Commento al Vangelo del 10 marzo 2013 – don Mauro Pozzi

Il commento al Vangelo della domenica a cura di don Mauro Pozzi parroco della Parrocchia S. Giovanni Battista, Novara.

IL PADRE DELLA MISERICORDIA

Gesù si intrattiene coi peccatori, mangia addirittura con loro, è uno scandalo per i benpensanti. Questo atteggiamento ha però una precisa motivazione: il Figlio rivela il volto del Padre. Che immagine abbiamo di Dio? Se abbiamo paura dell’inferno pensando che la salvezza dipenda solo dall’osservanza dei comandamenti, allora per noi Dio è un giudice severo, pronto a condannarci. Gesù invece sovverte questa prospettiva e ci mostra che Dio è un Padre misericordioso. Il figlio prodigo, che ha fretta di spendere il suo patrimonio, è Adamo, che vuole fare da solo e rifiuta l’autorità del Padre. Il fatto che chieda l’eredità dimostra che per lui suo padre è come morto. Si butta nella vita e compra il piacere credendo di avere la felicità. È la tentazione che affrontiamo ogni giorno, il mondo ci promette gratificazione e appagamento attraverso i soldi e tutto quello che possono comprare. Ogni piacere però, porta all’assuefazione e lentamente diventa una schiavitù, infatti il giovane si ritrova a pascolare i maiali che per gli ebrei sono gli animali immondi per eccellenza: non si può cadere più in basso. Spesso le sofferenze fanno riflettere sul senso della vita e anche il giovane rientra in sé stesso. È il momento della presa di coscienza. Ognuno di noi deve capire il suo ruolo, noi non siamo divinità autosufficienti, ma creature. È il tempo del ritorno. È qui che entra in scena il Padre che potremmo aspettarci sia offeso e restio a riaccogliere il figlio che lo ha rinnegato e gli ha sperperato mezzo patrimonio. Invece vede il ragazzo da lontano e gli va incontro. È come se lo avesse sempre aspettato e non vede l’ora di riabbracciarlo. Il figlio grande rappresenta la fedeltà arida di chi ubbidisce senza amore, per dovere. Egli si indigna per la festa in onore di suo fratello minore, perché pensa alla giustizia come retribuzione: io ho fatto tanto e quindi merito tanto, non come quel debosciato che oltre a non fare ha anche sperperato. Il Padre però vuole il cuore dei suoi figli ed è pronto addirittura a pregare il maggiore. Mentre il minore credeva di seppellire suo padre esigendone l’eredità, in realtà era lui stesso ad essere morto e ora è tornato in vita. Ecco perché si fa festa, non si tratta semplicemente di un ritorno fisico, ma di un’autentica conversione del cuore. Anche noi dobbiamo tornare come il figlio prodigo, ma se ci sembrasse di non essere mai andati via, potremmo essere come il figlio maggiore, cioè degli arroganti che credono di accampare dei meriti, come se la salvezza dipendesse solo da noi. In realtà noi siamo salvati non per i nostri meriti, ma perché il Padre ci ama. Siamo coscienti e grati di questo miracolo?

Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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