Il tempo, ormai, si è fatto breve, e le parole e i gesti di Gesù, sempre più tersi e trasparenti, rispondono all’urgenza di raccontare dell’amore con cui Dio vuole amare l’umanità. Tutto sembra diventare chiaro, Gesù non fugge, non ha paura, andrà fino in fondo e lo farà per la nostra salvezza, per non perdere nessuno di noi, cammina con determinazione dentro gli avvenimenti, anche i più pericolosi e sale, ancora una volta, a Gerusalemme.
Sa che è il suo tempo per annunciare e da questo non può fuggire, anche se sa che non è ancora giunta la sua ora. Sa che la messe nei campi non è ancora matura, non si può ancora mietere il grano perché possa essere raccolto e macinato fino a diventare farina, quella farina che impastata e fatta lievitare con lievito di amore, e poi cotta col fuoco dello Spirito, diventa quel Pane di vita che è Dio che si fa mangiare da noi; da tutti noi, nessuno escluso, per la nostra salvezza.
Sa che l’uva non è ancora matura per essere vendemmiata, raccolta, pigiata e poi fatta fermentare perché possa diventare vino, quel vino tanto essenziale da significare il dono di una vita per la salvezza di tutti, quei tutti che sono invitati a berlo per potere ricevere la vita di Dio in loro.
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La progressiva rivelazione della sua identità si scontra con una crescente e ostinata chiusura che scatena la reazione di coloro che si sentono minacciati dalla Sua presenza, dal fatto che Lui vive in un modo diverso. Questa tensione accompagna la storia. Tensione tra i progetti umani e il disegno salvifico di Dio. La mente umana fa fatica a conciliare questi due aspetti che sembrano escludersi a vicenda.
Eppure è così: il mondo è un teatro di libertà, ma misteriosamente non sfugge di mano a Dio. Arriverà l’ora in cui Gesù verrà ucciso, ma neppure lì la libertà degli uomini soffocherà il progetto di Dio perché «dalle sue ferite noi siamo stati guariti».
Per riflettere
Non è ancora tempo per la mietitura e per la vendemmia, è tempo di testimoniare una libera fedeltà alla vita, con mitezza e misericordia. Non si tratta di false perfezioni, non si tratta di giustificare le nostre imperfezioni, si tratta invece di trattare i nostri limiti come povertà, le nostre ferite come feritoie aperte al dono della grazia.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi