In questo passaggio del discorso della montagna Gesù ci mette in guardia dai falsi profeti, ovvero quei profeti dalle apparenze ingannevoli, e ci insegna un trucco efficace per riconoscerli: non guardiamo all’aspetto dei presunti profeti, non basterà a distinguerli dai profeti veri; guardiamo piuttosto ai frutti delle loro profezie.
Un vero profeta, che parla per Dio, pronuncia parole di eternità, parole che ci portano il frutto prelibato di una felicità duratura.
Il primo falso profeta della storia biblica è il serpente, che avvicinandosi a Eva, la convince a cibarsi dell’albero proibito con la falsa promessa di diventare come Dio e conoscere il bene e il male. Proprio come la promessa del serpente ad Eva, le false profezie hanno questa caratteristica comune: promettono una felicità immediata, fondata su un falso bisogno.
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Una profezia non si giudica per la sua bellezza ma per le sue conseguenze sulla nostra vita. L’opera tipica della falsa profezia è nascondere quello a cui ci porteranno realmente, farci pensare al godimento di un atto senza farci realizzare a cosa questo porterà.
Pensiamo a quante false profezie ci guidano oggi, mentre corriamo dietro a felicità momentanee e bisogni che non abbiamo realmente.
La nostra vita è indirizzata dalle profezie che abbiamo deciso di accogliere, è fondamentale quindi che impariamo a darci gli strumenti per distinguere i rovi dagli alberi da frutto, e accogliere per le nostre vite le promesse di una felicità piena.
Per riflettere
Gesù ci dice che un albero cattivo non può produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Il Vangelo è radicale in questo: la falsa profezia non può essere mitigata e educata, ma deve essere tagliata e eliminata. Impariamo a liberarci dalle promesse di falsa felicità.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi