Se si vuole ripartire ogni giorno con speranza e fiducia rinnovata, non possiamo non mettere al centro della nostra esistenza la qualità sovrabbondante del perdono di Dio.
Non è tanto una questione di numeri, una questione di ritrovare i nostri peccati per farci vedere pentiti. Anche, ma questo viene dopo. Non è neppure una questione contabile di dire tutti i nostri peccati e di dirli in abbondanza, senza dimenticanza. È invece una questione di qualità. E la qualità è data dalla cifra del perdono di Dio: senza condizioni e sovrabbondante.
Non possiamo cedere al lievito dei farisei basato sui meriti e sull’essere fedeli a questi meriti. Non possiamo lasciarci lievitare dal lievito del fariseismo che va alla conta dei peccati per dimostrare la propria capacità di perdono, che ha un limite: sette volte.
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No Pietro, no cristiano. Il perdono è una questione di vita, non è bazzecola da dare col contagocce. Fino a che il perdono non fiorisce nel tuo cuore, vani sono i perdoni che noi mettiamo in campo: diventano questione farisaica dove noi contiamo quante volte abbiamo perdonato e quante volte siamo stati perdonati. Perdiamo di vista l’unico e vero Perdonante. Perdiamo di vista la qualità del perdono del Padre. Perdiamo di vista il volto di Dio.
L’essenza di Dio è misericordia, e quello che siamo non si può conteggiare perché o lo siamo o non lo siamo. E se siamo figli del Misericordioso o siamo misericordiosi o non siamo. L’essenza di Dio Padre è misericordia che si realizza in una misericordia invincibile. È questione di identità prima ancora che di fare.
Se siamo figli della misericordia il nostro non può che essere volto misericordioso, indipendentemente da meriti di vario genere sia miei che del fratello. Se non vivo ogni giorno questa dinamica di misericordia, io tradisco prima di tutto me stesso. Solo in seconda battuta tradisco il fratello.
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In altre parole: se mi voglio bene non posso uccidere una parte centrale della mia identità. O la sono e dunque la vivo e dunque la concretizzo, oppure non sono. È un atto di verità e di libertà di fronte al peccato del Divisore che uccide ogni relazione e ogni unità. Senza unità, lo sappiamo, non abbiamo la forza di chiedere nulla al Signore, che chiede che siamo almeno in due o tre a chiedere ciò di cui necessitiamo.
La misericordia del Misericordioso questa mattina raggiunge ognuno di noi, noi che siamo tutti intenti a fare i conteggi dei nostri atti di perdono e dei peccati del prossimo. Non possiamo dimenticare la nostra origine, il nostro DNA, la nostra identità: noi siamo dei perdonati bisognosi di essere continuamente perdonati. E questo non contempla il fatto che noi siamo preoccupati che i nostri peccati confessati siano sempre gli stessi.
La misericordia, nella parabola di oggi, si fa respiro di vita proprio nel momento della minaccia: è l’invito a perdonare di cuore. Perdonare di cuore significa cominciare a sciogliere la grande trave che c’è nel nostro occhio. Perdonare di cuore significa accorgerci che la pagliuzza nell’occhio del prossimo chiede perdono di cuore. Essere figli del Misericordioso significa lasciarci trovare quando siamo smarriti e andare alla ricerca dello smarrito perché senza di lui io sono più povero, è come se mi mancasse un pezzo di me.
Se riscopriremo la nostra identità, il nostro vero volto di gente del perdono, ritroveremo la via della libertà, libertà dalla logica del conteggio, lasciando libero accesso alla vita che è logica della dismisura che si concretizza in ogni gesto di vita e in ogni atteggiamento di cuore. Sarà cosa di cui, poco alla volta, ne riconosceremo l’importanza e l’essenzialità. Ci specchieremo e ogni mattina vedremo i tratti del nostro volto diventare sempre più misericordia. Illuminati dal Misericordioso non potremo non vivere di misericordia. Sarà questione di cuore, questione interiore, prima che gesto di esteriorità.
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