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Comunità Kairos – Commento al Vangelo di domenica 2 Febbraio 2025

Domenica 2 Febbraio 2025 - PRESENTAZIONE DEL SIGNORE - FESTA - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 2,22-40

Tutto rigorosamente secondo la Legge, pare l’impostazione del brano. Il bambino Gesù ha quaranta giorni di vita quando, prima del ritorno a Nazaret, viene portato per la prima volta su a Gerusalemme, al tempio, perché, e Luca ce lo sottolinea incisivamente ben cinque volte nel brano, i suoi vogliono fedelmente adempiere ogni prescrizione, anche desueta, della Legge.

Così intendono presentarlo a quel Signore (Es 13,12), da cui lo hanno misteriosamente ricevuto in dono, riscattarlo ritualmente e compiere la purificazione della puerpera, portando l’offerta dei poveri (Lev 12,8). Sentono di doverlo inserire nella storia sacra di Israele che incontra Dio nell’ubbidienza ai precetti.

Se in Luca questa nascita era stata annunziata dagli angeli ai pastori, gli emarginati del mondo, come pace di Dio per “gli uomini, che egli ama” universalmente, ora l’attenzione si sposta su Gerusalemme e sul suo Tempio. Ma ecco che la struttura sacrificale del rito passa in secondo piano; il tutto non vi viene neanche rappresentato, perché la scena si ribalta ed un altro personaggio converge verso quel tempio, luogo di un appuntamento della storia più pressante di una stanca ritualità. È Simeone, un uomo di Gerusalemme, privo di ruoli specifici, ma con un nome che significa: colui che ascolta, intima essenza che ne ha plasmato la personalità di uomo giusto e pio, uditore della Parola, malato dell’attesa del Messia e persuaso, da spirituale precognizione, che lo avrebbe contemplato prima di morire.

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Così colui che attende e l’Atteso intersecano le loro vite nel tempio in un inedito incontro (Incontro è infatti il nome di questa festa nella liturgia orientale), sotto la regia dello spirito. Di più, nel vecchio che accoglie tra le braccia il bambino Gesù giunge al suo approdo la storia santa della Prima Alleanza, fondata sull’ascolto – Shemah Israel – della legge e che ha esaurito il suo compito di preparazione e prefigurazione della Nuova Alleanza, abbracciata nel piccolo. Questi, prima di essere presentato al Signore ed essere riscattato, viene con paradossale inversione presentato al popolo quale Messia e narrato lui come riscatto di Gerusalemme (v 38).

Ora Simeone, l’antico, può andare in pace; aspettava la consolazione d’Israele secondo la parola del Deuteroisaia 52, “9Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. 10…tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” e la gioia incontenibile non trova che il cantico per dire il suo grazie al Signore. Grazie, perché i suoi occhi hanno visto la salvezza, donata in quel nome appena imposto, Gesù, Dio salva, luce rivelativa di Dio per tutti i popoli.

L’associata liturgia della benedizione dei ceri prolunga oggi il segno della sfolgorante luce natalizia, quella di chi è inviato a sanare le tenebre esistenziali degli uomini con il dono dell’amore divino. Ma Simeone, educato al mistero dal lungo ascolto della parola, vede ancora altro e lo svela a Maria, la madre.

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Perché, in fondo, che salvezza hanno contemplato i suoi occhi penetranti se non un fragile lattante, bisognoso di tutto, assolutamente impotente? Eppure, prendere tra le braccia questa umanità vulnerabile ha significato per lui abbracciare la vera immagine di Dio, assolutamente altra. Questa rivelazione nuda, senza segni se non quello della debolezza indifesa dell’incarnazione, diventerà per forza essa stessa “segno contraddetto”. Gesù subirà un destino di opposizione a questa sua messianicità, che attraverserà Israele e, a seguire, le nazioni. Non indolore sarà la scelta tra accoglienza e rifiuto:

Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,23) perché lui è la Parola e “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).

E per Maria questa spada, questa Parola accolta ora e cullata nel cuore, sarà svelata un giorno terribilmente indecifrabile ai piedi della croce e le trapasserà l’anima. Ma lassù, al Golgota, Gesù si rivelerà salvezza quando, attraversate con il dono della vita le tenebre umane del rifiuto, brillerà, luce incontenibile, nel perdono e nella resurrezione.

A questo punto appare un’altra anziana, stavolta dal ruolo specifico: è profetessa e pare in filigrana rappresentare la profezia che negli ultimi tempi non aveva avuto più parole da dire, ma solo preghiere. Anche lei, Anna, la vecchia vedova che ha perso lo Sposo in gioventù e si strugge tutta la vita presso la sua dimora nell’attesa di rincontrare il suo Volto, incontrato il bambino torna al suo ruolo, a parlare di lui a quanti aspettavano la liberazione di Gerusalemme.

Oggi, nei due vediamo compiersi l’attesa di tutte le fedi, e anche, al di là delle fedi, di tutti i singoli giusti, rispettosi dell’umanità propria e altrui; l’attesa appagata di chi si fa carico della debolezza indifesa, di chi si scorda di sé per amore e si ritrova ricordato da Dio. Simeone e la profetessa Anna rappresentano allora l’Israele giusto che ha coltivato la fede nella promessa. Ora l’incontro tra l’antico e il nuovo di Dio supererà il culto templare, e sfocerà nella religione dello Spirito.

Allora congeda, o Signore, il tuo servo in pace, secondo la tua parola.

Perché c’è qualcosa in noi che tiene a lungo frenato il pieno flusso della vita, qualcosa che inchioda al palo. È la paura del salto nel buio. Abbiamo dentro sempre un Simeone che non vuole morire, abbandonarsi, senza essere prima rassicurato e consolato. A lui che stringe tra le braccia il piccolo Gesù è rivelato l’approdo finale nella luce, perché quella sua salvezza attraverserà ormai ogni tenebra e ogni morte.

La seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei, ce lo ricorda: Gesù è divenuto partecipe di sangue e carne per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. (2, 14-15).

Vanna – Comunità Kairos.

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