Duri come pietre, quasi non avessimo sentimenti da esprimere di fronte al mistero del dolore di Dio, restiamo lì in piedi a guardare un Figlio d’Uomo in viaggio verso la sua morte.
C’è qualcosa che potremmo forse fare per lui? Forse qualcosa da dire, da commentare – ci domandiamo l’un l’altro? Se ancora possibile, come potremmo fermare adesso questa ascesa di calvario quasi ormai giunta alla fine del suo percorso? Non è forse meglio restarsene religiosamente silenziosi, in disparte, spettatori dignitosamente distaccati? Forse sì, perché sentiamo sempre più difficile trovare nella profondità dei nostri respiri pensieri e parole di vicinanza al dolore di Dio. Come potrebbe essere diversamente?
Lo ammettiamo benissimo che il nostro restarcene lì, impietriti, a mo’ di statue lungo la via della croce, è una forma di difesa, di protezione di noi stessi dalla vastità, dalla profondità, dall’altezza e dalla passionalità dell’amore di Dio. Fare quasi finta di niente, come se non ci ricordassimo più delle carezze del suo amore, ci dà l’illusione di provare a nasconderci dietro veli di opportunismo. Adesso più che mai, noi stiamo al di qua del velo della Veronica, un po’ per non essere visti, un po’ per evitare l’incrocio dei suoi occhi, un po’ per paura di vedere la violenza e la forza del nostro graffiare il volto di un Figlio.
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Un vento ricco di luce, un viso che sembra fatto d’aria, un incedere sciancato ma dignitoso il suo, tutto rapisce i nostri sguardi e ci strappa dal petto cuori ormai raffreddati e intirizziti dall’approssimarsi agghiacciante della morte. E nonostante il chiasso di una rissa in corteo, che precede e che segue due pali a forma di croce, più nessuno osa uscire dalla sua elegante e accurata distanza.
Di fronte a un Amore così immensamente sfigurato, ci sentiamo tutti nobili di seconda mano, cavaliere di sventura con dentro un’ingestibile rabbia convulsa di vita. Intanto quel giovane rabbi, che non avrà mai nessuna donna da sposare, passa e se ne va al suo dormire tra le pieghe della terra; e noi, come vorremmo essere noi, quanto saremmo disposti a pagare ancora noi, per ritrovarci dentro il talamo eterno del suo amore.
E di fronte a mani che accompagnano la Sua croce, le mani del Cireneo, finalmente le prime lacrime compaiono alla finestra dei nostri occhi e offuscano e sfuocano via via la scena, per lasciarci il tempo di piangere anche noi.
Per gentile concessione di Don Sergio Carettoni dal suo blog.