UN PADRE CHE NON HA FIGLI DA PERDERE.
E SE NE PERDE UNO SOLO LA SUA CASA È VUOTA
Ecco la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie.
Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai.
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Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all’ovile, se ne sta allontanando.
Il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno.
Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza.
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Non traccia consuntivi, ma preventivi.
Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.
Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota.
Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno.
E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.
L’ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti…
Da che cosa nasce questa felicità di Dio?
Da un innamoramento, come in un perenne Cantico dei Cantici.
Dio è l’Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: “avete visto l’amato del mio cuore?”
Sono io l’amato perduto. Dio è in cerca di me.
Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.
Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.