Dio ci ha tanto amato…
L’amore… quanto ne parliamo! Quanto lo desideriamo! Quanto ci fa soffrire! Ma qual è il suo volto? Quale la sua voce? Che cosa ci permette di riconoscerlo, di sentircene raggiunti?
Ci sono alcune perle che brillano con particolare intensità in questa IV domenica di Quaresima, passaggi rapidi forse, ma sostanziali.
«Il Signore mandò premurosamente e incessantemente suoi messaggeri…», leggiamo nel Secondo libro delle Cronache (Prima lettura, che la liturgia ci propone oggi); e ancora: «perché aveva compassione del suo popolo». Premura e cum-passione, le stesse che riecheggiano nella Lettera di san Paolo agli Efesini: «Per il grande amore con il quale [Dio] ci ha amato ci ha fatto rivivere…»
Le letture, Vangelo incluso naturalmente, oggi ci mettono davanti il Ricco di misericordia, colui che ha fatto vivere il mondo e lo fa rivivere ogni volta, colui che ci salva pur colpevoli, che ci cerca pur distanti, che ci ama pur indifferenti; colui che con-passione vuole riscattarci da ogni morte per legarci a sé; colui che per amore ha dato il Figlio amato, colui che non condanna. Perché altro senso non ha la croce se non la nostra salvezza, immeritata e gratuita.
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Mi perdo nella bellezza delle parole che l’evangelista Giovanni ci offre, e penso quanta vertigine abbia provato anche Nicodemo. Quanto non-senso c’è nelle parole di quel Gesù di Nazaret! Sì, non-senso. Perché se oggi, a distanza di duemila anni, la croce ci fa ancora così problema (perché ce lo fa), che cosa deve aver provato lui, maestro della Legge, che ben conosceva il senso di quel serpente issato da Mosè, e di quel deserto, e di quel popolo che aveva tradito accontentandosi della terra, e di quel Dio che voleva riportare ognuno ad alzare gli occhi (e il cuore) al cielo?
Ora quel serpente riappariva all’orizzonte, ma dalla bocca di uno che sembrava avere il cielo nel cuore. Ancora una volta Dio aveva bisogno di far rialzare gli occhi da terra a chi della terra ormai aveva scelto di riempirsi. E Dio lo avrebbe fatto davvero, ci sarebbe riuscito.
Ancora una volta chi avrebbe avuto il coraggio di alzare gli occhi avrebbe visto lui, non il Re, non il Messia, non il Salvatore, ma il Crocifisso, e si sarebbe salvato.
Ancora una volta chi ha il coraggio di alzare gli occhi da terra può rischiare di incontrare lui, non il Re, non il Messia, non il Salvatore, non l’Onnipotente, ma il Crocifisso, e ricevere salvezza. Perché nel Crocifisso noi possiamo vedere Dio, ascoltare la totalità del suo amore, ricevere la sua vita. Nel Crocifisso non trova spazio il buio della morte e la durezza del dolore: lui è luce, e in lui ci insegna a diventare luce, a coltivare luce, a riempirci di luce.
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«Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato», dice Gesù a Nicodemo, perché proprio nel momento in cui l’Onnipotenza avrebbe potuto liberarsi, l’Amore ha scelto di morire, e di attraversare così la morte. L’umanità vera e autentica del Figlio di Dio, che è Dio, lasciandosi attraversare dalla morte ci ha aperto vie di riscatto dalla morte, dalle morti. E noi in lui abbiamo visto ciò che potremmo essere: figli di Dio amati, che possono attraversare il dolore e la morte e risorgere.
Questa è fede: e possiamo anche non riuscire a crederci, non riuscire a viverla.
Ma questo è anche ciò che Dio fa per noi, anche quando siamo troppo impegnati con la terra, quando tutto ha come anestetizzato la nostra fede, quando pensiamo che «credere» sia proprio degli ingenui. Lui ama, e lo fa fino all’estremo, lo fa senza limiti, lo fa senza se e senza ma.
Lui è il Dio che premurosamente incessantemente manda suoi messaggeri perché ha compassione di noi, soffre con noi, ama con noi, fa il tifo per noi: ci vuole liberi, autentici, felici! E per questo non ha risparmiato nemmeno sé stesso.
Questa è gioia che riempie il cuore; questa certezza si fa canto, lode, benedizione, ringraziamento in questa IV domenica di Quaresima, domenica di letizia.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com