La metafora del viaggio
La vita è un grande viaggio durante il quale siamo chiamati continuamente a separarci da noi stessi, a seguire quel desiderio, spesso incerto, che ci anima. Il viaggio inevitabilmente ci trasforma, la vita ci attraversa, gli incontri ci cambiano. C’è una pedagogia nel viaggio, una pedagogia che si riflette nelle consegne affidate da Gesù ai discepoli prima di inviarli, come leggiamo nel testo del Vangelo di questa domenica. Nel tempo, queste consegne sono diventate le caratteristiche dell’antica esperienza spirituale del pellegrinaggio: camminare verso una meta che è prima di tutto radicata dentro se stessi.
Spinti dal desiderio
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Il viaggio dunque ci costringe a una separazione, è un invito a lasciare o un’occasione per spezzare i legami con quello che ci sta bloccando, con quello che ci tiene fermi. In genere ciò che spinge a spezzare i legami e a partire è un desiderio. Il viaggio comincia quindi con un desiderio, un desiderio che non è mai completamente chiaro. Il desiderio è sempre incertezza e determinazione insieme. È una spinta spesso incerta, ma efficace per poter cominciare. È per esempio l’esperienza di Abramo, invitato da Dio a lasciare la casa di suo padre e a mettersi in cammino verso una meta non ben definita, eppure è proprio in quel momento che la vita di Abramo finalmente comincia.
Insieme ad altri
Il viaggio non si compie mai da soli. È sempre un’esperienza in qualche modo comunitaria. Gesù manda i discepoli a due a due, perché quello è il principio della comunità. Nel viaggio si condivide, ci si confronta, si decide insieme. È la fatica necessaria per non appropriarsi del viaggio, per non diventarne padroni. I discepoli camminano insieme anche perché ciascuno possa essere testimone per l’altro, è l’unico modo di sostenere e dare autorevolezza alla parola dell’altro: avere un testimone. In due è possibile sostenersi. Il viaggio incontra infatti anche i momenti di scoraggiamento e di sfiducia. Il testo di Marco dice che Gesù cominciò a mandarli, come se quell’azione, iniziata allora, non si fosse mai conclusa. Il pellegrinaggio è la chiamata alla vita che siamo continuamente spinti a percorrere. Sottrarsi al cammino è in qualche modo sottrarsi alla vita.
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Occasione di liberazione
Gesù invita i discepoli a non prendere, a non appesantirsi. Possiamo pensare che in questa essenzialità sia compreso un invito a non portare con sé quello che ordinariamente ci appesantisce, ci blocca, ci affatica. Il viaggio è una buona occasione per liberarsi, per spogliarsi della rabbia e del lamento, per prendere fiato rispetto alle relazioni che ci consumano senza generare. Evitare di prendere e di portare con sé diventa anche l’occasione per imparare a chiedere, per lasciare che la vita si prenda cura di me, per scoprire una provvidenza segretamente nascosta nell’ordine delle cose, significa non comportarsi da padroni rispetto alla vita, vuol dire non credersi autosufficienti, ma imparare a non bastare a se stessi, vuol dire ricordarsi di creare uno spazio, una mancanza, dentro cui l’altro possa essere continuamente ospitato.
Le difficoltà del viaggio
Mentre in Matteo e Luca Gesù chiede di non prendere neppure il bastone, in Marco il bastone è l’unica cosa che i discepoli possono portare: secondo alcuni esegeti sarebbe un errore di traduzione, secondo altri indica l’autorevolezza propria dell’insegnamento che Gesù affida ai discepoli, ma forse più semplicemente il bastone è ciò che serve ad allontanare le fiere che si incontrano lungo il cammino, quelle fiere che Marco aveva descritto all’inizio del suo Vangelo, descrivendo l’interiorità che ciascuno incontra nel proprio deserto.
Il viaggio come testimonianza
Il viaggio può essere affrontato solo nella leggerezza, altrimenti lungo la strada si soccombe ai pesi che non abbiamo lasciato. Se le nostre spalle sono appesantite, i piedi si rifiutano di camminare. Ma la povertà è anche il segno della coerenza tra quello che i discepoli annunciano e quello che vivono. Il pellegrinaggio è anche il luogo in cui mediti sullo stile che vuoi per la tua vita, decidi se trascinarti dietro i pesi inutili della vita o se preferisci sperimentare la leggerezza della mancanza. E durante il viaggio decidi anche quale Dio vuoi annunciare, quale immagine di Dio vuoi proporre: l’immagine di un Dio potente e autosufficiente o l’immagine di un Dio mendicante che cammina con l’uomo.
Rifiuti
Il pellegrinaggio di cui parla il Vangelo non è una favola a lieto fine: il Gesù di Marco ricorda anche che il rifiuto è sempre in agguato. Durante il viaggio si incontra chi non è disposto a farci spazio nella sua vita, chi ha paura di condividere, chi è stato ferito o ingannato dai pellegrini precedenti, chi si sente messo in questione da quell’invito al cambiamento che di per sé il pellegrino suggerisce. Il viaggio ci allena ad accogliere i fallimenti e le porte chiuse che inevitabilmente fanno parte della vita.
Rileggere l’esperienza
Alla fine di quel pellegrinaggio, alla fine di ogni pellegrinaggio, ci sarà un tempo di rilettura: i discepoli si raccoglieranno intorno a Gesù e impareranno a guardare ciò che è avvenuto, sfogliando l’album dei ricordi che hanno conservato nella memoria del cuore. A volte invece siamo indotti a passare da un’esperienza all’altra senza fermarci a raccogliere il frutto di quello che abbiamo vissuto. Preferiamo archiviare traguardi piuttosto che scendere nella profondità dell’esperienza. E invece deve esserci un tempo, alla fine del viaggio, in cui finalmente ci si ferma a rileggere l’esperienza per poi ripartire.
Leggersi dentro
- Quali sono le cose superflue che oggi il Signore ti chiede di lasciare per seguirlo meglio?
- In che modo la tua vita annuncia il Vangelo?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
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