta dall’Ordine di Malta o dalla Croce Rossa.

Spesso dimenticate negli studi sulla Prima guerra mondiale, le donne rimaste sole non soltanto nelle campagne ma anche nelle città dove erano concentrate le industrie belliche, hanno svolto un lavoro che cambiò profondamente il loro posto nella società.

Questa guerra è qualificata come « Mondiale ». Non soltanto attraverso le colonie furono coinvolte le popolazioni di tutti continenti, ma anche il conflitto ebbe conseguenze importanti sulle missioni animate da religiosi che tornarono in Patria per arruolarsi, lasciando soli i missionari più anziani e le religiose. Poi, le conseguenze del trattato di pace furono una ridistribuzione della carta delle colonie e quindi del personale missionario.

Benché il nostro Convegno abbia principalmente come soggetto i Cattolici e la Santa Sede nella Prima guerra mondiale, abbiamo riservato vari interventi che ci offriranno l’opportunità di ascoltare vari Storici che ci parleranno di Stati dove furono predominanti protestanti e ortodossi, spesso caratterizzati da un legame particolare con il proprio Stato.

Nel nostro intento, c’è anche la volontà di far capire meglio l’essenza della posizione della Santa Sede nei conflitti, specialmente quando i contendenti sono cristiani, anzi cattolici. Vogliamo chiarire che la Santa Sede non rivendica tanto una certa « neutralità », bensì una reale « imparzialità » in cui manifesta attivamente il suo interesse per la pace e offre il suo contributo a creare le condizioni di una dignitosa e pacifica convivenza.

Questo primo Convegno Internazionale dovrebbe essere il primo organizzato dal nostro Comitato sulla Prima guerra mondiale. Ci proponiamo di organizzarne un secondo nel 2018 sulle conseguenze del Trattato di Versailles, che furono, almeno in parte, all’origine della Seconda guerra mondiale e le cui conseguenze si sarebbero ancora fatte sentire all’alba del secolo XXI.

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1 Acta Apostolicae Sedis, t. IX (1917) p. 421-423.

[01568-01.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento del Prof. Roberto Morozzo della Rocca

Questo convegno internazionale promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche si richiama all’”inutile strage”, espressione per la quale Benedetto XV è passato alla storia. La famosa definizione sta nella Nota di pace del 1° agosto 1917 rivolta dal papa ai paesi belligeranti.

Benché attentamente studiata per consentire a tutti gli Stati di uscire dal conflitto con un qualche margine di guadagno, salvo la Russia ormai in deriva interna, la Nota venne respinta e censurata dai vari governi che volevano soltanto una pace data dalla vittoria delle armi. Perché censurata oltre che respinta? I governi sapevano che i popoli volevano la pace. Quando Benedetto XV scriveva di inutile strage esprimeva il sentimento di moltitudini di europei, di famiglie, e soprattutto di combattenti sui vari fronti.

Chi ha letto corrispondenze di guerra dei soldati lo sa bene. Un atto come la Nota del 1° agosto 1917 era invocato dai soldati. Aveva scritto al papa un prigioniero di guerra italiano in Austria, la cui lettera venne trattenuta dalla censura:

“Vi prego, come padre di tutti noi, di rivolgere un appello a tutti i governanti degli Stati in guerra perché concludano presto la pace, perché noi prigionieri siamo tutti stufi di stare lontani dalle nostre famiglie e dalla nostra bella patria. Fate loro presente che è già stato versato molto sangue e che è ormai tempo di por fine a questo spaventoso massacro”.

Dopo la pubblicazione della Nota, il suo rifiuto da parte dei belligeranti suscitò sgomento nelle trincee. Scriveva un fante italiano:

“I soldati che stanno con me rabbrividirono nel sentire che la proposta della pace del pontefice fu scimmiottata dal Parlamento col dire che era una cosa da buttar negli stracci. E dicevano i miei compagni: se non ascoltano la voce dei bambini innocenti, se non ascoltano la voce dei diplomatici secolari e religiosi che cosa ascolteranno, noi combattenti?”

Nel largo fiume di libri, articoli, commenti che accompagnano questo centenario della prima guerra mondiale non sono mancate voci critiche sull’interpretazione della prima guerra mondiale come “inutile strage”. Voci critiche soprattutto perché questa interpretazione sembra aver prevalso sulle altre, quelle celebrative, patriottiche, nazionali, militari. L’affermazione dell’”inutile strage”, si è lamentato, avrebbe indotto a pensare la guerra del 1914-1918 come un massacro senza senso, un evento assurdo, un immotivato suicidio dell’Europa. Si sarebbe trattato invece di dire che la prima guerra mondiale fu un grande evento che cambiò la storia. Ossia che la guerra fu maestra di amor di patria; che obbligò alla modernità; che introdusse le masse nella politica; che fu il solenne battesimo di Stati, di nazioni, di rivoluzioni; che distrusse imperi obsoleti; che insegnò a molli popoli europei la darwiniana lotta per la sopravvivenza, ovvero il mors tua vita mea della battaglia.

Si può concordare o meno. Certo è che l’”inutile strage” e le tante altre condanne della guerra da parte di Benedetto XV sin dal 1914 (“spettacolo mostruoso”, “spaventoso flagello”, “orrenda carneficina”, “tragedia dell’umana demenza”, e segnatamente “suicidio dell’Europa civile”) non intendevano suggerire il non senso e l’assurdo, non negavano la modernità e l’epocalità della guerra in atto, e certamente non disprezzavano il sacrificio di milioni di vite. Piuttosto percepivano una realtà storica profonda. Quella di popoli fratelli che la propaganda metteva gli uni contro gli altri, di cristiani e di cattolici che a centinaia di milioni si trovavano in entrambi i fronti belligeranti, di un’Europa che con la guerra abdicava al suo primato di civiltà per cedere il passo ad altri (gli Stati Uniti), di un conflitto tale da lasciare sentimenti di odio e vendetta anziché prospettive di pace durevole.

