In questa parte della “riscrittura” messianica dei Comandamenti Gesù affronta il “non giurare il falso”. Come fatto per gli altri precetti, va oltre rispetto a quanto indicato dall’Antico Testamento: perciò non basta non giurare il falso, ma, ci dice, non bisogna giurare affatto.
Quale è il motivo profondo, che va oltre la norma pratica, per cui giurare impedisce di entrare nel regno dei Cieli (Mt 5, 20)? Come è orientato il nostro cuore nel momento in cui giuriamo? Il giuramento porta una tentazione di autosufficienza: a meno di non essere dei calunniatori (ma questo—come per gli altri comandamenti—è un assunto troppo facile per permettere di garantirsi la salvezza), noi giuriamo quando ci sentiamo assolutamente sicuri, sentiamo di poter garantire quello che stiamo affermando.
In altri termini, quando sentiamo di avere il controllo della situazione. Le parole di Gesù ci scuotono perché con il suo “non giurare” ci ricorda che sono invece numerose le situazioni della nostra vita su cui non abbiamo controllo. Non abbiamo, infatti, “il potere di rendere bianco o nero un solo capello”.
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Portare a compimento la legge e entrare nel regno dei cieli si declina qui con il rinunciare al volerci sostituire a Dio. Significa smettere di usare tante parole per avvalorare chi siamo e quello che facciamo. “Sì, sì, no, no”: sono le scelte concrete, l’affidarsi a Dio e agire secondo la sua parola che fanno di noi dei cristiani. Il di più, le promesse vuote, i giuramenti e gli spergiuri, sono solo distrazioni.
Per riflettere
La mia vita è nelle mani del Signore, ma Lui ha bisogno dei miei sì e dei miei no. A cosa dico “sì” e “no” nella mia realtà attuale?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi