Coltivare il cuore
La metafora del frutto e dellโalbero รจ comune alla prima lettura Siracide (Sir 27,4-7) e al Vangelo (Lc 6,39-45), in particolare per alludere al rapporto tra cuore e parola, dove il parlare diviene rivelazione di ciรฒ che vi รจ nel profondo del cuore. La parola unisce cuore e bocca, ovvero, interno ed esterno, invisibile e visibile, silenzioso e udibile ed รจ ponte gettato tra me e lโaltro, e poichรฉ ci sono parole di vita e parole che producono morte e sofferenza. Le parole poi rivelano la qualitร del cuore, la sua intenzione, sicchรฉ ne risulta la necessitร di coltivare il cuore. Lโidea di coltivazione del cuore mi pare un insegnamento essenziale che emerge da questi testi: essa riprende lโimmagine dellโalbero (Sir 27,6; Lc 6,43-44), che spesso nella Bibbia simboleggia lโessere umano.
La prima lettura รจ tratta dal libro del Siracide, un testo afferente alla letteratura sapienziale. Biblicamente, la sapienza รจ un sapere pratico che mira alla conoscenza dellโumano e allโapprendimento dellโarte della vita. E dellโumano fa parte essenziale la parola, il cui esercizio รจ fondamentale perchรฉ โmorte e vita sono in potere della linguaโ (Pr 18,21). Ecco dunque lโaffermazione di fondo del nostro testo: il parlare, il conversare (loghismรฒs, in greco), รจ la prova degli uomini (vv. 5.7). La parola svela la persona. In particolare, sottolinea il nostro testo, il parlare fa emergere i difetti di una persona: come un setaccio, quando viene scosso, lascia cadere le scorie, cosรฌ, nel parlare degli uomini emergono i loro difetti.
In veritร i termini usati da Siracide nel v. 4 sono piรน grevi e significano sterco, letame (koprรญa) e immondizia, rifiuti (skรฝbala). Analoga immagine troviamo nel v. 5 dove viene istituito il paragone tra il parlare e il lavoro del ceramista: come il forno mette alla prova i vasi – essi cioรจ devono passare attraverso la fornace per emergere nella loro forma – cosรฌ lโattivitร di parola รจ la prova degli uomini, che emergono nella loro qualitร e vengono visibilizzati per ciรฒ che sono realmente. Ulteriore immagine utilizzata dallโautore del Siracide รจ quella dellโalbero e del suo frutto. Il frutto dellโalbero manifesta come รจ stato coltivato lโalbero. Cosรฌ la parola appare come frutto del cuore, ovvero come epifania, svelamento dei pensieri del cuore. E il v. 7 ribadisce questa idea consigliando di non affrettarsi a lodare gli uomini prima di averli sentiti parlare. Non deve stupire questa insistenza sul tema della parola perchรฉ รจ tipica di tutta la tradizione sapienziale, non solo biblica. In un testo egiziano si dice: โSii un artista della parolaโ.
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In effetti, quando parliamo, e di qualsiasi argomento trattiamo,ย sempre parliamo a partire da noi stessi e parliamo di noi. La parola รจ intimamente legata al nostro corpo e alla nostra anima, alla nostra biografia e alle nostre ferite. La parola รจ anche forma di esplicita consegna di noi allโaltro: la parola ci mette a nudo perchรฉ viene dal cuore, svela qualcosa della nostra interioritร . Atto di comunicazione elementare e imprescindibile, la parola รจ dunque una responsabilitร : una volta pronunciata, essa appartiene a chi lโha ascoltata. Parlare ha una dimensione etica evidente almeno a tre livelli: rispetto per lโaltro (a cui si parla), rispetto per la parola (che viene pronunciata), rispetto per se stessi (cioรจ, per il parlante: dire รจ sempre dirsi).ย
La parolaรจ ciรฒ che fa di noi degli esseri umani. Per lโuomo venire al mondo รจ accedere alla parola, prendere la parola. Con essa lโessere umano si situa in rapporto al reale: tra sรฉ e il mondo lโuomo interpone la rete delle parole e cosรฌ egli nomina il mondo, lo conosce, lo elabora, lo significa e puรฒ abitarlo. Questo legame originario tra parola e umano spiega perchรฉ la letteratura sapienziale accordi tanta importanza al tema. In tempi di strame della parola, di inflazione e abuso della parola cosรฌ che essa viene svuotata dallโinterno, di idolatria della comunicazione che svilisce la parola riducendola a mero strumento comunicativo smarrendo il senso del suo essere ciรฒ che ci consente di essere noi stessi, di relazionarci agli altri e di abitare in societร e nel mondo, puรฒ essere utile rileggere alcuni passaggi sapienziali che svelano i difetti del parlare, il parlar male, il male-dire.
