Siamo giunti alla V domenica di Quaresima, ultima tappa del nostro cammino prima di introdurci nella Settimana Santa attraverso quel solenne Portale che è la domenica della Passione, detta delle Palme, che celebreremo domenica prossima.
In questa quinta domenica ci viene presentata la V alleanza tra Dio e il suo popolo (la I alleanza con Noè, la II con Abramo, la III con Mosè, la IV attraverso il re Ciro), ma questa volta potremmo dire che Dio supera se stesso. “Concluderò un’alleanza nuova – scrive il profeta Geremia -. Non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dall’Egitto, alleanza che essi hanno infranto…: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro… perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”.
Dunque non ci saranno più le “10 Parole” scritte su tavole (non perché Gesù le abbia abolite, ma ne ha portato a compimento lo spirito, cfr Mt 5,17-20), ma una legge scritta sul cuore di ciascuno, una legge che non verrà più proposta dall’esterno e alla quale si dovrà aderire, ma una alleanza che sgorgherà dai cuori. Ciò evidenzia, una volta per tutte, che il vero culto non è quello esteriore, fatto per “comandamento”, ma quello fatto con cuore, per amore. Una “conoscenza” intima, ci suggerisce Geremia, non solo intellettuale (cfr Gb 42,5: “Ti conoscevo per sentito dire…oggi ti conosco perché ti ho incontrato/ho fatto esperienza di Te”), un’esperienza capace di coinvolgere tutta l’intera esistenza.
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v. 20: “Tra quelli saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”: interessante notare che i Greci non vanno verso il Tempio, ma “cercano Gesù”, si sentono da Lui attratti, seppur pagani. I pagani sono vicini alla salvezza e cercano la vera adorazione in “spirito e verità” (4,33). Accostano Filippo di Betsaida, un discepolo dal nome greco, e chiedono di “vedere”: non tanto una curiosità (cfr Erode Lc 23,8) quanto un desiderio di pienezza. Giovanni pone in risalto questa frase, centrata sul verbo vedere, che nel vocabolario dell’evangelista significa “credere in”, andare oltre le apparenze per cogliere il mistero di una persona, arrivare fino al suo cuore. A Giovanni sta a cuore sottolineare non tanto la presenza dei “greci”, quanto l’universalità della salvezza rivolta a tutti coloro che vogliono vedere Gesù.
Gv 12, 20-33 | don Andrea Vena 82 kb 20 downloads
V domenica di Quaresima, anno B – Ger 31,31-34 Sal 51 Eb 5,7-9 Gv 12,20-33 a cura…v. 22: “Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù”: Filippo consulta un altro discepolo, Andrea, e poi insieme vanno da Gesù. Entrambi hanno un nome greco e hanno origini dalla Galilea, terra aperta ai pagani. Questo può aver spinto i greci a rivolgersi a loro per arrivare a Gesù. v. 23: Gesù rispose: “è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato..:”: la reazione di Gesù sembra che non c’entri con questa richiesta, che stia sviando dal rispondere ai discepoli, ma in realtà sta facendo capire qual è l’unico modo per “mostrarsi”, per manifestarsi fino in fondo per quello che Egli è, Amore di Dio donato all’umanità. I greci, seppur pagani, cercano questa pienezza e in cuor loro si sentono attratti da Gesù. Intuiscono che è Lui quella “pienezza” che stanno cercando.
v. 24: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”: il chicco di grano, finché non marcisce, non può portare alla pianta. Così Gesù, per essere “visto” deve morire come il chicco di grano; solo così potrà diventare sorgente di vita per molti, potrà dare quella “pienezza” desiderata e cercata dai greci. San Paolo recupererà questa immagine quando scrive: “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore” (1Cor 15,36).
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v. 25: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà…”: “Odiare” la propria vita è una espressione forte e paradossale, che ben sottolinea la radicale totalità che deve contraddistinguere chi segue Cristo e si pone, per suo amore, al servizio dei fratelli. La via della gloria passa per la via della croce, fa capire Gesù. L’attaccamento a se stessi diventa perciò un ostacolo. Non esiste altra via per sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’Amore: la via del darsi, del donarsi, del perdersi per trovarsi.
v. 26: “Se uno mi vuole servire, mi segua…Se uno serve me, il Padre lo onorerà”: le parole di Gesù fanno capire che non basta la “sequela”, lo stare dietro a Lui, ma richiede identità di vedute e di ideali con Lui, partecipazione alla sua stessa missione. Certi che questa “scelta di fondo”, questo orientamento di vita ha una ricompensa garantita: dimorare nel Padre (cfr 14,3), ricevere la sua gloria.
v. 27: “Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”: Gesù cambia radicalmente tono. Cita il salmo 6 “Adesso la mia anima è turbata”, il testo dice “tremore”, l’anima mia trema. Ma la sua adesione al disegno del Padre qui non viene meno “Padre, glorifica il tuo nome”, come non verrà meno nel Getsemani: “Tuttavia, non la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42b). Come a dire:“Accetto la croce”, accetto la grandezza del tuo Amore. Il Figlio di Dio non ha affrontato a cuor leggero la sua morte, la sua fine. Gli “tremano i polsi”, “il cuore”… tutto trema in lui per la paura. Ma Gesù conferma il suo proposito di manifestare l’amore del Padre, anche a costo della tortura, anche a costo della sua vita.
Dice “proprio per questo sono giunto a quest’ora e dirò: Padre glorifica il tuo nome”, cioè manifesta il tuo amore. In quel momento, scrive l’evangelista, “venne una voce dal cielo”, cioè da Dio, che dice “l’ho glorificato”. Il Padre ha glorificato Gesù nel Battesimo (Mt 4,17) e ora si appresta nuovamente a glorificarlo in croce, quando il Figlio morirà per amore dell’uomo e per amore del Padre suo. Incomprensibile. Ineffabile. L’ora della passione, perciò, diviene l’ora della gloria (Gv12,23), l’ora della rivelazione piena della verità, cioè dell’amore di Dio: un amore così grande e forte da poter trasformare la morte in vita, la fine in un nuovo inizio. Gesù sarà “innalzato” (Gv 12, 32): un’unica parola per dire sia la croce sia la gloria, perché croce e gloria sono da ora in poi inseparabili. E da questo innalzamento nascerà un popolo nuovo, a cui tutti possono aderire: “ E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Un traguardo raggiunto perché nella “sua vita terrena offrì preghiere e suppliche…a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì e divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (seconda lettura).
Dopo la “lieta sosta” di domenica scorsa, dove ho trovato ristoro in Gesù, Colui che è stato innalzato per me in croce, oggi la liturgia mi proietta verso la Pasqua sempre più vicina. Sono così invitato a sintonizzarmi nel condividere lo stato d’animo di Gesù, non come spettatore estraneo, bensì come protagonista insieme con Lui. Un cammino che però chiede di essere raggiunto attraverso l’impervio percorso della Settimana Santa. Un cammino che chiede non tanto “conoscenze”, quanto “amore”: chiede di essere affrontato con cuore, cuore a cuore con Gesù, sapendo che spesso il cuore ha ragioni che la ragione non comprende.
Questa esperienza, mi ricorda il vangelo odierno, chiede di accettare di morire a se stessi, chiede di “far morire” le cose vecchie, di non vivere di nostalgie ma di speranza: “Non ricordate più le cose passate…antiche: Ecco, faccio una cosa nuova” (cfr Is 43,18-19), a costo di permettere al Signore di mettere a repentaglio la mia vita, le mie abitudini, le mie certezze (cfr purificazione del tempio), per abbracciare con tutto me stesso Lui, Parola di vita vera. Gesù mi sta chiedendo di dargli il giusto “onore”, ossia il giusto valore nella mia vita, e quindi di abbandonarmi in Lui come Lui si è abbandonato alla volontà del Padre suo, morendo in croce.
Una vita “persa” per gli altri (come il chicco di grano) è una vita che ama e che si dona, è una vita che entra in relazione di amore, di servizio: è vita che si compie. Come a dire… se doni la vita, sei pieno di vita! Consapevoli che, come Gesù ha tremato, così siamo chiamati a volerci bene anche nel mio e nostro “tremare”, imparando a fidarci del Padre del cielo, in cui abbiamo posto la vita.
La Croce – che spesso guardiamo con diffidenza – è la manifestazione dell’amore di Dio, della sua solidarietà con noi: “Nessuno ha un amore più grande che dare la sua vita per i propri amici (Gv 15,13). Rivela la gloria di Dio, la gloria dell’amore: alla fine, proprio in croce, vince l’Amore. Sapendo che le opere possono essere vuote d’amore, mentre l’amore sempre si incarna in gesti concreti.
APPENDICE (il cammino quaresimale)
[…]
V domenica (Gv 12,20-33): Gesù si presenta come quel chicco di grano che chiede di essere gettato per morire e portare frutto. È la sua “ora” di obbedienza totale al Padre, che lo glorificherà. In questo modo si concluderà l’alleanza nuova e definitiva e Dio non ricorderà più il peccato dell’uomo (I lettura). Imparando l’obbedienza, Gesù divenne causa di salvezza per tutti, sigillando l’eterna alleanza (II lettura) non su tavole di pietra, ma direttamente nei cuori: “Crea in me o Dio, un cuore puro” (salmo).
Domenica di Passione, “Portale” della settimana santa. Compreso che siamo “deboli” (Le ceneri), sempre in lotta tra il bene e il male (I dom), ma senza rinunciare a puntare sempre verso l’alto (II dom), forti della gioia che il Signore ci ha salvati (IV dom), e consapevoli che tutto questo lo abbiamo ricevuto gratuitamente da Gesù (V dom), non resta che accettare di partecipare alla sua “passione” (Le palme).
Si tratta, cioè, di accettare di mettersi “dietro a Lui” nel momento più cruento, evitando di rinnegare, di tradire, di scappare. Ne vale la credibilità della nostra testimonianza.
Triduo Pasquale: Lo “stare dietro”, comporta entrare nella sua logica.
Giovedì santo: partecipare al banchetto dove Lui si fa dono: qui impariamo a renderci capaci di farci noi stessi dono gli uni per gli altri, sapendo comprendere e vivere, come suggeriva don Tonino Bello, la “grammatica dell’Eucaristia”, ossia la Messa come la intendiamo; ma anche la “logica dell’Eucaristia” che è farsi servizio, espressa nella lavanda dei piedi: “Vi ho dato l’esempio…perché lo facciate anche voi”.
Venerdì santo: “stare dietro”, che chiede di imparare a seguire Gesù e, sull’esempio della Vergine Maria, stare “ritti in piedi” anche sotto la croce.
Sabato santo: camminare chiede anche la capacità di fermarsi, di attendere, di ritrovarci. Il silenzio di questo giorno è forse il più difficile. Vivere nell’attesa.
La notte tra il sabato e la domenica: Pasqua! Solo chi vive nell’attesa, incontra il Risorto, come la Maddalena. E, incontrato, non si può che andare ad annunciare di averLo visto e toccato. È la gioia della testimonianza della vita.
Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.