Un’alleanza per tutti
Il tema dell’alleanza unisce in unità le tre letture dell’odierna celebrazione del corpo e sangue di Cristo. L’alleanza stretta da Dio con il popolo di Israele al Sinai e mediata da Mosè, è accompagnata dall’aspersione del sangue delle vittime sacrificali sui due contraenti l’alleanza: Dio (simbolizzato dall’altare) e il popolo.
Si tratta di alleanza bilaterale che al dono di Dio fa seguire le esigenze di obbedienza e attuazione da parte dell’uomo (Es 24,3-8). Il Nuovo Testamento afferma il compimento dell’antica alleanza in Cristo, nel sangue di Cristo: la morte di Gesù opera infatti efficacemente quel perdono dei peccati che toglie il grande ostacolo all’obbedienza alle esigenze dell’alleanza (Eb 9,11-14). Le parole di Gesù durante l’ultima cena attestano che il suo sangue è il “sangue dell’alleanza” (Mc 14,24), cioè che in lui si dà la piena obbedienza a tutte le esigenze dell’alleanza e quindi il compimento di tutti i doni e di tutte le promesse di Dio e non soltanto per Israele, ma per tutte le genti (“versato per molti”: Mc 14,24).
Il vangelo (Mc 14,12-16.22-26) sottolinea così il carattere di alleanza proprio dell’eucaristia. L’atto di mangiare il pane e di bere il vino eucaristici, che significa la partecipazione alla vita di Gesù, consente di entrare nell’alleanza nuova stabilita da Gesù stesso. Un’alleanza in cui il credente deve sempre di nuovo entrare perché essa comporta il passaggio da un’esistenza sotto il segno del peccato a un’esistenza rinnovata dallo Spirito santo.
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In via preliminare è doveroso ricordare il significato autentico dell’espressione di Mc 14,24 tradotta con “per molti”. Deve essere chiaro che il termine greco polloì, letteralmente “molti”, per l’espressione semitica che vi sottostà, rinvia a una moltitudine inclusiva di tutti, senza distinzioni. Il gesto di Gesù ha una portata universale. L’alleanza che egli compie con la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione, ha un’estensione universale.
Quindi il testo non indica un grande numero, non significa “parecchi”, ma “tutti”. Qui, nell’espressione che parla del “sangue versato per tutti”, incontriamo l’ennesimo paradosso della fede cristiana: attraverso la peculiarità e la singolarità della persona di Gesù, anzi della sua consegna, del suo darsi, del suo andare incontro alla morte, del suo vedersi escluso dalla comunità religiosa di appartenenza con la morte infamante di croce, si realizza la dimensione universale della salvezza. Quella dimensione di cui fa memoria l’eucaristia che nel nostro testo viene colta nella sua dimensione di alleanza.
Questa festa offre l’occasione di una riflessione e di una catechesi sull’eucaristia, in particolare nella sua dimensione di alleanza. L’eucaristia, infatti, è il sacramento della nuova alleanza sigillata nel sangue di Cristo (Lc 22,20 e 1Cor 11,25: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”; Mt 26,28 e Mc 14,24: “Questo è il mio sangue dell’alleanza”). L’eucaristia celebra il mistero della donazione di Cristo per gli uomini, anzi, del dono di Dio che nel Figlio, per opera dello Spirito santo, fa entrare la Chiesa nel dinamismo della donazione e dell’amore. Al cuore dell’eucaristia vi è il dono che il Figlio è per l’umanità: dono che il Padre, nel suo amore, fa al mondo (“Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio”: Gv 3,16), dono di sé che il Figlio fa liberamente e per amore (“Il buon pastore offre la vita per le pecore… Io stesso offro la mia vita”: Gv 10,11.17; “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”: Gv 15,13), dono di amore che lo Spirito santo fa inabitare nel credente (“L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato”: Rm 5,5; cf. Gv 14,16-17.26; 15,26-27; 16,12-15). Il farsi cibo e alimento per la vita degli uomini è l’atto ultimo di questo dono e l’espressione più radicale dell’amore e dell’oblatività del Figlio, è il compimento della missione datagli dal Padre e dunque del disegno di salvezza di Dio: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così chi mangia me, anch’egli vivrà per mezzo di me” (Gv 6,57).
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Ora, nello spazio dell’alleanza la dimensione del dono divino, ovvero l’iniziativa sovrana di Dio, si accompagna all’esigenza della fedeltà e dell’obbedienza da parte dell’uomo. La legge di questa nuova alleanza compiutasi nell’evento pasquale di Cristo è il comandamento nuovo espresso dal IV vangelo: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 13,34). Se nel rituale di stipulazione dell’alleanza sinaitica il sangue versato metà sull’altare e metà asperso sul popolo significava che la stessa vita (“il sangue è la vita”: Lv 17,11.14) legava Dio e il popolo, ora la vita che unisce i membri della nuova alleanza e le dà compimento è l’agape, l’amore, ma connotato in senso cristologico: l’amore narrato e vissuto da Cristo.