La storia successiva giustifica appieno, a mio avviso, il successo postumo della definizione di “inutile strage”. Dopo la prima guerra mondiale infatti vengono nazionalismi d’ogni specie, totalitarismi di destra e di sinistra, particolarismi e pulizie etniche di piccoli Stati-nazione, feroci movimenti antisemiti alla ricerca di capri espiatori, nonché viene la guerra del 1919-1945 che è la ripresa della precedente dopo i trattati di pace versagliesi, troppo unilaterali, ispirati all’etica della punizione foriera di revisionismo e vendetta.

E ancora, dalla prima guerra mondiale vengono le prime armi di distruzione di massa, i bombardamenti, i gas, i sottomarini, le distruzioni di città, i civili coinvolti nei lutti bellici, i genocidi (quello degli armeni cui si sarebbe ispirato Hitler), insomma la modernità a disposizione della morte. La violenza era fuoriuscita dalle regole militari aristocratiche applicate per secoli: poteva ora investire le masse, sterminare popoli interi, coniugarsi con gli odi etnici e ideologici. La violenza era diventata cieca. S’era appreso a uccidere e a morire senza vedere mai in faccia il nemico, ormai senza più volto e fattezze umane, feticcio maledetto a distanza che si manifestava solo con ferro e fuoco, granate e gas, mai con voce umana. Assoluta era stata l’indifferenza alla morte altrui, esemplificata nella letteratura di guerra dagli artiglieri, indifferenti alle stragi operate dai loro grossi calibri: gli uomini che saltavano in aria, maciullati, venivano osservati a distanza con i cannocchiali come birilli di un gioco a punti. Rammento, di una mia visita sul monte Sabotino, la facilità di trovare resti di caduti corrispondenti alle piccole ossa dei piedi, essendo stato il resto dei corpi letteralmente disintegrato dalle potenti granate.

All’epoca, l’”inutile strage” non fece unanimità, neppure tra i cattolici, le cui élites erano risucchiate dal pensiero nazionalista o aderivano incondizionatamente al clima di union sacré nelle diverse patrie. Del resto anche i socialisti non facevano eccezione a simile clima: “L’internazionale è fatta per il tempo di pace”, diceva Kautski. Intellettuali cattolici di ambo le parti credevano al “Dio è con noi”. Qualcuno, come Léon Bloy, paragonò papa Benedetto a Ponzio Pilato, per l’asserita insensibilità alle sofferenze di chi combatteva dalla parte della giustizia, e il non prender partito per nessuno. Diversamente pensavano gli umili e i poveri d’ogni dove, i soldati nel fango delle trincee, le madri in angoscia, le masse contadine estranee ai motivi del conflitto, i feriti e i prigionieri, gli sfollati delle regioni occupate, quanti avevano sentimenti di pace.

In tutti gli ambienti governativi ufficiali, e negli ambienti nazionalisti allora dominanti, l’”inutile strage” apparve un’espressione disfattista e fu condannata e rimossa dalla sfera pubblica. In Italia, poco dopo, non si mancò di addebitare Caporetto a Benedetto XV e ai socialisti, in quanto pacifisti, quando invece si trattò di una chiara sconfitta nella strategia e tecnica militare. Finita la guerra tuttavia l’”inutile strage” sarebbe stata gradualmente riabilitata, dato il disordine che scuoteva l’Europa e lo smarrimento che la guerra aveva prodotto nell’animo europeo. Invalse la consapevolezza del suicidio dell’Europa civile.

Ci si rammentò delle parole del ministro degli Esteri inglese, Edward Grey, che il 3 agosto 1914, mentre la Gran Bretagna scendeva in campo contro la Germania che le contendeva il primato mondiale, mormorava sconsolato: “Le luci si stanno spegnendo su tutta l’Europa e nel corso della nostra vita non le rivedremo più accese”. L’intelligenza europea si rese conto dell’autodistruzione messa in atto dal vecchio continente negli anni precedenti. Già nel 1919 un Paul Valéry sconvolto dalla guerra diceva: “Nous autres, civilisations, nous savons maintenant que nous sommes mortelles”. Molti altri l’avrebbero seguito a parlare di declino o morte dell’Occidente, identificato con l’Europa, e a chiedere oblio per la follia della guerra trascorsa. Così Spengler, Toynbee, Ern, Ortega y Gasset, Berdjaev, Maritain, Benda, Guénon, Huizinga scrivono di crisi di civiltà.

Benedetto XV non era un disfattista, né un apocalittico, né un teorico del non senso. Era se possibile un patriota italiano, con un fratello ammiraglio nella regia marina. Né era un pacifista assoluto: mai rinnegò la dottrina tomista della guerra giusta, che del resto in origine, prima di essere usata per crociate contro gli infedeli, per sradicamenti di eresie, o per conquiste coloniali, era tutt’altro che un incentivo a far guerre, ponendo ardue condizioni alla loro legittimità, e dunque era una dottrina di cristiana diffidenza per la violenza in qualunque sua forma. Ma quella prima guerra mondiale, a Benedetto XV, parve davvero una inutile strage e un suicidio dell’Europa, un ingiustificato massacro tra genti dalla stessa natura e con lo stesso progenitore nei cieli. Per questo la condannò dal suo primo giorno di pontificato.