Gesù si arrabbia veramente nel tempio?
Capita a volte di sentire qualcuno che giustifica le proprie arrabbiature richiamandosi all’episodio in cui Gesù scaccia i mercanti fuori dal tempio, ma questa giustificazione non è legittima. Perché?
Nello stesso vangelo di Giovanni, da cui è tratto il brano di questa domenica, Gesù è chiamato “l’Agnello di Dio”, perché mite e mansueto, come scrive Isaia: «Era come agnello condotto al macello» (Is 53,7). Lo stesso Gesù dice: «Imparate da me, che sono mite ‒ cioè gentile, dolce, buono ‒ e umile di cuore» (Mt 11,29).
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E allora come si spiega questa “sfuriata” del Signore?
Gesù non è in preda alla rabbia, all’“ira”, che è un peccato capitale e che consiste in una reazione istintiva e passionale a un torto subìto. Al contrario, compie un atto lucido, ragionevole, meditato, “profetico” motivato dallo “zelo”, cioè dall’amore ardente per la “sua casa”, come si evince dal testo stesso.
Scacciando i mercanti dal tempio Gesù “predica” mediante un “gesto eloquente”, affinché non facciamo della casa del Padre suo «un mercato» e aggiunge: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». L’evangelista annota: «Egli parlava del tempio del suo corpo».
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Quindi la vera casa del Padre suo, il TEMPIO ‒ in cui s’incontra Dio ‒ è il suo Corpo: la santissima Eucaristia! Accogliendo Gesù in noi anche il nostro corpo diventa «tempio di Dio» in cui abita lo Spirito Santo (cfr. 1Cor 3,16)
In questo segno profetico, rivolto anche a noi, Gesù chiede di non fare del tempio del nostro corpo «un mercato» e di allontanare con decisione e vigore (la «frusta di cordicelle») quegli idoli che lo profanano, che ci mantengono nella schiavitù, nonostante il Signore ci abbia liberati: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi di fronte a me» (Prima Lettura).