HomeSolennitàdon Pasquale Giordano - Commento al Vangelo del 6 Gennaio 2024

don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 6 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mt 2, 1-12

Se Lo cerchi, lo trovi … quando lo trovi, scegli di amarLo

Dal libro del profeta Isaìa (Is 60,1-6)

La gloria del Signore brilla sopra di te.

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,

la gloria del Signore brilla sopra di te.

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Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,

nebbia fitta avvolge i popoli;

ma su di te risplende il Signore,

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la sua gloria appare su di te.

Cammineranno le genti alla tua luce,

i re allo splendore del tuo sorgere.

Alza gli occhi intorno e guarda:

tutti costoro si sono radunati, vengono a te.

I tuoi figli vengono da lontano,

le tue figlie sono portate in braccio.

Allora guarderai e sarai raggiante,

palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,

perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,

verrà a te la ricchezza delle genti.

Uno stuolo di cammelli ti invaderà,

dromedari di Màdian e di Efa,

tutti verranno da Saba, portando oro e incenso

e proclamando le glorie del Signore.

La luce splende nelle tenebre

L’autore di questo oracolo profetico riprende il messaggio consolatore dei capitoli 40-55 rivolto alla comunità d’Israele invitata a ritornare nella propria terra, da cui era stata deportata, accogliendo l’invito del Signore. Dio aveva inviato nella terra di esilio i messaggeri per annunciare al popolo l’imminente venuta del Signore che, come un pastore, avrebbe ricondotto a casa le pecore perdute d’Israele. In questo oracolo domina l’immagine della luce. È il simbolo della gloria di Dio che si manifesta nell’atto di partecipare al popolo il suo splendore e la ricchezza del suo amore. Spogliato della sua dignità e privato di tutto con l’esilio, Israele diventa oggetto di benevolenza di Dio che si rivela come aiuto dei deboli, difensore dei poveri. Se il peccato riporta il mondo nella condizione caotica antecedente alla creazione, l’intervento di Dio, che viene a salvare, ricostituisce l’uomo nella sua dignità di partner dell’alleanza con Lui. Come Dio aveva rivestito Adamo ed Eva dopo il loro peccato (Gn 3,21), così Egli offre ai suoi figli il vestito di luce. L’oracolo di Isaia può essere letto in chiave battesimale. Gesù, avvolto nelle bende, si riveste dell’umanità ferita dal peccato. Dio viene nel mondo immerso nelle tenebre come luce, affinché la vista annebbiata dal peccato diventi visione contemplativa del mistero di Dio. Lo sguardo sconsolato e depresso, rivolto in sé stessi, si alza a riconoscere che non si è più abbandonati al proprio destino ma che Dio sta venendo incontro per fare del suo popolo un faro di speranza e di consolazione per tutti i popoli. La tenebra del peccato chiude nell’isolamento ed erige un muro di separazione, al contrario la luce che viene dall’alto, diradando il buio, opera la riconciliazione. Da qui l’invito ad abbassare le difese e ad accogliere la luce che viene da Dio e le ricchezze che gli uomini si scambiano per crescere nella fraternità che è il segno più bello della presenza di Dio in mezzo al mondo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 3,2-3.5-6)

Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.

Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Il sogno di Dio: unica famiglia umana

Paolo si presenta agli Efesini come «il prigioniero di Cristo per voi pagani». Il legame che unisce Paolo a Gesù è forte come le catene che assicurano il prigioniero al ceppo della sua cella. Saldo è anche il rapporto che l’apostolo ha con la Chiesa dalla quale non fugge anche se soffre. Si sente talmente vincolato dall’amore di Cristo e per la Chiesa che, nonostante tutte le difficoltà rimane fedele alla missione che ha ricevuto. Egli è diventato banditore del vangelo della gioia che è più grande delle sofferenze che si trova a patire, insieme a tutti i fratelli nella fede.

Egli sa di partecipare alla passione di Cristo per condividere con Lui anche la gioia della risurrezione che non è una realtà futura ma una grazia presente nell’oggi del comune pellegrinaggio terreno. Paolo, messo a parte della Verità per la quale Gesù Cristo è morto ed è risorto per abbattere tutti i muri separatori e fare di tutti un popolo solo che renda gloria a Dio, riceve anche la missione di essere annunciatore della universale vocazione alla santità.

Tutti sono destinatari del dono di Grazia mediante il quale si diventa consustanziali di Dio, figli suoi, membra del suo corpo che è la Chiesa. Paolo, dunque, interpreta la sua missione non semplicemente come un divulgatore di una dottrina, ma come un uomo che si rivolge ai suoi fratelli, senza distinzione di razza, cultura o religione, per narrare il Vangelo a partire dalla propria esperienza di “graziato”. Amato dal Padre, Illuminato da Cristo, istruito dallo Spirito Santo, Paolo svolge il suo ministero andando incontro a tutti affinché ognuno possa trovare la strada che lo conduce alla pace della comunione con Dio e alla gioia della riconciliazione nella Chiesa.  

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 2,1-12

Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Lectio

L’evangelista Matteo, dopo aver narrato la nascita di Gesù, presentando l’evento dal punto di vista di Giuseppe, passa a raccontare l’incontro con il bambino da parte di un gruppo di personaggi appartenenti alla categoria dei «Magi». Nella narrazione si creano delle relazioni tra i personaggi che s’inseriscono nell’intreccio delle categorie del tempo e dello spazio. La trama del racconto prende avvio da una introduzione in cui l’evangelista contestualizza i due incontri, con Erode a Gerusalemme e quello col bambino a Betlemme. I primi giorni del re dei Giudei si sovrappongono agli ultimi del re Erode quasi a creare un raffronto tra colui a cui appartengono le persone, sulle quali è chiamato ad esercitare il governo, e chi, invece, si reputa possessore della terra, riducendo tutto ad oggetto. Si crea una tensione tra il sorgere e il tramontare, l’inizio di un’era nuova e dinamica e la fine di un’epoca oramai vecchia e statica. I Magi sono uomini in cammino di ricerca, non di segreti nascosti nella natura, ma del «re dei Giudei». Il loro viaggio è di andata e di ritorno ma con itinerari diversi. Il viaggio di andata ha delle tappe. Senza scendere nei particolari, la prima scena si svolge a Gerusalemme che fa da scenario al primo incontro. Si nota un gioco di parole nel testo greco. I Magi provengono da oriente, ovvero dal luogo in cui sorge il sole, e hanno visto «sorgere» la stella del «re dei Giudei» che è il nuovo sole, quello che non tramonta. Erode vive come se i suoi giorni non avranno fine e presume di essere il solo potente come il sole. Nelle parole dei Magi sembra esserci un richiamo implicito alla profezia di Balaam la cui vicenda è riportata nel Libro dei Numeri nei capitoli 22 e seguenti. Si narra di un “mago”, proveniente dalle sponde dell’Eufrate, che riconosce YHWH come suo Dio e benedice Israele, nonostante il re Moabita Balak, acerrimo nemico d’Israele, voglia costringerlo a maledire le tribù di Giacobbe. Il mago Balaam nell’ultima delle visioni in cui contempla l’opera benedicente di Dio su Israele, dice: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele…» (Nm 24, 17). Ciò che il mago Balaam vede in un futuro lontano, i magi vedono nel presente. Anch’essi hanno una visione di un segno che interpretano come la nascita del re dei Giudei come aveva profetizzato il loro predecessore Balaam. La profezia pronunciata da uno straniero rivela che Dio orienta il cammino di tutti, anche di coloro che sono distanti e diversi da Israele, verso l’incontro con Lui. La rettitudine della coscienza e la lucidità di giudizio sono doni e capacità dati potenzialmente a tutti e non un privilegio riservato a pochi eletti. Qualche esegeta ha intravisto nella figura dei magi i Giudei deportati che erano rimasti in terra di esilio e che avevano perso tutto, ma avevano conservato nel cuore la speranza. Grazie ad essa trovano forza nel segno che li attrae e li chiama verso l’incontro. Tra i destinatari del vangelo di Matteo ci sono anche quei cristiani, di origine ebraica, che a causa delle persecuzioni a Gerusalemme, o del pericolo dovuto alle ribellioni contro il governo romano, erano fuggiti lasciando la loro casa e trapiantandosi in terre straniere. Anch’essi avevano perso tutto, ma identificandosi con i Magi, possono riconoscere che anche in loro alberga la speranza, luce che permette di vedere e intraprendere la strada della salvezza che Dio traccia anche nel deserto. È interessante notare la concatenazione delle domande e l’accumulo dei titoli attraverso i quali viene delineata la speranza d’Israele e del mondo intero. I Magi, rivolgendosi a Erode, cercano il luogo nel quale è nato il «re dei Giudei». A sua volta il re interroga i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo sul luogo della nascita del Messia. Essi, citando la Scrittura, confermano il dato già anticipato da Matteo. Le profezie concordano nell’indicare a Betlemme, la città di Davide, il luogo d’origine di colui che è chiamato da Dio a governare il popolo come il “Pastore”. L’evangelista pone le basi per quel cammino di fede, a cui sono chiamati tutti gli uomini che conservano nel cuore la speranza, nel quale rispondere alla vocazione di seguirlo fino all’ora della croce a Gerusalemme, per poi lasciarsi radunare in Galilea dal Crocifisso risorto, dopo essere stati dispersi a causa della prova, e finalmente andare sulle strade del mondo stracciate dal Signore ad evangelizzare. I magi, dunque, sono immagine dell’uomo in ricerca di Dio che ha posto in essi il seme della speranza. Essa conferisce all’umiltà un grande valore. La speranza coniuga la consapevolezza della propria insufficienza e povertà con il bisogno di salvezza. Essi si sentono mancati, bisognosi, d’incontrare quel re, pastore buono, che non esige nulla ma al quale offrire il tesoro della propria vita. La speranza è qualcosa di più del bisogno o del desiderio, ma è la forza attrattiva dell’amore che determina il cammino di ricerca di colui al quale donare la propria vita. L’itinerario di fede diventa cammino di amore che matura come servizio donato e non semplicemente prestato. La stella è la voce di Dio nella propria coscienza che nel silenzio si propone all’attenzione di chi educa il proprio cuore all’ascolto.

I magi diventano inconsapevoli messaggeri del vangelo. Il lettore, mettendosi nei panni del giusto Giuseppe, sa che il bambino, generato in Maria dallo Spirito Santo e nato a Betlemme, è il segno della venuta di Dio in mezzo al suo popolo, come aveva promesso. Lo sa anche Erode che Dio aveva promesso di inviare il Messia che lui percepisce come avversario. La reazione di Erode è simile a quella degli indemoniati che temono il potere di Dio. La salvezza è percepita come dannazione perché in essi non regna la speranza ma la disperazione in quanto il loro cuore più che tendere verso qualcuno da amare è avido di possesso.

Gerusalemme appare come una città spenta, come una lampada priva di olio. La stella non brilla su Gerusalemme perché la Parola di Dio è lettera morta. Non basta conoscere la Scrittura. Se essa non accende la speranza la profezia non ha più il sapore del vangelo ma di un annuncio di sciagura da cui difendersi in qualche modo. Dopo l’incontro con la città avviene quello con Erode che si sforza di appropriarsi nel potere dell’informazione. I dati dell’informazione sono utilizzati per il raggiungimento delle intenzioni segrete e inconfessabili. Dopo aver consultato i falsi sapienti, quelli cioè che mettono a servizio del potente la loro conoscenza, Erode si finge interessato alla ricerca dei magi e li invia come esploratori a Betlemme. Alla sincerità dei magi, che si mettono sulle tracce della stella per raggiungere il bambino e adorarlo, si contrappone l’ipocrisia e la falsità di Erode che si serve di loro non per servire il re messia ma per avere il controllo anche su di lui. L’invio missionario dei magi non è come quello di Dio.

Quello dei magi è un viaggio missionario che nasce dal proprio cuore dove sorge la stella della parola di Dio nel firmamento della propria coscienza. Per quanto siano esatte le informazioni ricevute, non bastano per trovare la strada giusta. La chiesa deve verificare sé stessa e riconoscere che a volte assomiglia alla città di Gerusalemme e il suo atteggiamento ricalca quello di Erode che, non avendo in sé speranza, offre indicazioni ma senza coinvolgersi. Gesù, il re dei Giudei, non impartisce ordini e disposizioni, ma si accompagna nel cammino dei missionari. Tuttavia, la vicenda mostra che anche da una Chiesa spenta e ripetitiva, in cui si insinuano segretamente logiche di potere, può venire un aiuto che indirizza il proprio cammino di fede. I magi colgono nelle parole di Erode quello che è utile alla loro ricerca e al raggiungimento del loro obiettivo. Anche se notano qualcosa di strano, non si lasciano distrarre con il facile giudizio, dalla meta del loro pellegrinaggio e dal fine dei loro sacrifici. L’esperienza, anche quella più contraddittoria, ha qualcosa da insegnare e la speranza ritorna a guidare i passi dei pellegrini, rianima la ricerca e la indirizza verso l’incontro con il bambino e sua madre Maria. I magi ritrovano la compagnia della stella che non li aveva mai abbandonati. La luce che avevano visto nel suo nascere ora la contemplano nell’atto di precederli e fermarsi per attenderli. Ciò che avviene a Gerusalemme è profezia della passione in cui la parola di Dio viene usata e trattata come un oggetto. La luce della sapienza divina sembra soccombere sotto i colpi di chi vorrebbe eliminarla del tutto. Con la risurrezione la luce si manifesta di nuovo. È il Cristo risorto, il pastore che, come aveva preannunciato durante l’ultima cena, dopo essere stato percosso e le pecore sono state disperse, le raduna di nuovo in Galilea. A Betlemme che il re dei Giudei che li attende, come il Cristo Signore precede e attende i suoi apostoli sul monte della Galilea. I Magi, come gli apostoli, rispondono all’invito loro rivolto mediante la parola del Vangelo che diventa luce che illumina di senso le parole della profezia che si compie. Colui che deve nascere a Betlemme è lo stesso pastore che deve essere percosso ma in fine radunare il suo gregge per percorrere le strade del mondo è annunciare il vangelo.

