La fede non sia ipocrita – Martedì IX settimana del T. O. (anno pari)
Dalla seconda lettera di san Pietro apostolo 2Pt 3,11-15.17-18
Aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova.
Carissimi, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli in fiamme si dissolveranno e gli elementi incendiati fonderanno! Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia.
Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia. La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza.
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Voi dunque, carissimi, siete stati avvertiti: state bene attenti a non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore dei malvagi. Crescete invece nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen.
La speranza è il dinamismo della nuova creazione
A conclusione della sua seconda lettera l’apostolo Pietro raccomanda i credenti di tutte le comunità cristiane di non lasciarsi ingannare dai falsi maestri che insinuano il dubbio sulla efficacia della Parola di Dio. L’anelito al rinnovamento universale, che alberga soprattutto nel cuore delle persone colpite da ingiustizie e discriminazioni, è un punto delicato sul quale fa leva la speranza di chi ha creduto nella promessa di Dio.
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La storia, già piena di contraddizioni e aggiornata ogni giorno con nuove tragiche notizie, è un facile argomento per seminare paura, pessimismo e scoraggiamento sul quale s’innestano logiche nazionalistiche e dinamiche partitiche che alimentano divisioni e contrapposizioni. Dio, invece è all’opera nel cuore delle singole persone che attuano una condotta di vita ispirata al comandamento dell’amore e al modello di Gesù Cristo.
Grazie all’azione silenziosa e invisibile dello Spirito avviene il vero rinnovamento del mondo interiore. Esso consiste nella distruzione del peccato per la nascita di una nuova creatura. Questo processo è lento perché rispecchia la pazienza di Dio. La sua magnanimità contrasta con la pusillanimità di chi si lascia vincere dalla paura. Solo l’amore guida l’azione di Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Con la creazione, e ancora di più con la redenzione, il kronos porta in sé anche il Kairos perché nel tempo limitato e misurato dell’uomo è già presente l’eternità di Dio. In tal modo, la precarietà e la mortalità, propria della condizione creaturale, diventano fedeltà e immortalità che sono le prerogative divine.
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 12,13-17
Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio.
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.
La fede non sia ipocrita
Nell’ultima settimana della vita di Gesù sono concentrati alcuni incontri, tra cui quello con una delegazione composta da farisei ed erodiani. Sono due categorie di persone molto differenti tra loro; i primi stretti osservanti della legge che mal digeriscono l’ingerenza dell’imperatore romano nelle questioni religiose, i secondi invece sono filogovernativi.
Essi pongono la questione sulla liceità del tributo da pagare all’imperatore. Gesù è chiamato in causa, a dispetto di quello che affermano all’inizio, non perché lo rispettino e ne ammirino la sapienza, ma per avere un motivo per accusarlo. In altri termini, essi sono veramente ipocriti perché nascondono il loro reale volto e le loro intenzioni dietro la maschera di coloro che vorrebbero essere illuminati da una parola autorevole che indichi loro la cosa giusta da fare.
In realtà essi vogliono che Gesù, sbilanciandosi da una parte o dall’altra, si schieri. Anche noi siamo esposti alla tentazione tante volte quando siamo contattati o siamo depositari di confidenze e indotti a prendere una posizione a favore o contro qualcuno. Gesù, anche se è chiamato in causa come una sorta di giudice, non sta al gioco e, rifiutandosi di giudicare sulla liceità del tributo, eleva il discorso da un piano politico e sociale a quello teologico e antropologico.
Proprio perché Gesù insegna la via di Dio secondo verità, egli non si ferma all’apparenza o alle questioni secondarie, come sono quelle legate alla logica della spartizione del potere, ma punta dritto alla verità e va al cuore delle cose. Il suo ragionamento non è elaborato in astratto o per partito preso, ma parte dal contatto con la realtà.
Per questo vuole vedere la moneta del tributo. C’è un’evidenza riconosciuta da tutti; l’immagine e l’iscrizione appartengono all’imperatore. Così ogni uomo, secondo il racconto della Genesi, è l’immagine di Dio e porta il suo nome. Il denaro è di Cesare mentre l’uomo appartiene a Dio. Spesso questa verità la nascondiamo a noi stessi anteponendo all’appartenenza a Dio Padre la dipendenza altre cose.
La vera fede non contrappone le persone in nome di una ideologia o di una specifica appartenenza partitica, ma riconosce al di là delle differenze, il comune legame filiale a Dio che ci fa fratelli. La fede non orienta le scelte partitiche ma quelle esistenziali che determinano il fine per cui vivere.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“