Il testo di Giovanni si sviluppa dentro un gioco di sguardi e di parole non comprese: prima Giovanni Battista fissa lo sguardo su Gesù, dopo è Gesù stesso che fissa lo sguardo su Simone. E dentro quegli sguardi ci sono parole oscure: Giovanni Battista dice che Gesù è l’agnello, una metafora audace, che forse avrà generato nei discepoli ricordi antichi, ma certamente non sono ancora pronti a comprendere perché Gesù sia l’agnello di Dio.
Così come è altrettanto difficile per Simone accettare di essere chiamato pietra; probabilmente Simone si è accorto forse che quella parola toccava un aspetto profondo della sua vita. Comunque sia, l’agnello e la pietra sono parole che evocano qualcosa che non è ancora chiaro.
Mettersi a cercare vuol dire lasciarsi spingere da parole che non sono ancora del tutto comprese. Chi pretende di partire solo quando la strada è completamente sgombra e lineare probabilmente non si muoverà mai. Per strapparci al nostro immobilismo, Gesù ci invita a riconoscere il nostro vuoto, quello che non abbiamo.
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Quest’assenza prende anche il nome di desiderio. Ci mettiamo a cercare perché desideriamo qualcosa che non possediamo ancora: e siccome Dio non possiamo mai possederlo, non possiamo fare altro che cercarlo ancora, continuamente. Nel Vangelo, Gesù rivolge spesso questa domanda: cosa cerchi? Cosa vuoi che io ti faccia? Vuoi guarire? Il desiderio di Gesù è dare una risposta al vuoto che ci abita.
Per riflettere
Signore, tu sei la vita che voglio vivere, la luce che voglio riflettere, il cammino che conduce al Padre, l’amore che voglio amare, la gioia che voglio condividere, la gioia che voglio seminare attorno a me. Gesù, tu sei tutto per me, senza Te non posso nulla. Tu sei il Pane di vita che la Chiesa mi dà. È per te, in te, con te che posso vivere.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi