CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, 23.01.2014
Il testo del Messaggio del Santo Padre si trova nella seconda pagina
- INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI
- INTERVENTO DELLA PROF.SSA CHIARA GIACCARDI
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 48a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema: “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”.
Intervengono S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e la Prof.ssa Chiara Giaccardi, Professore Ordinario della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Dipartimento di scienze della comunicazione e dello spettacolo.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI
Il messaggio che oggi presentiamo è il primo Messaggio che Papa Francesco scrive in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e, come vedremo pian piano, si tratta di un documento profondamente “francescano”.
1. Come loro sanno, per addivenire alla formulazione dei tre temi da presentare al Santo Padre come possibili riferimenti per il Messaggio della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali questo Pontificio Consiglio svolge un’ampia consultazione internazionale. Ci rivolgiamo a persone che lavorano nei centri accademici, ad altre che sono impegnate nella pastorale della comunicazione in vari paesi, a teologi o persone particolarmente sensibili alla tematica comunicativa. Le numerose proposte ricevute vengono analizzate da questo Pontificio Consiglio che poi propone al Santo Padre tre temi perché ne sia scelto uno che diventerà il tema centrale del Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Come ricorderanno, in occasione della Festa degli Arcangeli è stato annunciato che il tema di quest’anno sarebbe stato “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”.
2. Già il 21 settembre 2013, rivolgendo la sua Parola ai partecipanti all’Assemblea Plenaria di questo Pontificio Consiglio, il Papa aveva toccato alcuni aspetti della tematica dell’incontro. In quella occasione il Papa domandandosi che ruolo deve avere la Chiesa con le sue realtà operative e comunicative, sottolineava che “In ogni situazione, al di là delle tecnologie, credo che l’obiettivo sia quello di sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi … per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze“. Proprio in quella occasione il Papa sottolineava che “E’ importante, allora, saper dialogare, entrando, con discernimento, anche negli ambiti creati dalle nuove tecnologie, nelle reti sociali, per far emergere una presenza, una presenza che ascolta, dialoga, incoraggia“. Come è possibile rilevare, ci troviamo di fronte linee significative di una ecclesiologia che Papa Francesco sta proponendo fin dai primi giorni del suo Pontificato e che ha trovato ampia espressione nei due discorsi che il Papa ha tenuto in Brasile rivolgendosi ai Vescovi Brasiliani e a quelli del Celam. Sono linee guida portanti che si coniugano con la variegata tematica propria del mondo della comunicazione. Anche in questo Messaggio emerge a tutto tondo l’immagine di una Chiesa che vuole comunicare, che vuole dialogare con l’uomo e le donna di oggi nella consapevolezza del ruolo che le è stato affidato in questo contesto. Ripetutamente il Papa ha sottolineato il tema della cultura dell’incontro invitando la Chiesa e i suoi membri a confrontarsi con alcune dimensioni ed esigenze proprie di tale cultura.
3. In questo Messaggio emergono vistosamente due ampie tensioni. La prima parte del Messaggio, infatti, si rivolge al mondo “laico” della comunicazione, vale a dire il Papa offre delle riflessioni valide anche per coloro che non hanno fatto un’opzione religiosa nella propria vita, ma che ugualmente sono chiamati a percepire o già sentono la profonda valenza umana del mondo della comunicazione: “Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti”. Così come si ricorda che “I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri”perché “La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri” . Non mancano sottolineature intese a riscoprire certi limiti dell’attuale cultura digitale. Limiti reali che esigono una particolare attenzione da parte di coloro che seguono da vicino le movenze e la crescita della comunità in cui viviamo. Per questo motivo Papa Francesco ricorda che tali limiti “non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica”.
4. È però rivolgendosi ai discepoli del Signore che il Messaggio acquista particolari colorazioni e frequenze profonde. Mi pare altamente suggestivo il riferimento alla parabola del buon samaritano per aiutarci a capire la comunicazione in termini di prossimità. E proprio rileggendo tale parabola, in prospettiva di comunicazione, che Papa Francesco può affermare “Chi comunica, infatti, si fa prossimo” e aggiunge “il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada … Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio”. E sempre alla luce del racconto evangelico, il Papa sottolinea che “Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli … Abbiamo bisogno di amare ed essere amati”. Ed è in questa prospettiva che emerge una sfida per tutti noi che cerchiamo di essere discepoli del Signore. E la sfida è proprio poter scoprire che “La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane … solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento”.
5. Poco sopra affermavo che questo Messaggio è eminentemente “francescano”. Emerge senza dubbio una profonda sintonia tra l’immagine della Chiesa così come Lui la sta tratteggiando e il mondo della comunicazione. Ecco, perché ritroviamo in questo testo l’affermazione che “La comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo”. È innegabile che parlare di cultura dell’incontro è prestare attenzione all’altro e la Chiesa non può sottrarsi alla necessità “di fare compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme” (Discorso ai Vescovi del Brasile). C’è una trilogia che risuona ampiamente in questi testi: vicinanza, prossimità, incontro: “la vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro” (Discorso ai Vescovi del Celam, 28 luglio 2013). Se la cultura dell’incontro è attenzione e prossimità all’uomo in quello che è la concretezza del suo cammino quotidiano deve essere in grado, in un dialogo rispettoso, di portare l’uomo e la donna di oggi all’incontro con Cristo. Ecco perché, come il Papa sottolinea in questo Messaggio, “Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo … La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale”. È materia questa alla quale Papa Francesco aveva fatto riferimento nel discorso su menzionato ai partecipanti all’Assemblea Plenaria, ma è stato anche un tema toccato da Papa Benedetto XVI nel Suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2013 dove si faceva riferimento a “la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana “. Si tratta indubbiamente di un rapporto umano dove ciascuno di noi coinvolge la propria vita, il proprio stile comunicativo, la propria attenzione all’altro. Come opportunamente diceva Papa Francesco parlando ai Vescovi Brasiliani “per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere tale eredità“.
6. Mi piace fare risaltare una annotazione che anche Padre Spadaro ha sottolineato recentemente. È un riferimento particolare e suggestivo al discorso che Papa Paolo VI fece il 7 dicembre 1965 alla cerimonia di chiusura dell’ultima sessione del Concilio Vaticano II. Mi sia permesso citare un passaggio significativo di quel discorso che è in piena sintonia con ciò che Papa Francesco afferma in questo ultimo Messaggio: “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo“.
7. Termino ricordando la conclusione di questo Messaggio “L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio“.
8. Quanto ci propone Papa Francesco è una grande sfida per tutti noi, ma la accogliamo con serena dedizione: questo è il nostro cammino, la nostra missione.
[00105-01.01] [Testo originale: Italiano]
INTERVENTO DELLA PROF.SSA CHIARA GIACCARDI
1) Nella società della comunicazione, paradossalmente la comunicazione è un problema: le possibilità aumentano, ma la sua realtà sembra diminuire; le parole rischiano l’insignificanza, ma anche i gesti non sono privi di ambiguità. Come rigenerare allora, oggi, quella capacità di comunicare che così profondamente ci costituisce, dato che l’essere umano è essere-in-relazione? Il messaggio per la 48aGMCS ci indica una via: quella dell’incontro.
2) Nella comunicazione di Papa Francesco, oramai lo sappiamo, i gesti sono eloquenti, e le parole sono programmi di azione.
Non si tratta quindi di sostituire il gesto alla parola, di passare dalle parole ai fatti, di sostituire alle belle parole i bei gesti. Sia le parole che i gesti possono essere di per sé ambivalenti, strumentali, violenti sotto le apparenze.
Parole e gesti comunicano pienamente quando si illuminano a vicenda, quando si incontrano d avvero; e soprattutto quando tendono nella stessa direzione: la costruzione di prossimità.
3) ‘Incontro’ è una delle ‘parole programmatiche’ delle parole-gesto più presenti nella Evangelii gaudium. Essa ci attrezza anche al dialogo con la cultura contemporanea, proponendo il modello dell’apertura, dell’uscita da sé, dell’andare verso l’altro, della gratitudine e della comunione come luogo della bellezza e della pienezza dell’umano, al posto di quelli dell’autonomia, dell’autosufficienza, dell’autoreferenzialità, dell’individualismo, dell’io idolo di se stesso, così diffusi e così incapaci di realizzare le loro promesse di felicità e libertà.
L’incontro è sempre incontro di altri e di altro. È sempre un’uscita da sé per far spazio ad altri. È il contrario dell’autoreferenzialità.
L’incontro dice la natura relazionale dell’essere umano: ‘la persona vive sempre relazione. Viene d a altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri’ (LF 38).
4) A partire da questa dimensione fondamentale dell’umano, Papa Francesco ci offre almeno tre indicazioni chiare per interpretare/abitare il mondo contemporaneo, dove i media, in particolare quelli digitali, sono così pervasivamente presenti; per aiutarci, ci presenta poi un’icona sintetica del c ristiano comunicatore, da meditare e dalla quale lasciarsi guidare.
Le tre indicazioni:
– Innanzitutto ‘la comunicazione è in definitiva una conquista umana più che tecnologica‘. La tecnologia può facilitare od ostacolare, ma non ci determina. Il tecnologico agevola la connessione (riduce le distanze) ma non crea di per sé comunione e prossimità: la libertà, l’iniziativa, la disponibilità a entrare nella reciprocità dell’incontro ne sono condizioni indispensabili.
Se il primato ė dell’antropologico sul tecnologico, ogni determinismo è da rifiutare: la rete non ci rende più socievoli, né più soli. Non usiamola quindi come alibi o come capro espiatorio di responsabilità che sono invece nostre.
– Secondo: ‘capire la comunicazione in termini di prossimità‘: dire che la comunicazione non è prima di tutto trasmissione di contenuti, ma riduzione di distanze è una piccola rivoluzione copernicana rispetto al senso comune. Non sono le strategie, il marketing, gli effetti speciali che fanno la comunicazione. È superare ciò che ci divide, far crescere ciò che ci è comune (communis); è farsi reciprocamente dono di sé (cum-munus).
Comprendere la comunicazione come prossimità, e non come trasmissione (che può avvenire più tranquillamente a distanza) ha profonde implicazioni anche su educazione, formazione, istruzione, catechesi.
Ma riduzione delle distanze non è semplice accessibilità: non basta ‘vedere’ per sentirsi prossimi. Nel villaggio globale è facile sentirsi appagati della ‘retorica della pietà a distanza’. È solo fermandosi, facendosi carico, prendendosi cura che ci si fa prossimi. Lasciandosi interpellare, commuovere, toccare il cuore fino a modificare i nostri progetti per abbracciare l’altro che ci chiama. E risvegliare così la nostra umanità: l’incontro, la prossimità, l’ospitalità sono infatti parole di reciprocità, dove dare e ricevere sono inseparabili: incontrando il volto dell’altro posso riconoscere il mio volto più umano.
– Terzo: quando la parola e la vita sono in sintonia profonda, perché il cuore si ė lasciato toccare e trasformare dall’incontro (la fede nasce sempre da un incontro, EG 7), il comunicatore è autorevole. La testimonianza, ovvero la parola incarnata, porta calore e bellezza su tutte le strade, anche quelle digitali.
Un messaggio che non scaturisce da noi, se non nel senso che ne siamo stati ‘fecondati’; né è mosso da un dover essere, bensì da una bellezza e una gioia grandi che non possiamo tenere per noi: essere cristiani ė condividere. E in questo, la logica del web è più un aiuto che un ostacolo.
Il fatto, poi, che in rete il corpo non c’è, non produce per forza disincarnazione delle relazioni. Se siamo capaci di accarezzare, siamo capaci anche di ‘carezze digitali’.
5) E infine qualche riflessione a partire dal buon samaritano, che per il Papa ‘è anche una parabola del comunicatore’: chi comunica, infatti, si fa prossimo.
– innanzitutto il samaritano non è un ‘tecnico’, uno specialista: tra chi lo ha preceduto sulla strada, era forse il meno ‘titolato’ a esercitare una funzione. Tuttavia, si sa che nel vangelo sono proprio i samaritani (considerati stranieri e nemici) che spesso Gesù porta a esempio. Chi conosce il dovere, le regole, le leggi non necessariamente agisce di conseguenza. Non bastano il sapere, o il prestigio sociale, a renderci capaci di comunicare, tantomeno umani: un monito per la ‘chiesa dei funzionari’, ma anche per i giornalisti (e gli intellettuali) e il loro mondo non certo immune dall’autoreferenzialità.
– Il sacerdote e il levita hanno mancato l’incontro. Hanno contribuito alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’. Non fermarsi era, certo, un loro ‘diritto’. C’è sempre una ‘buona ragione’, un alibi per passare oltre: le nostre urgenze, i nostri doveri. Forse il sacerdote doveva correre al tempio per celebrare una funzione. Non fermandosi ha magari onorato il suo ruolo, ma non la sua umanità.
Si può essere vicini, ma disconnessi. Si può parlare in un modo e agire in un altro. Non sono certo online e offline che frammentano le nostre vite!
– prendersi cura dell’altro vuol dire trasmettergli con la sollecitudine il messaggio ‘sono con te’, prima ancora che dirgli qualcosa con le parole. Significa praticare l’eccedenza e il ‘di più’ della gratuità, liberi dal rapporto costi-benefici, e a volte anche dal ‘buon senso’; significa essere disposti a mettere tutto quello di cui si dispone (il cavallo, l’olio e il vino, le monete per l’oste).
Solo così si potranno, con credibilità, mobilitare anche altri (l’oste) in una catena di solidarietà. Perché non siamo, né vogliamo essere, onnipotenti!
– i giornalisti (ma anche gli accademici, spesso accostati da Papa Francesco nella EG) devono decidere da che parte stare: il mondo è ferito e si può mostrare per ‘diritto di cronaca’ queste ferite con pretesa di neutralità, di obiettività, passando subito oltre.
O, peggio, possono essere i briganti che malmenano la realtà, la distorcono, non si curano delle conseguenze delle loro azioni e delle loro parole pur di trarre un vantaggio personale.
Oppure possono essere il samaritano, che guarda con benevolenza il ferito, lo accarezza, cerca di aiutarlo come può, e mette in moto altri, una catena contagiosa, sulla base della propria testimonianza.
– prendersi cura delle ferite dell’altro vuol dire anche curare se stessi (tutti siamo feriti e prestando attenzione all’umano coltiviamo la nostra umanità): incontrare è verbo di reciprocità, come ospitare. Non c’ė elargizione magnanima, ma circuito vitale di dare e ricevere. Cura viene da ‘cor urat‘, scalda il cuore. Stando insieme, tutti si scaldano. Ciascuno prende e da, dona e riceve. Trasformando l’altro in prossimo non siamo ‘buoni’: siamo vivi.
– Vedere e agire troppo spesso sono separati. È il cuore, che si lascia toccare, a riconnetterli e a restituirci la pienezza della nostra umanità. Il samaritano è l’uomo intero, prima di tutto: vedendo, agisce. E la sua azione è la risposta a una chiamata, non mero volontarismo.
È la compassione che converte, che cambia. L’incontro è un ‘inizio vivo’, come lo chiama Guardini. Un seme, un’occasione di pienezza dalla quale lasciarsi coinvolgere; una ‘partecipazione vitale’ all’amore di Gesù per noi: ‘così egli ama anche sospinto dal suo amore, e partecipa così a una pienezza di cuore che oltrepassa le possibilità pienamente umane’ (Guardini).
– Solo l’uomo intero è veramente libero: dalle classificazioni sociali (amico/nemico), dagli stereotipi. Libero di far essere la suprema forma di vicinanza laddove l’obiettività dei fatti e la forza delle convenzioni traccerebbero un confine invalicabile: un samaritano che soccorre un giudeo sarebbe, oggi, come un palestinese che soccorre un israeliano. Ci vuole grande libertà per un gesto come questo.
– La libertà che si lascia coinvolgere non è quella dell’eroe, ma è la libertà della tenerezza, che si prende cura e ‘ripara’ anche ciò che altri hanno ferito. Una libertà per l’altro e con l’altro; una libertà eccedente, con ‘olio per le ferite e vino per l’allegria’; e con il profumo della grazia.
Un’immagine che si lascia illuminare dalle parole della Evangelii gaudium (87): ‘Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!’
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