Questo è infatti il fondamento che rende possibile l’amore dei cristiani. E l’amore agapico, cioè l’amore che Dio è (“Dio è agape”: 1Gv 4,8) e che Gesù vive e narra, è l’amore che ama anche chi amabile non è. È l’amore che si manifesta come dono unilaterale e che abilita la comunità cristiana all’analoga donazione. La comunità che nasce dall’eucaristia è pertanto costituita dall’insieme dei “donanti a” in quanto essi stessi “donati da” in un circuito di donazione che ha la sua origine dall’alto; è formata da “coloro che amano” (“Amatevi gli uni gli altri”) in quanto essi stessi “amati” (“come io ho amato voi”: dove il come ha sfumatura causativa) all’interno di un movimento di amore che sgorga dal Padre.
La com-munitas è pertanto il luogo in cui vige la “logica del dono”, del munus, che è al tempo stesso dono e compito, è il dono da dare, non quello che si riceve. La comunità è così l’insieme di coloro che si riconoscono debitori l’un l’altro del “debito dell’amore vicendevole” (Rm 13,8). È il luogo, anzi, è il corpo, in cui ciascuno manifesta il bisogno dell’altro, in cui nessuno dice “Io non ho bisogno di te” (1Cor 12,21), come nel corpo umano un membro non può fare a meno di un altro membro. L’eucaristia plasma dunque la comunità cristiana stabilendola nella logica della compagnia (con-soffrire, con-gioire, con-lavorare…) e della reciprocità (accogliersi gli uni gli altri, perdonarsi gli uni gli altri, pregare gli uni per gli altri, amarsi gli uni gli altri, …). La koinonía ecclesiale esige dai membri della Chiesa il comportamento comunionale del fare le cose insieme, non gli uni senza o al di sopra o contro o prima degli altri, ma gli uni per gli altri, in solidarietà, in accordo, nella partecipazione reciproca.
In un vero spirito sinodale. Il convenire in unum per l’eucaristia non è solo un radunarsi nello stesso luogo, ma anche nell’unità e nella carità di Cristo ed è il gesto che evidenzia la Chiesa come gregge radunato dal Cristo-Pastore e ne fa la profezia del raduno escatologico nel Regno dell’umanità redenta. Questa dimensione della comunione, che ha la sua origine dal Padre e che apre lo sguardo e il cuore della Chiesa all’intera umanità (p. es. con l’intercessione che assume un respiro universale, con la preghiera che vuole raggiungere i bisogni dei popoli, delle Chiese e di tutti gli esseri umani nel mondo), evidenzia la portata universale ed escatologica della comunione vissuta nell’eucaristia. L’eucaristia non tende semplicemente a rinsaldare i legami intraecclesiali di fraternità, ma si apre a sperare e invocare la salvezza per tutti perché essa significa la destinazione universale dell’azione salvifica di Dio.
L’eucaristia è il sacramentum della comunione. Se il pane, che è il corpo di Cristo, è donato per la vita del mondo (Gv 6,51), e il vino offerto è il sangue versato per molti (Mc 14,24), cioè, come abbiamo specificato, per tutti, allora la comunione celebrata nella sinassi eucaristica non può essere ristretta a misure umane, ma deve mantenere l’ampiezza di orizzonte che essa ha nel disegno salvifico di Dio. Questa ampiezza che non ha confini è l’ampiezza dell’agape di cui la lettera agli Efesini afferma l’incommensurabilità mediante il ricorso al linguaggio delle misure. In Ef 3,17-19 si dice: “Il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”.
E questa ampiezza di orizzonte dell’agape e dunque dell’azione di Dio, è significata anche dalla Preghiera eucaristica, non solo dal pane e dal vino eucaristici: anche la Preghiera eucaristica è creatrice di comunione, perché confessa nella lode l’agire con cui il Padre riconcilia a sé l’umanità in Cristo. Queste dimensioni comunitaria e universale della comunione significata dall’eucaristia non possono far dimenticare la necessaria dimensione personale della stessa: nell’alleanza Dio si lega con il suo popolo costituendolo come corpo, ma raggiunge anche ciascuno dei membri del corpo. Se celebrando l’eucaristia la Chiesa dice la propria identità di appartenente a Cristo, ogni credente, inserito nel corpo ecclesiale, trova anche la propria personale identità di appartenente a Cristo. E la trova in modo oggettivo ed ecclesiale, lontano dai rischi di derive intimistiche o spiritualistiche.
Per gentile concessione del Monastero di Bose