Prima domenica di Avvento Ambrosiano – 18 novembre 2012 – Card. Scola

686

http://youtu.be/ZiCScD_4t-U

A cura di Annamaria Braccini per Telenova Milano che ringrazio per la gentile concessione.

Arcidiocesi di Milano

I domenica d’Avvento

La venuta del Signore

Is 13,4-11; Sal 67 (68); Ef 5,1-11; Lc 21,5-28 

Duomo di Milano, 18 novembre 2012

 Omelia di S.E.R.Card.Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

 «Dio che viene»

Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo

1. Il dono del Salvatore

«Innalzate nei cieli lo sguardo:/ la salvezza di Dio è vicina./ Risvegliate nel cuore l’attesa/ per accogliere il Re della gloria./ Vieni Gesù, Vieni Gesù…». In queste parole del canto iniziale il nostro cuore e la nostra mente trovano il giusto atteggiamento per prendere parte alla presente azione eucaristica, sorretti dalla convinzione che quella eucaristica è la più nobile ed elevata azione cui l’uomo possa prendere parte.

Convenuti dalle nostre case qui nella Chiesa cattedrale, o collegati attraverso i mezzi di comunicazione, siamo consapevoli che il tempo prezioso dell’Avvento, cui la liturgia ambrosiana oggi dà inizio, è tempo propizio per la verità della nostra persona. In che senso?

«(Di)sposando l’umana natura nell’inviolato grembo di una vergine sei venuto a salvarci» (Conditor alme siderum, Inno dei Vespri di Avvento). Il cambiamento, necessario alla verità, bontà e bellezza della nostra esistenza, scaturisce dal dono della tenerezza infinita del Padre, il dono del Salvatore. Se il “Dio che viene” è la grande notizia, allora non si può non alzare lo sguardo verso di Lui. “Qualcuno”, non qualcosa, anzi Uno è il cuore dell’attesa, carica di indomita ma pacata tensione verso il compimento.

Vogliamo vivere insieme queste sei domeniche di Avvento, vigilando ogni istante immersi nel sacrificio redentore che celebreremo in tutte le nostre chiese e in questa chiesa cattedrale. Il Vescovoed il popolo, riuniti, supplicano con fervore: «Vieni Gesù».

2. Dove andremo a finire?

Il Vangelo che abbiamo ascoltato annuncia la glorificazione del Figlio dell’uomo: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire… con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). Il Vangelo propone così immagini che si collegano ad un tema dalle antichissime radici bibliche. Il tema del giorno del Signore. Inizia dalla considerazione della distruzione del Tempio (cf. Vangelo, Lc 21,6), per allargarsi a quella della città di Gerusalemme e alle popolazioni della terra (cf. Vangelo, Lc 21,20-24), finendo per coinvolgere il cosmo intero (cf. Vangelo, Lc 21, 25-28) «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze» (Vangelo, Lc 21,10-11).

Il quadro del discorso sulla fine dei tempi (escatologia) propostoci oggi dal Santo Vangelo, in un brano assai difficile, è rovinoso, apocalittico. Sul suo sfondo sta la visione di Isaia che annuncia la fine di Babilonia. Dal profeta «il giorno del Signore» è descritto come «una devastazione» (Lettura, Is 13,6), a cui partecipa la stessa creazione: «Le stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce» (Lettura, Is 13,10).

In questi passaggi dell’odierna Liturgia della Parola non facciamo fatica a riconoscere alcuni “segni sconvolgenti” presenti anche nei nostri tempi. Non mancano le guerre, le tragedie cosmiche, ingiustizia e miseria continuano a segnare pesantemente il cammino della famiglia umana. Soprattutto ci rendiamo chiaramente conto che questa situazione di prova persistente incomincia dalla, o meglio, dentro la nostra persona. «Ognuno osserva sgomento il suo vicino» (Is 13,8) scrive Isaia e sembra che parli di noi, delle nostre paure, delle nostre inquietudini, delle nostre gravi insicurezze ingigantite dal travaglio inedito del nuovo millennio.

Dove andremo a finire?” è l’ovvio ritornello che sempre più frequentemente ci ripetiamo. E non è tanto un lamento, quanto l’espressione dello sconcerto di fronte alle gravi difficoltà e ai non pochi motivi di sofferenza. Affiora inoltre, di tanto in tanto, il fatto, troppo spesso rimosso, che la fine del nostro tempo personale implicherà il giudizio misericordioso, ma giusto, di Dio su ognuno di noi.

Eppure il Santo Vangelo oggi conclude con un rincuorante invito alla speranza: «Risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Per questo siamo qui, per rivolgerci al Padre, con le parole del Salmo responsoriale: «Sorgi, o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo» (Salmo 67).

La fine dei tempi non si identifica così con la terribile descrizione del giorno del Signore fatta da Isaia, né con il travaglio doloroso descritto dalle immagini apocalittiche dal Vangelo. Non è questa l’attesa compiuta del cristiano. Non sarà questa la fine del mondo.

3. La fine del mondo

Il termine – la fine e il fine – del tempo e della storia è la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo, cioè di Gesù Cristo. Con lo sguardo fisso sul Crocifisso Risorto, il Veniente, Colui che è il fondamento si possono attraversare tutti i segni dei tempi, anche i più catastrofici.

Non aspettiamo terrorizzati la fine del cosmo e della storia. Questa avverrà secondo tempi e modi su cui i saperi giustamente continuano ad indagare, ci auguriamo senza ignorare la libertà di Dio, quella dell’uomo e il gioco perverso del Maligno. Noi aspettiamo pazientemente la manifestazione gloriosa di Colui che è già venuto: Cristo, ieri, oggi e sempre.

Così infatti ci farà pregare il Prefazio: «Con la sua prima venuta nell’umiltà della carne portò a compimento l’antica speranza…; quando verrà nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare vigilando nell’attesa».

La fede in Gesù Cristo capo dell’umana famiglia, centro del cosmo e della storia è il contenuto dell’umanissima attesa cristiana.

4. Nella storia sperando contro ogni speranza

La posizione del cristiano di fronte alla realtà e alla storia, anche a quella più negativa e contraddittoria, alla sua inevitabile fine, è quindi diversa rispetto a quella di quanti non sperano nel ritorno glorioso del Figlio dell’uomo. Se si è senza speranza si subisce l’inganno dei falsi profeti, chi spera autenticamente non lo subisce («badate di non lasciarvi ingannare» Lc 21,8); se si è senza speranza ci si spaventa, chi spera nel ritorno del Figlio dell’uomo è fiducioso («non vi terrorizzate» Lc 21,9); se si è senza speranza si può, talora, diventare persecutori: in quel caso chi spera coglie l’occasione per dare testimonianza in forza dello Spirito e per rinnovare la sua certezza nel Signore Gesù («nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» Lc 21,18); se si è senza speranza si è deboli («tutte le mani sono fiacche, ogni cuore viene meno. Sono costernati», Lettura, Is 13,7-8), chi spera invece sa che «la liberazione è vicina» (Lc 21,28). La nostra fede eucaristica, nella passione, morte e risurrezione di Gesù ne è, fin da ora, la convincente conferma.

5. Con la vostra perseveranza salverete la nostra vita

«Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Vangelo, Lc 21,19): abbiamo ascoltato nel Vangelo. Salvare la vita non è salvare la pelle, ma compiere la propria umanità. E a questo nessuno di noi può rinunciare: tutti lo desideriamo e tutti possiamo imparare ad invocarlo.

Ecco perché ho potuto scrivere a tutti i fedeli nella Lettera Pastorale che «la fede in Cristo fa storia: il trascorrere del tempo, l’evoluzione dei rapporti entro la famiglia, entro la comunità di appartenenza, il mutare delle situazioni, l’assunzione delle diverse responsabilità, il variare delle condizioni di lavoro, di salute … tutta la vita pone domande alla fede e tutta la vita riceve risposte, nuova luce dall’unica rivelazione di Gesù. La perseveranza nella fede scrive una storia salvata» (Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, p.5). La mia, la tua storia personale, cioè la mia, la tua piena biografia è nello stesso tempo la storia comunitaria della Chiesa, che contribuisce alla storia dell’umanità.

6. Camminate nella carità

«Fratelli, fatevi imitatori di Dio… e camminate nella carità, [cioè] nel modo con cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi» (Epistola, Ef 5,1-2). L’amore per Sua grazia ci è reso possibile.

La parola decisiva nella vita dell’uomo – di ciascuno di noi e dell’umana famiglia – è la carità, l’amore oggettivo ed effettivo. Perché? Perché Cristo è venuto e ha dato Se stesso per noi. Gesù è il nome proprio dell’amore.

Per questa ragione il Santo Padre ci ricorda nel n. 6 del Motu proprio Porta fidei che «l’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (…) Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo».

Si diventa imitatori del Signore, immedesimandoci con Chi ci ha dato la vita e ci segna la strada: è una legge fondamentale, imprescindibile per la maturazione di ogni uomo.

 7. Le virtù dell’Avvento

Fede, speranza e carità: le virtù teologali del cristiano vengono esercitate lungo l’Avvento nella forma dell’attesa e della vigilanza. Non perdiamo il prezioso richiamo che la Chiesa ci fa in questo tempo di grazia. Consentitemi tre raccomandazioni in proposito. Anzitutto invito ad un momento di preghiera breve e semplice in famiglia al mattino, alla sera, ai pasti. In secondo luogo propongo un regolare gesto per educarci ad amare. Chissà perché siamo restii a comprendere che bisogna imparare ad amare. Dedichiamo una piccola parte del nostro tempo ogni settimana a chi è nel bisogno! Infine sarebbe bene, in questo tempo in cui l’attesa diventa una ginnastica del desiderio, partecipare ad una santa Messa feriale almeno una volta la settimana.

«Con l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace»(Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni, 4,6). La Vergine santa, madre dell’attesa, ci renda più capaci di accorgerci che Dio ci ama. Amen.