Continua il nostro cammino alla Scuola della Liturgia. Domenica scorsa Gesù, nell’invitarci a “farci piccoli”, ci ha offerto una sorta di sintesi e di rilancio, di possibilità di “focalizzare” l’attenzione su ciò che conta, sulla grammatica, sull’impalcatura per una vita spirituale matura capace di aiutarci a vivere da suoi discepoli: «La potenza di Dio ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati…» (cfr 2Pt 1,2-5). Uniti al Signore, dunque, e compiendo quanto Lui stesso domanda, si diventa grandi ai suoi occhi.
Ascolta “don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 23 Giugno 2024” su Spreaker.Ricchi di questa “attrezzatura divina” che ci offre il senso e l’orizzonte della vita, possiamo cominciare a entrare nel solco della quotidianità, vivendo durante la settimana quanto apprendiamo e gustiamo la domenica, pasqua settimanale.
Nel libro della Genesi, dopo aver creato la luce, Dio agì sulle acque, ponendo ad esse un “argine” (Gn 1,9; cfr Es 14ss: Dio divise il Mar Rosso). Esperienza che Dio ricorda a Giobbe nella I lettura scelta oggi dalla liturgia: “Chi ha chiuso tra due porte il mare… quando gli ho fissato un limite?”. Nella sua vita, Giobbe sta attraversando una “tempesta” ed è in ribellione con Dio: Giobbe sa di essersi comportato correttamente, e non capisce perché Dio lo tratti “male” (le situazioni avverse della vita erano ritenute conseguenza del proprio peccato). E glielo dice.
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Finché Dio non interviene per far capire al suo servo Giobbe che come un tempo ha posto un argine alle acque del mare, così Lui ha la potenza di mettere argine alle tempeste interiori che la vita presenta, ma che è anche libero di “provare” i suoi amici. L’esperienza che i discepoli di Gesù dovranno sperimentare è proprio quella di scoprire che Dio è il Signore, Colui che governa la vita e la storia. Ed è l’episodio che la liturgia ci presenta oggi nel vangelo.
v. 35: “Venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: Passiamo all’altra riva”. Dopo aver parlato in parabole (cfr domenica scorsa), Gesù, a sera, invita i discepoli a passare all’altra riva del lago: si tratta di un’ “uscita” dalla terra d’Israele verso una terra abitata dai pagani. Gesù sa di essere stato “inviato alle pecore perdute d’Israele” (cfr Mt 15,24), ma sa pure che l’annuncio della misericordia di Dio è rivolto a tutti, anche ai pagani. Ma andare “all’altra riva” assume anche un significato simbolico-spirituale, ossia l’attraversare il percorso della vita, dove il Paradiso è il “porto” finale dove attraccare.
v. 37: “Ci fu una tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca…”. Per gli ebrei il mare era il nemico (dal mare infatti arrivavano i nemici): l’esperienza della tempesta riporta l’uomo all’esperienza degli inizi, quando regnava il caos al quale solo Dio porrà un argine. Esprime quindi insicurezza, paura perché la barca non è governabile.
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v. 38: “Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva”.
La “poppa”, dove si trova Gesù, è la prima parte della barca che va a fondo, e Lui dorme sereno. Nel vangelo di Luca si fa cenno che tra le esigenze del discepolo, c’è quella di accettare di non avere un posto dove “posare il capo” (Lc 9,58), a indicare che solo in Dio si trova rifugio e riposo. Eppure nella barca Gesù viene presentato posato su un cuscino: questo particolare fa dunque riflettere. Forse l’evangelista lo ha voluto indicare per aiutare a capire che quando si è scelto di seguire il Signore Gesù, dobbiamo imparare a stare tranquilli, anche nelle tempeste, perché Lui non ha una casa, un luogo specifico dove risiede.
Gesù fa di ogni opportunità la sua casa, e il “cuscino” mira a far capire che ogni circostanza, ogni attimo della vita è la “sua casa”, e in questo caso il “cuscino” diventa simbolo dell’atteggiamento con il quale siamo chiamati a vivere la traversata della vita: “Io resto quieto e sereno, come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia” (Sal 131). Questo i discepoli ancora non lo hanno capito, da qui la paura e il conseguente rimprovero di Gesù.
v. 38b: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”.
I discepoli ormai sono presi dal panico e invocano Gesù “rimproverandolo” che non essere interessato della loro sorte. Il titolo “Maestro” è incompleto, e svela la fatica dei discepoli nel ri-conoscere Gesù. Infatti lo si “ri-conosce” veramente solo se lo si “conosce” bene.
v. 39: “Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”.
Come in un’esperienza di esorcismo, Gesù “sgrida” e i “demoni” si placano (cfr Mc 1,25). Esperienza che ricorda l’atto creativo di Dio (Gen 1-2).
v. 40: “Poi disse loro: Perché avete paura? Non avete ancora fede?… Chi è dunque costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
Il testo si conclude con lo stupore dei discepoli di fronte all’azione di Gesù. “Chi è costui?”… è la domanda di tutto il vangelo di Marco (cfr 1,27) alla quale l’evangelista risponde attraverso le parole e i fatti messi in atto da Gesù. Infatti i discepoli chiamano Gesù “Maestro”, ma non hanno ancora capito che Lui è il Signore Dio, da qui la domanda: ma “Chi è costui?”.
Ciò che emerge nell’esperienza di Giobbe e ora dei discepoli, è che il Signore è Colui che ha potere sulle tempeste e sulle onde, che salva dall’angustia, proprio come veniva celebrato, e che nel salmo, scelto dalla liturgia, si fa inno, poiché qualunque esperienza con Dio non può che tradursi in preghiera, e nel caso di oggi, in preghiera di lode: “Coloro che scendevano in mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque, videro le opere del Signore… Egli parlò e scatenò un vento burrascoso, che fece alzare le onde…
Nell’angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce. La tempesta fu ridotta al silenzio… Ringraziamo il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie” (Sal 107). Come ai discepoli, così oggi il Signore Gesù invita me, ciascuno di noi, a prendere la “barca della vita” e passare all’altra riva, cioè andare incontro all’altro, anche se “pagano”, anche se non condivide la mia/nostra esperienza di vita.
Un andare incontro che chiede di non annullare la propria identità, la propria storia, la propria fede… ma altresì di non pensare di imporla agli altri. Il rispetto della dignità della persona umana viene prima della “tua” verità: è “incontro” dove ci si arricchisce vicendevolmente ciascuno con la propria storia e la propria fede. Dai testi si comprende bene che scegliere di seguire Gesù non ci sottrae dal pericolo, dalla paura, da qualunque tempesta possiamo incontrare. La fede non anestetizza la vita, ma sa rendere sereni nelle difficoltà, sa coltivare fiducia nei momenti bui. È la vita.
In fondo tutti noi, anche se ci riteniamo maturi nella fede, di fronte a queste pagine del vangelo scopriamo quanto siamo “rigidi” nelle nostre certezze, impauriti davanti al“nuovo”, e quanto sentiamo la mancanza di Dio nelle tempeste della nostra vita: sofferenza, angoscia, paura, minaccia… tanto da dire: “Maestro, non ti curi di noi?”. E come i discepoli, Gesù rimprovera noi: “Non avete ancora fede?”.
“Andare all’altra riva” è dunque accettare di lasciare i nostri nidi, le nostre sicurezze e aprirci all’altro, alla realtà, sapendo che ogni incontro ed esperienza nuova crea sempre qualche difficoltà: il vento, il mare, il caos, la barca colma d’acqua… E in tutto questo trambusto, Gesù dorme! Sembra quasi che la sua presenza nella barca della vita sia inutile, dimenticando quanto ci è stato ricordato domenica scorsa: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia” (Mc 4,27). I discepoli non tengono conto che comunque Gesù è nella barca con loro, è compagno di viaggio.
Ma c’è un dato che svela ogni cosa: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Come ai disce poli, così oggi Gesù lo ripete a noi, sempre increduli e impauriti. Solo “uniti in Lui” (cfr II lettura), pos siamo avvertire la sua presenza, e per questo serve anche a noi dire: “Accresci la nostra fede, Signore” (Lc 17,5). ”Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.
L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegna mogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio.
Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai…non abbiate paura (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, per ché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.