L’abbraccio di Anna e Simeone a Gesù
Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Il figlio è dato ai genitori, ma subito da loro è offerto ad un altro sogno, ad un’altra strada che si apre per lui. I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, ad una loro vocazione, «essi abitano case future che nemmeno in sogno potrete visitare» (K. Gibran).
Salgono al tempio, ma ancora sulla soglia, altre braccia subito se lo contendono, quel bambino. E non sono braccia di sacerdoti o di leviti, ma quelle di due anziani, che non hanno ruolo nell’istituzione ma sono due innamorati di Dio. Occhi velati dalla vecchiaia, ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che abbraccia l’eterna giovinezza di Dio. L’alternativa vera per i credenti non è tra progressisti o conservatori, ma tra innamorati e abituati (papa Francesco), tra accesi e accomodati.
Gesù non appartiene al tempio, appartiene all’uomo, a chiunque ne sia assetato, è di quelli che sanno vedere oltre come Anna; è di quelli che non smettono di sognare, come Simeone, che sentono Dio come il loro futuro. Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio. Compie un gesto sacerdotale, una autentica liturgia, possibile a tutti, un arte straordinaria.
- Pubblicità -
Un anziano, diventato onda di speranza, una laica sotto l’ala dello Spirito benedicono: la benedizione non è un ufficio d’élites, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio (R. Virgili), che sta nelle case fuori dal tempio. È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. Anche Maria e Giuseppe sono benedetti, si comportano secondo le regole ma al tempo stesso accolgono l’imprevisto, rassicurati dal rito e stupiti dai due profeti. Poi Simeone dice tre parole immense su Gesù: egli è qui come caduta, risurrezione, come segno di contraddizione. Tre parole che danno respiro e movimento alla vita, con dentro il luminoso potere di far vedere che tutte le cose sono ormai abitate da un oltre.
[…] Continua a leggere su Avvenire.
Altro commento di fra Ermes
- Pubblicità -
LE TRE PAROLE
Egli è qui, adesso, tra noi, rovina, risurrezione, contraddizione. E come potrebbe non esserlo? Piccolo gioiello di Dio, stella di carne scesa a scaldare quella stessa Betlemme che oggi si ritrova vuota e buia, senza un Gesù piccolo che la spinga come i pastori ad alzare gli occhi a scrutare angeli.
Rovina, risurrezione, contraddizione. Tre parole profetiche scolpite nell’anima, che però fanno respirare la vita, perché il dolore non vuole spiegazioni, ma condivisione.
Portarono il bambino a Gerusalemme, per offrirlo al Signore. Il figlio è loro, eppure non lo è.
Il figlio è dato ma subito è offerto ad un altro sogno, ad un’altra strada; perché i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al cosmo, alla storia; alla loro vocazione che noi non conosciamo. Devono realizzare non i nostri sogni, ma quelli di Dio. Questa è la santità della famiglia.
Nel tempio la coppia incontra due anziani carichi d’anni, ma vivi come bambini; non chiusi custodi di ricordi, essi si rivelano profeti di futuro: Simeone guarda oltre, Anna parla agli altri. Vecchiaia aperta e sapiente, che vede ciò che altri non vedono ancora.
L’inverno del mondo abbraccia l’eterna giovinezza di Dio. E la liturgia che si compie, in quel cortile aperto a tutti, è semplice, naturale e perciò divina. Prendendo in braccio Gesù, e benedicendo Dio, Simeone compie un autentico gesto sacerdotale, possibile a tutti. E dice tre parole immense a Maria, per spiegarle chi è suo Figlio: egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione.
Egli è qui, adesso, in mezzo a noi, rovina, risurrezione, contraddizione. E come potrebbe non esserlo? Piccolo gioiello di Dio, stella di carne scesa a scaldare quella stessa Betlemme che oggi si ritrova vuota e buia, fredda e senza stelle, senza più un Gesù piccolo che la faccia sognare, che la spinga come i pastori ad alzare gli occhi a scrutare gli angeli.
E’ questa la contraddizione suprema dell’uomo che, nei fatti, si crede Dio onnipotente.
Sii per me rovina e risurrezione, Signore. Non lasciarmi nell’indifferenza e nella falsa pace. Contraddici i miei pensieri con i tuoi, e annega le sicurezze del Narciso che è in me. Contraddici l’immagine distorta che ho di te, e questa guerra del mondo e del cuore. Sii mia risurrezione, quando ho il vuoto dentro e il buio davanti agli occhi. Sii risurrezione, vita che si dirama dopo il fallimento facile, dopo una fedeltà mancata, dopo un’umiliazione bruciante. E poi risorgi con le cose che credevo finite.
Rovina, risurrezione, contraddizione. Tre parole profetiche scolpite nell’anima, che però fanno respirare la vita. Contraddizione nel cuore della logica umana, rovina di idoli e illusioni, risurrezione dei germi vitali ai quali non riusciamo a dare terreno.
Anche a te una spada, Maria: Simeone lega Maria non solo alla croce del figlio, ma a tutta la messe di lacrime e di contraddizioni del Vangelo e dell’esistenza.
Anche a te, Maria. Non sei esente. La fede non produce l’anestesia del vivere. La fede e la santità non sono, per lei come per noi, un’assicurazione contro la sofferenza o i lutti. Anche a te, una spada. Il dolore ti legherà a tanti, a tutti i tuoi figli trafitti dalla spada del fratello, perché il dolore non vuole spiegazioni, ma condivisione.