Solo Giovanni ci racconta questo episodio della vita di Gesù che tutti conosciamo come “Le nozze di Cana”. Strano racconto di nozze in cui non compaiono gli sposi, o, meglio, solo indirettamente affiora lo sposo, quale destinatario di un elogio immeritato da parte del Maestro di tavola per la bontà del vino, giunto quasi alla fine del banchetto, quando, si presume, gli invitati sono già un po’ brilli. Ma lo sposo resta muto. Di cosa infatti potrebbe parlare se, ignaro, non ringrazia neppure Colui che gli ha evitato la magra figura!
Nel racconto di questa festa di nozze, protagonisti diventano i personaggi secondari: Maria, innanzitutto, la madre di Gesù, e soprattutto Gesù, ma anche i suoi discepoli e i servi che gli obbediscono. Maria, che sembra essere di casa, osserva e si prende cura dello svolgimento del banchetto che, ad un certo punto, sembra preoccuparla: “Non hanno più vino” ella dice, rivolta al Figlio. L’osservazione rivela appunto la sua apprensione che la festa possa, sul più bello, avere una svolta spiacevole e suscitare lo sgomento degli sposi.
Ma Gesù, che coglie nell’immediato l’implicita richiesta di un suo intervento straordinario, si ricusa con un semitismo tipico di chi non può o non vuole corrispondere ad una richiesta. L’espressione di Gesù potrebbe sembrare addirittura offensiva, se non fosse seguita da una giustificazione che chiama in causa un superiore disegno: “Non è ancora giunta la mia ora!”. In Giovanni, l’ora di Gesù giunge con la glorificazione e coincide con la morte/resurrezione, ma è anche anticipata da alcuni momenti di un cammino che lo conduce alla Croce: le Nozze di Cana sono il primo di quei momenti.
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Maria, che da quando Gesù era nato aveva conservato nel suo cuore e meditato tante cose di cui non le era chiaro il senso, non appare di fronte alla risposta del Figlio per niente turbata: aveva imparato a conoscere la “diversità” di quel ragazzo! Dalla sua nascita ella segue con amore la crescita del Figlio dapprima bambino, poi adolescente e via via giovane uomo, sempre caratterizzato da una “diversità” di cui non comprende fino in fondo il senso, ma che accetta con amore e intelligenza. Ne ha colto l’autonomia, ritrovandolo dodicenne fra i dottori del tempio di Gerusalemme, dopo aver sofferto l’angoscia di averlo perso.
In quell’occasione, la risposta di Gesù al malcelato rimprovero dei genitori: “Non sapevate…”, lascia Maria insieme a Giuseppe spiazzata (Lc.2,41-50). L’ha osservato poi, mentre cresceva, da un lato obbediente e sottomesso, ma dall’altro certamente immerso nella meditazione dei testi sacri e nella preghiera solitaria; poi, già adulto, l’ha visto andarsene al seguito di Giovanni il Battista nel deserto e al Giordano dove si era fatto battezzare. Avrà anche saputo del suo permanere nel deserto a digiunare e meditare. Ora Egli è tornato in Galilea, ma ha con sé dei seguaci che lo chiamano Maestro. Cosa vorrà dire che non è giunta la sua ora?
Maria ha fatto tesoro di tutta la sua esperienza di madre ed ha raggiunto tale conoscenza del Figlio da poter andare oltre la sua risposta apparentemente scostante e negativa. La sua intelligenza di donna, che guarda al cuore del Figlio con grande lungimiranza e sapienza, le fa dire ai servi: “Fate quello che vi dirà”. E dà per certo che Egli dirà e farà.
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Gesù, infatti, non esita a dire ai servi di riempire d’acqua, e fino all’orlo, sei giare di pietra riservate alle abluzioni che precedono i banchetti dei Giudei. Il vangelo descrive con dovizia di particolari questa prima parte del miracolo, ma non fa alcun riferimento ad un intervento di Gesù sull’acqua raccolta. Nei vangeli non viene mai messo in risalto quanto potrebbe essere scambiato per magia e, per espressa volontà di Gesù, le persone beneficiate non dovrebbero diffonderne la notizia.
Egli diffida dall’essere ritenuto e cercato come guaritore ed impone il silenzio a coloro verso i quali, solo per compassione e tenerezza, ha profuso la sua forza salvifica. Che a Cana l’acqua sia stata trasformata in vino va inteso pertanto solo come un segno della gloria di Dio. Letto poi nel contesto di tutta la vita di Gesù e della sua passione, morte e resurrezione, il segno di Cana prelude alla trasformazione del vino in sangue, evento dichiarato nel banchetto dell’Ultima Cena e lasciato da Gesù stesso come dono memoriale agli Apostoli e a tutti i Cristiani.
Chiamati a partecipare a questo primo segno sono i servi, unici a conoscere l’origine del vino buono! Come gli umili pastori alla nascita, così gli umili servi sono chiamati a gioire al manifestarsi della gloria del Figlio di Dio. Non sappiamo chi di loro possa essersi sentito partecipe al punto di guardare con occhi nuovi Gesù, mentre certamente i discepoli hanno ricevuto col segno dell’acqua mutata in vino una prova sicura della forza salvifica del loro Maestro, per cui, da quel momento, oltre a provare ammirazione, sentono di avere fede riconoscendo in lui il Messia o, come aveva detto Giovanni Battista, il Figlio di Dio (Gv 2,34).
Come mai, ci chiediamo, Gesù ha compiuto questo segno se non era giunta la sua ora? Gesù, dopo il battesimo nel Giordano in cui si era caricato del peso di tutto il male degli uomini, medita in preghiera, come racconta Luca (3,21-22) e prende consapevolezza del suo essere il Figlio di Dio inviato come Messia a salvare il suo popolo ed ogni uomo sulla terra. Egli sa dalle sacre Scritture che il Messia è il servo sofferente e l’agnello sacrificale (Isaia,53). Sa che lo attende un cammino in cui manifestare in pienezza l’Umanità amata dal Padre attraverso l’esercizio della misericordia e della solidarietà.
Alle nozze di Cana, cui è stato invitato con i Discepoli, Gesù non pare sappia fin da principio cosa il Padre gli chieda di fare. Ma il tacito invito di Maria con la sua sapiente sollecitudine accende in Gesù, al di là della risposta, l’intima compassione per l’inadeguatezza umana che subito traduce in un segno della gloria di Dio. È l’inizio della sua manifestazione come Figlio, ovvero della vita pubblica che conclude il brano con lo spostamento a Cafarnao (Gv 2,12) insieme alla Madre, ai fratelli e ai Discepoli.
Mi è sembrata particolarmente significativa questa relazione Madre – Figlio che parlano e operano in forza dello Spirito Santo che ispira i loro pensieri, le loro parole e le azioni e, come mi piace immaginare (ma il racconto non lo dice), i loro sguardi. È la relazione fra due umanità in pienezza, compresi i limiti creaturali, soverchiati però da sapienza di cuore e amore per l’umanità circostante, sicché si uniscono alla gioia di un banchetto sponsale e lo alimentano e migliorano con la sovrabbondanza di un vino finalmente buono.
Vanna – Comunità Kairos.