Chi esagera nel parlare arriva a essere detestato da tutti, a essere sentito come insopportabile perchรฉ โvuole imporsi a tutti i costiโ (Sir 20,8). Infatti, โnel molto parlare non si sfugge al peccatoโ (Pr 10,19): nel troppo parlare si va incontro alla dissipazione di sรฉ. Siracide mette in guardia in particolare contro calunniatori e menzogneri (Sir 28,13-16). โNon seminare menzogne contro tuo fratello … Non ricorrere mai alla menzogna: รจ unโabitudine che non porta alcun beneโ (Sir 7,12-13). La menzogna svela la mancanza di dignitร umana del mentitore, oltre a mostrare la sua mancanza di rispetto per lโaltra persona e il disprezzo per la parola stessa profanata nella sua sacralitร .
La parola esercita un potere su chi la pronuncia: non รจ vero che noi siamo sempre padroni di ciรฒ che diciamo. La parola menzognera arriva a impadronirsi del menzognero e lo porta lร dove lui non vorrebbe. E la menzogna รจ il meccanismo piรน potente che arriva a dominare chi mentendo intende controllare la realtร , ricrearla, manipolare gli altri, indurli a credere ciรฒ che lui vuole. Si abusa della parola per abusare delle persone a cui si parla. Ogni abuso si fonda sempre sullโabuso della parola: si rende la parola uno strumento di potere. Quanto poi al parlare volgare, il Siracide avverte che diventa unโabitudine da cui non ci si libera e che ci rende sgradevoli agli altri: โNon abituare la tua bocca a grossolane volgaritร โฆ Un uomo abituato a discorsi ingiuriosi non si correggerร in tutta la sua vitaโ (Sir 23,13.15).
Ma veniamo al testo evangelico che si chiude con lโaffermazione che fa eco al testo del Siracide sulle parole come rivelatrici del cuore e che dice: โla bocca esprime ciรฒ che dal cuore sovrabbondaโ (Lc 6,45). La pericope lucana riunisce diversi detti di Gesรน che, nei vv. 39-42 trovano una certa unitร intorno al tema dellโocchio, del vedere e della cecitร , dunque del discernere, mentre nei vv. 43-45 le parole sul frutto da cui si riconosce – si โvedeโ – lโalbero introducono la frase sulle parole che rivelano il cuore, ovvero sulla parola come ciรฒ che visibilizza e fa vedere il profondo dellโuomo. Un buon discernimento deve prestare molta attenzione alle parole che uno pronuncia, a come le pronuncia, a come le accompagna con il corpo e con le emozioni (in sintonia o in dissonanza) e anche a ciรฒ che tace. Gesรน rivolge queste parole in particolare ai discepoli: esse dunque riguardano la vita ecclesiale. Il detto sul cieco che guida un altro cieco (Lc 6,39) va letto nella scia delle parole di Gesรน โnon giudicate e non sarete giudicatiโ (v. 37).
Ma chi รจ questa guida cieca? Possiamo pensare a responsabili ecclesiali non allโaltezza, ma forse il discorso riguarda ogni cristiano e allora il senso รจ dato dai vv. 41-42, ovvero dal detto che parla di pagliuzza e trave nellโocchio. Cieco รจ colui che crede di vedere, che pretende di curare i difetti degli altri, senza accorgersi di nutrirne egli stesso di ancora piรน gravi. Lโunica critica credibile nasce da unโautocritica. E lโunico intervento โterapeuticoโ sensato e con qualche speranza di successo, nasce da chi ha riconosciuto se stesso come malato, ha visto la propria carenza, conosciuto lโumiliazione della condizione menomata e ha accettato di lasciarsi curare. Per poter aiutare realmente lโaltro occorreย fare la veritร in se stessi. La libertร che nasce dal โfare la veritร โ (cf. Gv 8,32) รจ la condizione dellโautenticitร del nostro intervento di aiuto presso lโaltro.
Altrimenti, senza questa operazione, vedere il difetto dellโaltro e aiutarlo a disfarsene diviene ciรฒ che ci consente di non riconoscerlo in noi. E cosรฌ restiamo ciechi e non liberi. In questo contesto, il detto sul discepolo ben preparato (Lc 6,40) si riferisce al discepolo che dal maestro ha appreso a vedere i propri difetti. Lโopera di coltivazione del cuore, cioรจ della propria umanitร , passa attraverso la presa di coscienza dei propri precisi limiti e delle proprie peculiari negativitร . Un buon maestro, un maestro che dunque esercita una vera generativitร nei confronti degli allievi, deve trasmettere, quasi trasfondere nel discepolo questa coraggiosa umiltร . Dice il testo: โUn discepolo non รจ sopra il maestro; ma ognuno,ย compiuta la sua formazione, sarร come il suo maestroโ (Lc 6,40). Il verbo impiegato,ย katartรญzo, รจ usato nel linguaggio marinaro per indicare lโequipaggiare una nave, o in ambito medico per indicare il ristabilire, in mettere in forma. Qui si tratta di dare una formazione, di equipaggiare chi intraprende la vita cristiana, di fornirgli gli strumenti basilari per poter abitare il mondo custodendo la fede. E allora, come lโalbero buono si vede dai frutti buoni che porta, cosรฌ la buona formazione si vedrร dai frutti: che sono certamente le opere che uno compie, ma anche le parole che pronuncia, perchรฉ, appunto, โla bocca esprime ciรฒ che dal cuore sovrabbondaโ (Lc 6,45).
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Per gentile concessione del Monastero di Bose