Il crescendo di luce e di suoni nel nuovo mattino reca sempre con sé la memoria dello spegnersi dei suoni e delle luci del giorno precedente. Il nuovo è legato esistenzialmente al vecchio, perché da esso proviene e oltre esso è capace di andare.
Le ultime cose del prima spesso diventano le prime cose del dopo, un legame tra giorno e notte, tra notte e giorno, fatto di vita e di memoria, dentro un’alba e un tramonto, dentro un mattino di speranza e una sera di consolazione.
Nell’ultima luce del giorno, nella nostra silenziosa sera, ritroviamo il tempo sacro del ripensare a noi stessi e alla nostra vita, alle piccole come alle grandi cose riprese in mano durante le ore del giorno, che minuto dopo minuto si va spegnendo.
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Tempo di respiri e di sospiri questo, conteggio di guadagni e di perdite, istanti preziosi per rilanciare oltre la notte, che ormai ci sta di fronte, i propositi del mattino passato e ormai lontano, piccole immersioni nella coscienza di sé e veloci sguardi allo specchio della propria verità.
E anche se talvolta può capitare di scoprire che dentro le nostre pupille non c’è più niente di vivo, o addirittura una felicità sciupata, ci rannicchiamo così, dentro la speranza di un nuovo orizzonte e, click, spegniamo l’ultima luce.
Non siamo però figli del caos, il risultato di ciò che ci investe e ci attraversa. Semmai, siamo figli di un delicato silenzio che ci plasma giorno dopo giorno, ci protegge notte dopo notte, in attesa di quel momento importante che è l’alba di un nuovo mattino, preludio di tutto quello che potrebbe essere diverso e innovativo se ancora avremo il coraggio di fidarci del bello che è in noi e attorno a noi.
Per gentile concessione di Don Sergio Carettoni dal suo blog.