Siamo abituati a immaginare Gesù come mite, paziente, misericordioso. Cosa diremmo oggi vedendolo ammonire furibondo – quasi come Hulk – con una frusta tutte le esteriorità cultuali? Diremmo che è un disadattato, un malato psichiatrico in preda a una crisi nervosa. Oppure come il padrone di casa che in maniera legittima si difende, correndo all’impazzata dietro ai ladri. O addirittura come nel calcio, quando i tifosi locali inseguono l’arbitro dopo essersi “venduto” la partita che ha sancito la sconfitta della squadra del cuore, urlando a squarciagola: “A’ vendutooo!”. Eppure, il gesto di Gesù è un gesto profetico che mette in crisi le nostre abitudini e comodità, in riferimento al rapporto tra Dio, lui e noi.
In Giovanni, l’episodio della purificazione del tempio riveste un’importanza singolare: apre la predicazione di Gesù. Nel racconto giovanneo di questa III Domenica di Quaresima, Gesù, entrando nel tempio, non solo scaccia i commercianti – come narrato nei vangeli sinottici – ma anche buoi e agnelli: così facendo, si dichiara la vera vittima. Il brano qui tocca il suo vertice: in contrapposizione al tempio antico e all’antico culto abbandonati da Dio per l’infedeltà e le profanazioni compiute, il corpo del Cristo risuscitato diventerà il nuovo tempio per il nuovo culto “in spirito e verità”.
Per accogliere la Parola di Dio come nostra sapienza ci è chiesto, come un tempo ai Giudei e ai Greci, di deporre una logica puramente umana per seguire con fede la via della croce. E ciò non una volta per tutte, né soltanto in eventuali circostanze straordinarie, bensì momento per momento, nella quotidianità della vita personale e familiare, comunitaria e sociale. In essa i tradizionali dieci comandamenti, riassunti nel comandamento nuovo dell’amore consegnato da Gesù ai suoi apostoli come testamento durante l’Ultima cena, si concretizzano in gesti e parole, pensieri e sentimenti. Non pretendiamo altri “segni” da Gesù: non ce ne darà, perché non ce n’è uno più eloquente di quel suo volerci bene fino ad accettare la morte di croce per noi, fino a farsi eucaristia sull’altare, nel povero, nell’ammalato.
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San Cesario di Arles scriveva: “I templi di Cristo sono le sante anime cristiane disperse in tutto il mondo. Esultiamo, poiché abbiamo ottenuto la grazia di essere tempio di Dio; ma insieme viviamo nel santo timore di violare questo tempio di Dio con opere malvagie. […] Perciò, fratelli, poiché Dio ha voluto fare di noi il suo tempio, e in noi si è degnato di venire ad abitare, per quanto dipende da noi cerchiamo col suo aiuto di allontanare ogni cura superflua e di raccogliere invece quanto ci giova. Se con l’aiuto di Dio agiremo in questo modo, allora, fratelli, potremo invitare il Signore nel tempio del nostro cuore e del nostro corpo”.
Il nuovo e vero culto sta nell’offrire la vita al servizio dei fratelli e nella condivisione dei beni; è imparare a vivere il precetto dell’amore senza maschere, amando Dio e i fratelli; è celebrare la liturgia della vita. Gesù stesso ci ha dato l’esempio. L’autenticità della nostra vita interiore è data dalla testimonianza fattiva della carità che spalanca sempre orizzonti infiniti di possibilità. Sarebbe bello poter passare da una fede da palcoscenico, superficiale e inadeguata, ad una fede matura, che sappia unire libertà e carità.
Il brano evangelico termina con un versetto che ci inquieta, ma che allo stesso tempo ci dà certezza: “Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo” (vv. 24-25). Entra ancora, Gesù, nel nostro cuore come nel santuario del Padre tuo e Padre nostro. Posa ancora il tuo sguardo nei suoi angoli più segreti, dove nascondiamo le nostre più gravi preoccupazioni e gli affanni più sofferti, quelli che tante volte ci tolgono serenità e pace; quelli che tante volte ci fanno vacillare nella fede e rivolgere il nostro sguardo lontano da te.
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Fa’ luce e discerni, purifica, libera il nostro cuore da ciò che non vorremmo lasciare, ma che ci opprime ancora! Caccia via tutti quei mercanti, commercianti, cambiavalute e venditori inaspettati, insopportabili e indesiderati che albergano dentro la nostra anima. Riscrivi nel cuore di ognuno e sul volto di tutti le dieci parole che declinano l’unico amore. Perché siamo noi quella pietra viva che Dio ha scelto per la costruzione del suo Tempio Santo.
Nel mio paese di Castelpoto, esistono i ruderi dell’antica chiesa di S. Andrea apostolo. Essa è stata luogo di devozione sin dall’epoca romana perché qui sorgeva un tempio dedicato alla dea Giunone. Lo raccontano l’epigrafe dedicata alla stessa dea e il cippo funerario ancora incastonato nelle sue mura. La trasformazione in luogo di culto cristiano è avvenuta probabilmente nel periodo longobado-normanno quando Castelpoto divenne sede di baronia. La chiesa poi venne sconsacrata nel 1692 a causa del terremoto del 1688 e, infine, nel corso dei secoli venne prima convertita in masseria e poi abbandonata all’incuria e al degrado. Il 31 ottobre 2021 i resti dell’antica chiesa e il suggestivo paesaggio circostante sono stati donati nuovamente alla comunità, dopo un accurato progetto di recupero. Nasce così “Parco Sant’Andrea”, luogo di ristoro dove l’armonia dello spirito può riconciliarsi con quello della fede e della natura. Tutto ciò sta a significare che il nostro cuore, tempio del “paganesimo”, può essere convertito e abitato per mezzo dell’unico vero Tempio: il Signore Gesù.
“La religione è una favola per chi ha paura del buio” (Dr. Stephen Hawking). “L’ateismo è una favola per chi ha paura della LUCE” (Dr. John Lennox).
A cura di don Donato della Pietra.