Pietro e i discepoli avvertono qui l’esigenza di trattare il tema del perdono: quali le sue ampiezze, quali i suoi confini? È sufficiente la misura piena del «sette», numero simbolo di pienezza e totalità?
Gesù rilancia proclamando la legge del perdono illimitato—“settanta volte sette”—che rompe la struttura dell’orizzonte proposta da Pietro perché se chi perdona ha gli occhi di Dio, di colui che sa scorgere le primavere dentro i nostri inverni, la misura del perdono non è mai colma e la forza del perdono germoglia nel cuore, luogo dove l’uomo decide la sua via e a chi vuole somigliare.
Se il peccato deturpa la fraternità e deforma il volto dell’amore del Padre che Gesù mostra in mezzo agli uomini, il perdono trasforma dal di dentro l’uomo e lo riporta all’infanzia del cuore, all’atteggiamento di meraviglia e di gratuità che rende i discepoli già proprietari del regno del Padre; il perdono mosso dalla misericordia, dalla compassione, dalla pietà, dal sentirci a nostra volta peccatori e debitori, ci apre alla vertigine di essere come Dio, la creatura come il creatore. Chiave di volta di tutta la morale biblica. Perché avere pietà? Per un battito all’unisono con il battito di Dio.
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Dio che rompe le nostre misure, che rimette i debiti sempre, che libera non come uno smemorato che dimentica il male, ma con la casta follia di quella Croce che lo attende e che sarà, oltre ogni logica umana, palcoscenico del più grande perdono.
Scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, ma consolazione per noi debitori.
Per riflettere
Il perdono non è sentimento ma è una decisione che si coltiva nella preghiera davanti a Dio: perdoneremo se pregheremo. Il perdono non è dimenticare ma aprire al futuro il nostro sguardo: saremo perdonati se perdoneremo. La creazione plasma qualcosa dal nulla. Il perdono riduce qualcosa a nulla.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi