Il Signore viene
Le letture di questa domenica sono concordi nel presentare l’evento salvifico della venuta del Signore. L’anonimo profeta che proclama la fine dell’esilio babilonese annuncia al popolo la venuta del Signore, la rivelazione della sua gloria (Is 40,1-5.9-11); Giovanni Battista annuncia la venuta del piรน forte di lui che battezzerร in Spirito santo (Lc 3,15-16.21-22); la lettera a Tito (Tt 2,11-14; 3,4-7) proclama che la venuta nel mondo della grazia di Dio, cioรจ Gesรน Cristo, la manifestazione storica della bontร di Dio nella persona di Gesรน, รจ volta a insegnare ai credenti a vivere in questo mondo nell’attesa del Regno (Tt 2,11-13). Il battesimo poi (a cui allude l’espressione “il lavacro di rigenerazione nello Spirito santo” in Tt 3,5), immergendo in Cristo, immette il cristiano nella vita in Cristo e lo incammina a vivere la propria esistenza come Gesรน stesso ha vissuto, mettendosi alla scuola della pratica di umanitร di Gesรน di Nazaret.
La prima lettura รจ attraversata dal vocabolario del parlare, dell’annunciare, del gridare, della voce. La parola del profeta deve destare le coscienze, E questโopera di โrisveglioโ avviene aprendo gli occhi alle persone. La parola vuole aprire gli occhi e a far vedere ciรฒ che altrimenti la gente non vedrebbe. La parola del profeta deve preparare ad accogliere la venuta del Signore nella storia. E dunque, anzitutto, a discernerla. Ecco allora che il profeta-sentinella sale su un’altura, alza la voce e grida: “Ecco il vostro Dio” (Is 40,9), affinchรฉ le cittร della Giudea possano prepararsi guardando la loro storia con uno sguardo altro.
La parola illumina, dร luce, cambia l’orizzonte di chi la ascolta e vi crede. Certo, รจ credibile questo annuncio? Quando lโanonimo profeta annuncia la venuta del Signore e la fine della deportazione, in realtร il popolo รจ ancora nellโesilio. Vi รจ dunque una difficoltร a credere a un annuncio di salvezza quando la salvezza non รจ tangibile. Vi รจ una fatica a credere anche perchรฉ la parola impegna a un lavoro su se stessi. Impegna ad abbassare le altezze che ostruiscono la vista e a spianare gli avvallamenti che ostacolano la visione, chiede di rompere con lโalterigia e lโorgoglio che impediscono di vedere la realtร in modo non deformato e chiede di uscire dagli abissi di depressione e disperazione che richiudono su se stessi e accecano. Ma esiste anche una difficoltร da parte di chi deve annunciare e parlare. Il profeta, nei versetti 6-8 saltati dal lezionario, proclama la propria stanchezza e il senso di inutilitร del proprio parlare e gridare.
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Perchรฉ mai parlare, perchรฉ mai annunciare? Il profeta รจ perfettamente cosciente del fatto che molti nel popolo non ascoltano, che molti non credono, che molti perfino snobbano e irridono il profeta. Egli sa benissimo che la maggioranza non vuole affatto vedere la realtร diversamente da come รจ abituata a vederla. Sa bene che molti sono di cuore indurito e di dura cervice, chiusi nel loro cinismo e nel senso di impotenza, e non vogliono cambiare visione essendo attaccati ai loro stereotipi e ai loro pregiudizi. Questa รจ l’esperienza del servo della parola, giร manifestata nei profeti piรน antichi come Ezechiele, che riceve da Dio il comando di parlare al popolo sia che i destinatari ascoltino sia che non ascoltino (Ez 2,5.7).
Lโanonimo profeta del nostro testo รจ scoraggiato e dice in sostanza: รจ inutile annunciare, non serve a niente, non cambia niente. E la risposta che lo vince e lo porta a proseguire il suo ministero รจ che se anche รจ vero che il popolo รจ incostante, inaffidabile, instabile, senza consistenza, tuttavia la parola del Signore rimane per sempre (cf. Is 40,8). Essa รจ affidabile, stabile, salda, certa. E dona saldezza, stabilitร , e consistenza a chi vi si appoggia. Al profeta deve bastare questa dimensione della parola di Dio. Il profeta deve vivere in prima persona ciรฒ che annuncia agli altri. Deve mostrare lui stesso di credere nella parola di cui si fa banditore. Certo, in questo farsi servo della parola egli arriverร a trovarsi nella situazione del servo del Signore di cui narra Isaia 53. Quando cioรจ lโessere stato servo obbediente della parola di Dio arriverร a ridurlo al mutismo.
Ma anche allora, nell’impotenza radicale, quando il profeta sarร come agnello afono, e โnon apre la sua boccaโ (cf. Is 53,7), proprio allora egli diventerร parola con tutta la sua vita, egli diventerร ย torah, egli illuminerร (Paul Beauchamp traduce Is 52,13 con โil mio servoย illuminerร โ; ritenendo questa โuna traduzione piรน che ammissibile del verboย yaลkilโ). Lโobbediente servo della parola, che ha annunciato e gridato e ha incontrato soprattutto disinteresse e alzate di spalle, ora parla con il suo silenzio, parla con la sua intera vita. Parla con una vita e una morte che apre gli occhi a chi non voleva ascoltare. Parla e la sua parola, fatta testimonianza esistenziale, diviene rivelazione sconvolgente.
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Egli apparirร come il giusto ingiustamente condannato che giustificherร molti (Is 53,11). E la rivelazione raggiungerร il suo scopo di illuminare proprio facendo emergere le tenebre del cuore e della mente di chi aveva giudicato e condannato il giusto che ormai parla con la sua vita e con la sua morte. Davvero, “come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per esser d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo, cosรฌ si meraviglieranno di lui molte genti: i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poichรฉ vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciรฒ che mai avevano udito” (Is 52,13-14).
Nella pagina evangelica, Giovanni Battista, che ha ripreso le parole della predicazione profetica (Is 40,3-5 citato in Lc 3,4-6) e che viene presentato come voce che grida nel deserto (Is 3,4), chiede conversione a quanti vengono a sottomettersi allโimmersione in acqua che egli amministra. Luca sottolinea lโattesa messianica del popolo e dice che โtutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Messiaโ (Lc 3,15). Ecco allora che la parola di Giovanni porta chiarezza, fa luce e dissipa le ombre: non lui รจ il Messia, ma il Messia รจ colui che battezzerร in Spirito santo e fuoco. La parola di Giovanni ri-orienta l’attesa e la domanda di tutto il popolo. Gesรน dirร di Giovanni: โegli era la lampada che arde e splendeโ (Gv 5,35).
E il profeta Giovanni illumina con la sua parola, ma in certo modo, spegnendo se stesso. O meglio, restando fedele a se stesso e al suo ministero per cui โnon lui era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luceโ (Gv 1,8), e negando a sรฉ lโattribuzione โaltaโ, messianica, che il popolo gli voleva conferire. Giovanni ha il coraggio della veritร . Non si lascia lusingare da chi (e si tratta dellaย vox populi!) lo vede come Messia, ma resta umilmente aderente alla sua postura di precursore. Lโesito del restare fedeli a sรฉ e alla propria veritร รจ normalmente lโimpagabile senso diย integritร personale. La parola di Giovanni raggiunge la pienezza della sua potenza nel divenire testimonianza quando Giovanni nega ciรฒ che gli viene attribuito: non io sono il Messia (cf. Gv 1,19-21). Il suo battesimo รจ con acqua, non in Spirito santo e fuoco (cf. Lc 3,16).
Giovanni non usurpa il posto di altri. E cosรฌ non fa schermo alla luce del Messia che ora si puรฒ rivelare. E tuttavia, anche la parola di Giovanni non รจ completamente luce. Infatti, la domanda del popolo diverrร in qualche modo la sua quando, essendo lui in prigione e avendo udito parlare delle opere del Messia, manderร i suoi discepoli a chiedere a Gesรน: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7,20). La domanda a cui ora Giovanni risponde con fermezza, piรน avanti diverrร la domanda di Giovanni stesso. Anche Giovanni si troverร incerto della risposta che pure ha giร dato e in cui credeva. Giovanni, come la Scrittura, fa segno, illumina, indica, apre la via al Messia. Eppure la sua risposta parla del Messia nei termini della forza e del giudizio, usa le immagini del vaglio e del fuoco (“Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerร la paglia con fuoco inestinguibile”: Lc 3,17).
Cosรฌ che la risposta dovrร ridivenire domanda quando Gesรน si mostrerร dalle sue opere come Messia mite che narra un Dio che non strappa la zizzania dal campo dov’รจ seminato il buon grano, che attende i tempi di maturazione del seme e della crescita della pianta, che si oppone ai discepoli che vorrebbero che facesse scendere un fuoco dal cielo per consumare i samaritani che non lo hanno accolto. Gesรน dirร di essere venuto a gettare un fuoco sulla terra, (Lc 12,49), ma questo fuoco non deve bruciare nรฉ scorie, nรฉ peccatori, ma รจ il fuoco in cui Gesรน stesso sarร immerso, battezzato: “Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra e come vorrei che fosse giร divampato. Ma ho da essere battezzato con un battesimo e come sono angustiato finchรฉ non sia compiuto” (Lc 12,49-50). Il battesimo in Spirito santo e fuoco ci sarร ma alla Pentecoste, quando Gesรน sarร giร passato attraverso la prova della passione e morte, quando Gesรน avrร giร compiuto il destino di colui che “compie guarigioni oggi e domani e il terzo giorno รจ consumato” (Lc 13,32). Giovanni apre la strada, ma non comprende in pienezza Colui che viene dopo di lui. Anche Giovanni deve stupirsi di Gesรน, deve restare sconcertato, deve ricevere luce per cambiare la propria visione, il proprio sguardo.
Per gentile concessione del Monastero di Bose