Dio sceglie la sterilità, la piccolezza, la debolezza, i peccatori, il nulla, per mostrare che cosa significhi il sabato, giorno in cui nulla si fa perché è Dio che fa tutto. Le nostre ferite stese davanti al mondo sono il luogo della misericordia di Dio che ristabilisce la vita dove era la morte, aprendo cuore e carne per il dono dell’amore.
LE NOSTRE FERITE SONO LA PORTA DISCHIUSA SULLA SALVEZZA, STIGMATE LUMINOSE TESTIMONI DELLA VITTORIA DI CRISTO
“E’ lecito in giorno di sabato salvare una vita o toglierla, fare il bene o il male?”, ovvero, “è lecito l’amore che compie la Legge oppure, in nome di essa, si può lasciar morire una persona nei suoi peccati?”.
Per quei farisei ed erodiani, in giorno di sabato, era lecito tenere consiglio per togliere una vita, come accade a noi quando giudichiamo Dio per come e quando opera, così diversamente dai nostri pensieri carnali.
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E in quella sinagoga si trattava proprio di salvare o togliere la vita ad “un uomo”, anthrōpos, immagine di ogni uomo incapace di tutto, come quando si dice “sono senza una mano”: prendere, scrivere, guidare, mangiare, qualunque relazione è compromessa.
Per lui ogni giorno era sabato, ma, invece d’essere di festa e riposo, era un sabato di condanna e di morte che si spalmava su tutta l’esistenza. Scoccando la domanda, Gesù penetra sino al fondo del cuore, e non ci si può più nascondere, si può solo “tacere”.
Ai suoi occhi che, come un “periscopio” (“periblepsamenos” in greco), scrutano e abbracciano ogni pensiero a 360 gradi, non sfugge il cuore indurito di chi gli era accanto. E non può trattenere l”ira” divina con la quale il Padre aveva corretto “gelosamente” il suo Popolo; esplode in Lui lo “zelo” mosso dalla “tristezza” per ogni anima arida ed arsa, senz’acqua e fecondità.
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Per questo, Gesù colma il silenzio calato nella sinagoga con la parola creatrice, offrendo a tutti la possibilità di salvarsi. Attraverso quella mano incapace di stendersi per accogliere e donare, mostra cosa significhi dare al sabato pieno compimento. Il cuore e la mano sono induriti anche di sabato, come ogni altro giorno.
E proprio nel sabato della tomba, nella sepoltura e nella discesa agli inferi, Gesù avrebbe mostrato la liceità di amare perché, compiendo in esso il precetto di non fare niente – non vi è nulla di più inattivo di un morto – ha sanato e salvato la vita dal peccato e dalla morte; per questo dice “Alzati e mettiti in mezzo!”, “destati”, risuscita, (secondo l’originale greco), affinché si veda bene la mano sterile che guarisce per opera di Dio, la ferita sanata dalla misericordia.
Come Gesù, che tutti hanno potuto vedere crocifisso “in mezzo” ai due ladroni, perché doveva essere evidente la risurrezione proprio attraverso la certezza della crocifissione. Lo stesso Uomo che aveva steso la sua mano sulla Croce a prendere la nostra malattia era l’Uomo resuscitato.
Così Dio sceglie la sterilità, la piccolezza, la debolezza, i peccatori, il “nulla”, per mostrare che cosa significhi il sabato, il giorno in cui “nulla” si fa perché è Dio che fa “tutto”.
Le nostre ferite “stese” davanti al mondo rivelano la misericordia di Dio che “ristabilisce” la vita laddove era la morte; il suo amore la fa ritornare ad essere, secondo il significato del termine greco tradotto con “risanata”, com’era al principio, nel progetto del Padre: “aperta” per donare, come la mano guarita nella nuova sinagoga che è la Chiesa, la stessa che abbiamo allungato sull’albero della conoscenza per stabilire da noi stessi cosa fosse bene e male.
Così, le sofferenze che la vita ci presenta, e i peccati con cui cerchiamo di scapparvi, illuminate dalla Parola nella Chiesa, sono poste in mezzo perché possiamo accettare di essere malati e accogliere umilmente la salvezza.
Solo così chi ci è accanto potrà sperare perché vedrà nelle nostre ferite l’opera soprannaturale che le guarisce e trasfigura, l’amore infinito di Dio che vi ha preso dimora.