Il vertice del racconto si tocca quando i magi, seguendo la stella, giungono a destinazione. Essi entrano nella casa dove finalmente trovano il bambino che cercavano per adorarlo. Ciò che ha mosso e accompagnato il cammino dei magi è stato il desiderio d’incontrare nel bambino il re dei Giudei. Per essi non è semplicemente l’erede al trono di una nazione, tra l’altro tra le più piccole e senza una rilevanza particolare, ma riconoscono in lui il compimento della promessa di Dio di essere Lui stesso il Pastore d’Israele, Colui che avrebbe fatto del suo popolo lo strumento attraverso il quale tutti i popoli lo avrebbero riconosciuto come loro Signore. La stella nel suo sorgere offre un’indicazione di tempo: è iniziato il tempo del compimento. La stella col suo precedere e fermarsi indica la direzione del cammino e lo spazio nel quale la ricerca trova il suo compimento. Il bambino è compimento della promessa di Dio e del desiderio dell’uomo. Nel bambino s’incontrano il mistero di Dio e quello dell’uomo.

Erode, venuto a sapere della nascita del Messia, cerca di conoscere il luogo segreto in cui è custodito. Per lui il bambino è un bottino da conquistare mentre per i magi è colui davanti al quale aprire il tesoro del cuore per mostrarlo e donarglielo. L’ingresso nella casa indica l’iniziazione nel mistero di Dio che fondamentalmente è relazione di amore come quella che unisce un bambino a sua madre. I magi, pellegrini della verità, giungono al tempio in cui abita il Dio della tenerezza e dell’amore. Non sono registrati dialoghi verbali tra i magi e la madre di Gesù ma nello sguardo silenzioso e contemplativo dei saggi orientali è contenuto tutto il tesoro di grazia che essi ricevono e offrono. Essi accolgono la rivelazione di Dio nella piccolezza del bambino e la tenerezza della madre. È talmente profondo questo mistero che essi non possono restare in piedi ma devono piegarsi, farsi a loro volta piccoli, per lasciarsi rivestire dello splendore di quel dono incommensurabile che è l’amore di Dio.

I magi offrono al bambino ciò che riconoscono di aver ricevuto da Dio. La loro missione non si esaurisce nel vedere ma culmina con l’offerta. Il tesoro è dono ricevuto e offerto. Come essi gratuitamente hanno ricevuto, così gratuitamente danno. L’adorazione è un atto di gratitudine e gratuità, di riconoscimento umile dell’autorità ed esercizio libero e consapevole del potere del servizio.

Meditatio

Erode aveva fatto di Gerusalemme una città meravigliosa il cui centro era il grandioso tempio. In realtà con la nascita di Gesù a Betlemme era spuntata una stella ad indicare l’avvento del Messia il vero re dei Giudei. Questo è il grande evento che fa nascere uno stupore più grande della meraviglia suscitata davanti alla bellezza artistica di Gerusalemme. Si compivano così le Scritture che, attraverso i profeti, avevano annunciato l’intervento divino volto a strappare da Gerusalemme l’abito del lutto per rivestirla di luce e ricolmarla di gioia. Dopo saccheggi, devastazioni e umiliazioni, Gerusalemme era stata riedificata e rinobilitata da Erode. Ma si era trattato solo di un restauro senza un vero rinnovamento. La sua bellezza era solamente esteriore nascondendo dietro di essa il male che anche nel passato l’aveva portata alla desolazione. Isaia parla della luce che viene, annuncia l’avvento della gloria del Signore che brilla. Da qui l’invito ad accoglierlo per lasciarsi illuminare dal di dentro e diventare segno luminoso per tutti. Dio accende la luce della speranza non dove vogliamo noi. Non realizza i nostri sogni ma la sua volontà. Gesù non nasce nel palazzo reale di Gerusalemme, ma in una stalla della periferica Betlemme. Mentre Erode è impegnato nel realizzare i suoi progetti di gloria Dio compie la sua promessa di salvezza. La visita inaspettata degli stranieri, che si erano fatti pellegrini per adorare il neonato re dei Giudei, getta nella confusione Erode e con lui tutta la città. La promessa di Dio di inviare a Israele un vero re e pastore era suonata come una utopia chiusa negli scaffali polverosi di biblioteche piene di libri scritti con una lingua che si pensava fosse ormai morta. Erode aveva preteso di incarnare quella promessa e di vestire i panni del re. Le autorità religiose si erano lasciate sedurre dalla bellezza della mondanità e soggiogare dal fascino del potere. La Parola di Dio era diventata per loro un’opera letteraria da conoscere, non una speranza da coltivare. I Magi annunciano invece che la parola di Dio, sebbene sembrasse cenere, invece era fuoco vivo che aveva ripreso ad ardere. Essi fanno risuonare una parola dimenticata, una promessa sepolta sotto la coltre dell’indifferenza. La paura di Erode ci mette in guardia dal materialismo che diventa criterio di base per costruire la vita sull’ambizione e l’avidità. I consiglieri religiosi di Erode denunciano con la loro inutile conoscenza delle Scritture la fede priva di slanci e di passione inibita dall’indolenza e dal fatto di accontentarsi di ricevere qualche briciola di consolazione con piccoli privilegi. I Magi, che non conoscono le Scritture, ci insegnano a decifrare i segni dell’opera di Dio e a rispondere al suo silenzioso invito ad andargli incontro. Gli occhi di questi sapienti sono vivi perché aperti e disponibili a cogliere la novità attesa e desiderata. Essi si alzano e si mettono in cammino perché riconoscono di essere stati raggiunti da un annuncio stupendo. Lo stupore è proprio degli umili che si lasciano provocare e si danno da fare. La domanda che muove i magi è propriamente quella che anima l’amato a cercare il volto dell’amata. La stella che brilla nel cielo della loro coscienza li rende edotti della verità più bella: Dio cerca l’uomo per offrirgli il suo amore. Tutta la creazione parla di questo amore gratuito di Dio e Gesù Cristo è la parola che ne certifica la realtà. I magi non sono guidati da ideali o da interessi, ma attratti da un amore più grande, da una luce che è al di sopra dei lumi della ragione. Essi non inseguono miraggi ma si fanno discepoli della verità, il sogno di Dio. La verità che Dio ci ama così tanto da dare suo Figlio è la luce che brilla al di sopra di ogni umana speranza. Solo questa luce dà il coraggio di metterci in discussione per farci pellegrini della verità e non rimanere chiusi nei nostri schemi mentali, nelle nostre abitudini accomodanti, nel nostro mondo nel quale pretendiamo che gli altri si adattino, pronti a indicare ciò che si dovrebbe fare ma senza coinvolgersi in prima persona. I Magi non si fermano davanti al cattivo esempio e non trovano scuse nel comportamento scorretto degli altri per tornare indietro o rinunciare alla loro ricerca. Si rimettono in cammino facendo tesoro di quello che ascoltano e dell’esperienza che fanno. Essi non giudicano, ma ascoltano e proseguono. La luce della fede, anche quando ci appare spenta, appare davanti ai nostri occhi anche in quelle occasioni che non brillano per coerenza e trasparenza ma che chiaramente sono viziate dal male che inquina. La fede che fa ardere il loro cuore li conduce fino ad un paese straniero per adorare il re che non è espressione del potere umano ma è riconosciuto come dono dal Cielo. I Magi fanno dell’adorazione il fine del loro cammino. Essi, prostrandosi davanti al bambino, s’inchinano al cospetto del Mistero. Il loro cuore, privo del desiderio di possesso, diventa come quello del bambino che adorano. I loro doni diventano profezia dell’offerta che Gesù farà di sé per tutti gli uomini.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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