Letture: Gn 22,1-2.9.10-13.15-18; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10
La Croce, supremo dono d’amore
Dio ama sempre il suo popolo
Gli scribi deuteronomisti raccontano la storia passata, da Mosè alla rovina di Gerusalemme, come applicazione dell’Alleanza sinaitica: Dio ha mantenuto le sue promesse, ma l’infedeltà del popolo lo ha portato a tirarsi addosso le sofferenze inevitabili da chi si allontana da Dio, fonte della vita e della felicità. Questo è il senso della rovina di Samaria nel 722 (2 Re 17,7-23) e di Gerusalemme nel 588 (2 Re 23,26-25,30).
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Ma sempre prevale la “hesed IHWH”, la fedeltà misericordiosa di Dio: l’editto di Ciro, nel 538, viene interpretato nella prima lettura (2 Cr 36,14-23) come una conferma dell’amore imperituro di Dio per il suo popolo.
Tutte le letture odierne cantano questa Misericordia infinita, che si è rivelata in pienezza nel dono del Figlio, consegnato per la nostra salvezza: il suo sacrificio sulla croce dà a noi la vita eterna (vangelo: Gv 3,14-21).
La Croce, suprema manifestazione dell’Amore di Dio
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La croce è l’epifenomeno, la manifestazione culminante della Misericordia di Dio per gli uomini. È il momento storicamente supremo dell’incarnazione, cioè del grande movimento di Dio verso l’uomo, del suo abbassarsi verso di lui per divinizzarlo. Sulla croce Dio porta a termine il suo progetto, che era di diventare uomo per davvero, sussumendo su di sé tutta la creaturalità, con tutta la sua finitudine, con tutto il suo limite, con il suo peccato, con la sua morte, per trasportare tutta la nostra umanità nella sua divinità. Nella croce e risurrezione di Cristo diventiamo partecipi della vita stessa di Dio. Se l’uomo, con la sua ascesi, non poteva realizzare ciò, lo realizza Dio al colmo della sua discesi, della sua kenosis, del suo svuotarsi, spogliarsi delle prerogative divine (Fil 2,5-11).
Ma attenzione: non è un Dio spietato che, per un malinteso senso di giustizia, esige l’immolazione del Figlio. Ma è Dio stesso che si fa vittima sacrificale per noi! Il Targum e poi il testo masoretico leggono in tal senso il profeta Zaccaria: “Guarderanno a me che hanno trafitto” (Zc 12,10). “I colpi che raggiungono il Figlio colpiscono anche il Padre… Gesù lo dice formalmente: «Il Padre è sempre con me, non mi lascia mai solo» (Gv 16,32)… Pertanto…, nel corso della Passione e con il trafiggimento finale della Croce, si colpisce e si trafigge certamente il Figlio, ma, nel Figlio e per mezzo suo, si colpisce anche il Padre, perché i due non fanno che «una cosa sola» (Gv 10,30). Parimenti si «contrista» mortalmente in tal modo lo Spirito (Ef 4,30), perché è il vincolo del loro comune amore… Certamente solo (unus!) il Figlio è coinvolto con la sua umanità nel baratro mortale e micidiale della Croce, secondo l’antico adagio: «unus de Trinitate passus est». Ma, per la comunione degli idiomi in seno alla Trinità stessa, la Croce, propria della carne del Figlio, è tuttavia condivisa dal Padre nella comunione dello Spirito. «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie», ha detto Gesù al Padre nella preghiera sacerdotale” (G. Martelet).
La croce non è quindi la suprema soddisfazione di un Dio vendicativo, ma la massima espressione della sua Misericordia per gli uomini: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16); “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con Cristo… per mostrare la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Gesù Cristo” (Ef 2,4-5.7: seconda lettura).
Aderire a questo mistero d’Amore
A noi non resta che aderire estasiati a questo mistero di amore, ci dice il Vangelo odierno, “credendo nel Figlio” (Gv 3,15.18) e coerentemente “operando la verità” (Gv 3,21), cioè compiendo le “opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” (Ef 2,10).
Il commento alle letture della domenica a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.