Con un respiro lento, largo e a pieni polmoni, là dove nella vita rischiamo facilmente di incagliarci, come una nave sui fondali bassi del suo mare, c’è una domanda dentro ciascuno che riemerge e ritorna a farsi sentire, che si pone nuovamente davanti ai nostri occhi con l’orgoglio di sentirsi la domanda pilota di ogni uomo e di ogni donna, come la bussola che tutti devono imparare a saper reggere in mano e che, al termine del viaggio di ciascuno, ad altri viene passata, come il testimone della vita. Si tratta di quella domanda, una, che indica la direzione al nostro sentiero: che cosa salverà l’uomo – ci domandiamo – da se stesso e dagli altri?
Fino a che punto siamo davvero padroni del nostro destino, e non una conseguenza di tante altre conseguenze, a volte anche di inimmaginabili coincidenze, a volte il risultato di quello che diciamo essere il caso, ma che forse tale lo definiamo solo noi, in considerazione del fatto che ancora non sappiamo spiegarci il mistero delle nostre storie personali?
Di fronte alle persone che ci distruggono e alle altre, invece, che silenziosamente e delicatamente ci stanno accanto per prendersi cura di noi e dei nostri giorni, per colmare di positività le nostre ore slabbrate, non ci resta altro che ritornare alla forza dei nostri sogni, immensi nella vastità e al tempo stesso segreti nell’intimità.
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E anche se i sogni non ci bastano mai per avere ben chiaro il nostro destino, un anticipo di ciò che diventeremo e resteremo da un giorno in poi, ora ci riscalda il cuore e ci riaccende la mente proprio quel linguaggio d’amore nascosto dentro le radici di ogni giorno, il solo a parlarci, la sola voce a risuonare in noi, una melodia madre, che al sopraggiungere di un nuovo tramonto ci avvolge e ci protegge da ciò che ancora ci fa paura; e tutti ci abbraccia in un sonno senza più desiderio.
Senza l’affanno di scappare in contorni senza colore, con desideri senza centro né meta, senza la smania di voler essere in un altrove ancora a noi tutti sconosciuto, uno dopo l’altro ci allontaniamo, ognuno riprendendo il suo sentiero, in un lento sfumare gli uni negli altri fino a confonderci tutti nelle striature della medesima notte e da lì scrutare l’orizzonte in attesa di un nuovo mattino.
Per gentile concessione di Don Sergio Carettoni dal suo blog.