Terza Domenica, terza tappa del cammino. Non perdiamo di vista il filo che la Liturgia sta ricamando nel cuore: siamo discepoli di Gesù risorto (Pasqua, I domenica) e questa non è un’adesione sempre facile e automatica (II domenica).
v. 35: «I due discepoli di ritorno da Emmaus narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane»: il testo richiama l’episodio precedente, ossia di quanto avvenuto ad Emmaus, dove i discepoli avevano riconosciuto Gesù Risorto nello spezzare il pane e dopo aver sentito «ardere» il cuore mentre Lui conversava con loro lungo la via. Non dimentichiamo che i due, rassegnati, avevano abbandonato il gruppo, convinti di aver fallito nel seguire Gesù e ormai pronti a tornare alla vita di prima.
Nel tornare indietro, a Gerusalemme, accettano la sfida della testimonianza: per prima cosa sono corsi dai loro compagni, prigionieri della paura di fare la fine di Gesù, ma anche prigionieri dei rimorsi per quanto fatto a Lui. La testimonianza giunge dunque da due «pentiti», potremmo dire, e questo non è facile da accettare. Capita anche a noi di etichettare le persone, di sottolineare le loro fatiche, fragilità, incoerenze…e quindi di non dar loro retta.
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v. 36: Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Come nell’esperienza di Tommaso, Gesù «sta» in mezzo, si pone a fondamento dell’esperienza: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Dona la «pace», Shalom: l’hanno cantata gli angeli a Betlemme (Lc 2,14), e ora Gesù in persona la dona a tutti. Pace indica tutto quello che concorre alla pienezza, alla felicità delle persone, e Gesù può offrire questo dono perché Lui stesso è la Pace, la pienezza di umanità. Un uomo sente pace quando ha trovato ciò che stava cercando. Ecco perché Gesù saluta costantemente con la parola/dono Shalom. Chi trova Gesù ha trovato quello che stava cercando: una forza pacifica che nasce e sostiene dall’interno.
Lc 24, 35-48 | don Andrea Vena 76 kb 23 downloads
III domenica di Pasqua, anno B At 13,13-15.17-19 Sal 4 1Gv 2,1-5a Lc 24,35-48 a…v. 37: Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. La difficoltà dei discepoli è quella di pensare di vedere un fantasma, cioè uno spirito, non una persona vera, in carne ed ossa. Non colgono che in Gesù si realizza la profezia di Isaia: «Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra… proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 65,17).
v. 38: Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!: ancora una volta mani e piedi mostrano l’identità di Gesù, indicano che Lui non è un altro, è il Crocifisso risorto. «Sono io», è il nome di Dio, così come rivelato a Mosè (Es 3,14). Segni che Gesù non nasconde, ma rappresentano il suo vissuto, il suo «timbro», la storia che anche quei discepoli hanno costruito con le loro scelte.
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vv. 39-40: Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. La traduzione fantasma non rende bene il greco «pneuma» che significa spirito; non pensano che sia una persona reale, ma un qualcosa di questa persona, un’anima, una emanazione, uno spirito. Qui entra in gioco la pazienza educativa di Gesù risorto: aiutare i suoi discepoli a giungere alla consapevolezza della realtà della risurrezione.
vv. 41-42: Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?» Gli offrirono una porzione di pesce arrostito;3egli lo prese e lo mangiò davanti a loro: l’esperienza del cibo aiuta a capire la concretezza dell’esperienza di Gesù Risorto. Grazie a questi segni molto realistici, i discepoli superano il dubbio iniziale e si aprono al dono della fede.
vv. 44-45: Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Gesù cerca di far comprendere che in Lui si realizza il progetto del Creatore, quel progetto che è stato trasmesso attraverso la legge di Mosè, che è stato portato avanti e proposto dai profeti e che è stato cantato nei salmi: l’uomo fatto poco meno degli angeli (Sal 8,6).
vv. 46-47: Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.
Il verbo aprire, nei Vangeli, ha sempre un valore terapeutico, è sempre utilizzato in quei miracoli nei quali Gesù ridona la vista ai ciechi (cfr Gv 9,1ss), permette al sordo-muto di ascoltare e parlare (Mc 7,31-37). Anche qui Gesù guarisce i
suoi, e li guarisce dalla fatica di non comprendere la Scrittura, nel ritenerla una cosa altra, lontana dalla loro vita. Riecheggia quel paterno rimprovero che Gesù ha fatto ai due discepoli di Emmaus: «Sciocchi e tardi di cuore…» (Lc 24,25). Gesù aiuta a rileggere la storia della salvezza, e li conduce a vedere che la Pasqua è la vera anima dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, è lo stile di Dio. In questo atto educativo, Gesù fa cogliere quanto il vissuto dei discepoli, la loro storia e la grande Storia (la storia, luogo teologico, cioè luogo dove Dio si rivela qui ed ora), in positivo e negativo, è ormai parte della storia della salvezza: “Insegnami i tuoi comandamenti… fammi comprendere e conoscerò i tuoi insegnamenti” (cfr Sal 119,125).
Come segnala l’apostolo Pietro nella I lettura, si corre il rischio di non conoscere la Scrittura o di fraintenderla: «Io so che voi avete agito per ignoranza». Ma non solo. Pietro dice anche un’altra cosa: «Avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino». L’ignoranza non solo porta a rinnegare Dio, ma a scegliere Barabba! Come a dire: se rifiuti Dio, sei costretto a sceglierne un altro, perché non puoi vivere senza progetto! Comprendere le Scritture significa capire che esse parlano di Lui, che tutto rientra nel piano di Dio: passione, morte, risurrezione, conversione, tanto che san Girolamo diceva: «L’Ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo».
Maria è la discepola che meglio sa porsi di fronte al Figlio: «Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); e al tempio, «Non compresero le sue parole… Sua Madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). Maria è colei che non dimentica, «custodisce», si fa attenta a quanto il Signore le ha detto e fatto, e medita, cioè approfondisce nel cuore. Anche alla Vergine è richiesto un processo di interiorizzazione per approfondirne interpretazione e implicazioni: cosa capisco e cosa devo quindi fare. Gesù suggerisce ai discepoli di «educarsi» a custodire, a far memoria: ciò che oggi non si comprende, lo si comprenderà con lo scorrere della vita.
v. 48: ”Di questo voi siete testimoni”: “Testimone” è uno che sa essere “custode/custodire”, come la Vergine Maria. Il discepolo è mandato facendo memoria di quanto ha sperimentato. Al cuore di questa esperienza c’è la misericordia di Dio, l’essersi sentiti amati e perdonati: «Di questo voi siete testimoni». Concetto che ritroveremo anche nella predicazione degli apostoli: dopo la guarigione dello storpio, Pietro dirà alla folla che lo guarda stupito: “… Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati”, che infatti la liturgia ha scelto come prima lettura. (At 3, 18- 19). Pietro, e con lui gli altri discepoli, ha capito che si può annunciare ciò di cui si è fatto esperienza: «Quello che abbiamo veduto, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato…noi lo annunziamo a voi» (1Gv 1,1ss); “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito” (At 4,20).
E l’esperienza più vera e profonda passa attraverso il comprendere le Scritture e capire quanto prezioso sia il perdono, il convertirsi, il cambiare mentalità. Non a parole, ma concretamente. «Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti», se aderiamo concretamente a Lui, ci ricorda Giovanni nella II lettura. Non basta dire «di conoscere Dio» se poi non vivi come Lui chiede, continuando a vivere secondo «i tuoi valori»!
Da qui nasce l’invocazione: 1Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (il salmo), ossia la luce della tua misericordia risplenda in me affinché la Tua luce in me, Signore, possa risplendere per gli altri (Nm 6,22ss).
Nella II domenica la fatica di Tommaso, oggi l’invito a verificarci quanto noi «crediamo» in Gesù realmente e concretamente risorto. La risurrezione non è un’idea di Gesù, un valore di Gesù… ma è Lui stesso, risorto in carne ed ossa. Ciò che conta è aderire concretamente a Lui, diversamente ci perdiamo, rischiando di coltivare una fede senza Gesù! Credere in alcuni suoi valori ma senza Lui, che dona valore ad ogni cosa finiamo per essere comparse, ma non testimoni o missionari. La fede cambia la vita ma nel rispetto dei ritmi della vita! La fede è una luce che mi aiuta a capire qui ed ora come dare un senso a quanto sto facendo: “Signore, cosa vuoi dirmi attraverso questo?”.
Come Gesù accoglie i timori dei discepoli, così oggi accoglie il mio e nostro timore, i nostri dubbi, turbamenti, inquietudini e, come fece con Tommaso e oggi con i discepoli, così fa con ciascuno di noi. Da questo «Fatto» sono invitato a trovare il coraggio di prendere posizione qui ed ora di fronte a Gesù crocifisso e risorto: è il caso serio della fede. Ricordandoci che tutto questo, comunque sia, è la nostra vita! Ed è in questa vita concreta che Gesù ci raggiunge e ci salva con e nella sua misericordia, che è il cuore del messaggio della testimonianza, perché, come dice papa Francesco, solo se “Misericordiati, diventeremo misericordiosi”.
Gesù mostra loro “le mani e i piedi”: fa vedere le piaghe: “Sono proprio io!”. Eppure, ancora non credono, sono come “ubriachi” di gioia: Non può essere vero! Non può essere così! E Gesù non si ferma neppure di fronte questo loro immobilismo, e chiede di mangiare. L’insistenza di Gesù sulla sua concretezza di vita illumina la concretezza della nostra vita, del nostro corpo. Ci fa capire che la concretezza della nostra vita, del nostro corpo…non sono un ostacolo, una prigione dell’anima. Tutto è creato da Dio! (cfr Gn 1). Il corpo è dono di Dio, è chiamato a divenire immagine e somiglianza di Lui (Gn 1,26). Non è prigione, ma tempio dello Spirito santo! (1Cor 6,19). È trampolino per stare con Gesù risorto. Il Corpo è una cosa grande! Una cosa bella! Capire Gesù risorto ci aiuterà a capire meglio il nostro essere creature, una unità di corpo e anima!
A noi, come ai discepoli, è chiesto di «convertici», cioè di cogliere la proposta di Gesù come una nuova opportunità: certo, si tratta di cambiare mente, cuore, direzione…questo significa convertirsi. Ma questo nasce da una certezza che sta a fondamento di tutto: l’invito a «convertirmi e credere al vangelo» (cfr Mc 1,15) è prima di tutto una proposta, il fatto che Gesù mi offre una nuova opportunità; un invito a non restare ripiegato sui miei errori ma di reagire. È questa certezza che mi raggiunge come dono che si fa gioia in me e mi dona coraggio di cambiare. La conversione è disponibilità e apertura alla misericordia di Dio.
Una testimonianza, come segnala il testo del vangelo, che inizia a Gerusalemme cioè nel cuore stesso della vita religiosa del popolo ebraico. Come a dire che il primo pagano è nel centro del mio cuore, il primo da evangelizzare sono io, la mia famiglia, la mia gente… I pagani, quindi, non sono solo gli altri, ma siamo tutti pagani da evangelizzare, a cominciare da me stesso. E Gesù continua a farsi presente a me, e a ciascuno di noi, nella sua concretezza per mezzo della Parola e dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo” nella vita dei “fratelli tutti” perché “Ogni volta che avrò fatto qualcosa a un fratello lo avrò fatto a Lui” (cfr Mt 25,45).
Per dimostrare d non essere un fantasma, Gesù si fa invitare a pranzo: quasi a suggerirci che se non vogliamo far passare la fede per un’idea, per sole parole, siamo chiamati a mostrare la fede nell’accoglienza, nel servizio, nella convivialità…(Gc 2,18 “…Mostrami la tua fede senza le opere e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”). Atteggiamenti tutti che suggeriscono che la fede non può essere ridotta a fatto interiore, personale, emotivo, psicologico; e neppure a una presenza domenicale alla messa.
È questione di comunità, di fraternità! Come dicevamo nella meditazione sui testi della II domenica, imparo a crescere nella fede lasciandomi coinvolgere dalla misericordia di Dio, vivendo dentro la Comunità, la Chiesa. Come diceva san Francesco di Sales, «Non parlare di Dio a chi non te lo chiede, ma vivi in modo tale che prima o poi te lo chieda». Perché o la fede è un “fatto” reale e concreto, o non cambia la vita.
Come la nascita di Gesù è stata un Avvenimento che ha sconquassato la storia aprendola a una Storia più grande, una Storia di salvezza, così la Sua Risurrezione è l’Avvenimento che porta a compimento quel Disegno di Amore. È un Fatto, non una semplice interpretazione di quel Fatto. Ed è un «fatto» di misericordia, dove se mi lascio “misericordiare, divento misericordioso” e quindi attraente. Quindi missionario.
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.