No, non siamo chiamati a diventare maggiormente devoti, lo sappiamo. Non ci basterà neppure superare le tentazioni, come ha fatto il Figlio di Dio nel deserto.
E per quanto sforzo facciamo, e Dio sa che razza di sforzo sovrumano stiamo compiendo rimanendo cristiani, non ci basterà neppure avere conservato la fede in questo tragico tempo, in questo momento di frantumazione della speranza, di sbandamento delle nostre (piccole) certezze acquisite.
Una cosa sola ci sarà chiesta dal Signore, quando ci presenteremo davanti a lui, alla fine della nostra vita, nel giudizio personale, e alla fine della Storia. In quel momento tenerissimo e drammatico il Signore, semplicemente, ci chiederà: amato figlio, fratello mio: mi hai riconosciuto lungo la tua vita?
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Nell’affamato, nel povero, nel disoccupato, nel carcerato (non è specificato se colpevole o innocente!), nell’ignudo, mi hai riconosciuto? Dio si cela dietro i volti delle persone insignificanti e importune che oggi incontreremo, Dio si cela dietro il volto di mio marito, di mio figlio, proprio là dove la quotidianità ci impedisce di riconoscerlo.
Certo: oggi aiutare un povero è questione più di testa che di cuore, e il Signore ci chiede di riconoscerlo anche nel finto povero che tenta di spillarmi qualche euro facendo leva sul mio senso di colpa o sulla mia pietà cattolica.
Ma una cosa è certa: al di là della soluzione trovata per risolvere i problemi, è l’atteggiamento di chi sa riconoscere ad essere messo al centro. Il nostro mondo, oggi, esalta la cattiveria, la sfrontatezza, premia il malvagio, l’arrogante, il furbo…
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I ricchi vengono presentati come modelli, a prescindere da come si siano arricchiti, e le opere caritative, troppo spesso, sono solo una facciata per ripulirsi la coscienza. Ma, per noi discepoli, per noi in cammino verso il Tabor, questa pagina resta scolpita nei nostri cuori, liberante e giudicante, sapendo bene cosa siamo chiamati a fare, anche oggi.
Riconosciamolo, dai.
FONTE: Amen – La Parola che salva – Il blog di Paolo
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