Fiducia, fiducia piena…
Quello che oggi la liturgia della XI domenica del Tempo Ordinario ci regala è uno straordinario inno alla fiducia.
Le due letture e il Vangelo sembrano essere una risposta diretta alle nostre paure per il futuro, alle piccole o grandi preoccupazioni di ogni giorno, ma anche alla nostra smodata e pericolosa smania di efficientismo e onnipotenza che fa capolino tutte le volte in cui, pur nel bene, ci facciamo carico del mondo, di ogni problema, di ogni tentativo di soluzione. Smania che più che portarci all’affidamento ci porta allo sterile e pericolosissimo senso di colpa. Smania che sposta Dio dal nostro centro e, nostro malgrado, mette noi stessi. E questo lo dico a me stessa prima che a voi.
Ma la Parola oggi ci raggiunge come un balsamo e ci dona parole di fiducia, o per dirla con il magnificat, ci dona parole che ci abbattono dai nostri troni fatti di conferme e progetti realizzati o programmati per risollevarci in nome della fiducia in un progetto che ci supera ma non ci annienta.
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Pensate al cedro, così come lo descrive Ezechiele nella prima lettura. Che se ne fa Dio? Della sua forza nulla, ma dei suoi germogli e della sua vitalità tutto. Dio parte proprio da quelle sue parti più fragili e fa germogliare il nuovo. Un nuovo delicato, che ha bisogno di essere colto, piantato, curato. Dio non sceglie la forza, o il forte, ma fa sgorgare vita dal piccolo, dal tenero, dal secco, da ciò che è sterile.
Tutto questo mi dice che a buon diritto devo sapere che posso alzare la testa e continuare a credere che il diverso è possibile, che il nuovo è possibile, che la vita è possibile, anche quando attorno a me sembra che tutti abbiano alzato bandiera bianca, arrendendosi alla mediocrità, al disfattismo, al passato, allo scoraggiamento, all’impotenza, al solo ricordo.
Amo il Dio che Gesù mi ha rivelato, perché è un creatore amante della vita piccola e dei germogli che la custodiscono, dei desideri che sognano il bene e desiderano il meglio, dei pensieri che custodiscono la rinascita e delle scelte che la rendono possibile.
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Che cos’è il Vangelo se non la voce del Bene che dice alla nostra mente che la vita è sempre possibile, anche quando occorre lasciarsi spezzare?
Come piccolo e fecondo seme la parola di Dio può penetrare in noi e farsi spazio, conquistarci alla speranza, far germogliare in noi nuove gemme di vita, e quindi frutti che oggi non possiamo neppure immaginare; la Parola, come piccolo ma tenace seme, può renderci casa della vita.
Credere è nutrire ogni giorno questa speranza, ma per poter credere, per essere cuori credenti, capaci di affidarci, dobbiamo esercitarci in fiducia, riempirci di fiducia, e di fiducia in Lui. Dobbiamo essere consapevoli, direbbe san Paolo, che non camminiamo vedendo, non ne siamo capaci. Possiamo solo camminare credendo.
Noi camminiamo affidandoci a qualcuno, perché non vediamo… non possiamo vedere.
Ci affidiamo fidandoci: del domani, degli altri, di Dio. In noi non c’è visione, non possediamo gli eventi, nulla di ciò che accade o accadrà è in nostro possesso. Per questo ogni singolo istante è una chiamata alla fiducia.
Il Vangelo, seme di vita buona in noi, feconda questa fiducia, la rende possibile, ma a sua volta cresce proprio nella misura in cui ci consegniamo, ci affidiamo, crediamo nella potenza della vita che Dio ha messo in noi e nel mondo, e che nostro malgrado crescerà, si farà spazio, non si piegherà ai nostri confini e non coinciderà con le nostre idee.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com