Gesù domanda ai suoi discepoli quale sia l’opinione della gente di Cesarea di Filippo sul Messia. Non è tanto una domanda per controllare quanto Gesù sia diventato famoso, ma per capire se il suo messaggio è effettivamente arrivato a segno e se il popolo di questa regione ha accolto le sue parole come occasione per una vera conversione.
Le risposte dei discepoli mostrano che nessuno ha riconosciuto Gesù. In maniera simile, a volte possiamo cadere nella tentazione di chiederci cosa pensano gli altri della nostra fede e della figura di Gesù e perdere la fiducia di fronte alla loro indifferenza o disprezzo.
Gesù però fa immediatamente un’altra domanda, ben più importante. Si rivolge direttamente ai discepoli, cioè a noi, e chiede “Voi chi dite che io sia?”. Questa è una domanda completamente diversa, che ci chiede di metterci direttamente in gioco, guardando nel nostro cuore e riconoscendo il Signore per quello che rappresenta per la nostra vita. La nostra fede non diventa tanto guardare cosa dicono gli altri di Gesù, ma vivere una relazione personale con lui, dove lo riconosciamo come amico e fratello in quanto Figlio di Dio.
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Questo cambio di prospettiva è talmente importante che diventa il vero fondamento della Chiesa quando Pietro professa la propria fede in Gesù. E questo nonostante Pietro abbia innumerevoli difetti, come si vedrà durante la Passione di Gesù. E quindi, nonostante le nostre differenze e i nostri difetti, possiamo riconoscerci Chiesa in quanto condividiamo la stessa relazione con Dio e alla sua domanda rispondiamo “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Per riflettere
Come Pietro, anche noi imperfetti, possiamo puntare alla santità, affidandoci totalmente a Dio e riconoscendo quotidianamente il nostro ruolo all’interno della Chiesa.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi