Nell’ultima domenica dell’anno liturgico mediteremo uno dei testi più noti del Vangelo. La sua collocazione mette in risalto il contenuto del brano. Matteo dipinge un quadro con l’intento di mostrare qui e ora (ai discepoli come a tutti noi), lo scenario dove Cristo, unico Re dell’Universo, ci giudicherà terminato il nostro cammino terreno.
La separazione tra destra e sinistra è molto diffusa nella Parola ed è funzionale per distinguere chi merita un premio negato invece agli altri. Dunque un giudice: è lo stesso che predicava la fede in un Dio misericordioso, il Nazareno che salva anche coloro che non chiedono perdono (l’adultera in Gv 8), il Figlio che sulla croce perdona il “buon” ladrone e gli garantisce l’accesso nel Regno.
È un giudice che pone davanti una realtà che ben conosciamo. Noi stessi siamo giudici: siamo in grado di valutarci e consapevoli dei nostri errori. Che possono essere sanati, ma forse non lo desideriamo. Il Signore glorioso ci consegna il metro del giudizio che altro non è che lui stesso: alla sinistra andranno coloro che non hanno riconosciuto l’Emmanuele nella sorella e nel fratello. Ma andranno anche coloro che non hanno aiutato sorella e fratello al di là della fede nel Nazareno.
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Il Signore indicherà la destra per coloro che hanno intrapreso un cammino di sequela nei suoi confronti e anche quanti hanno agito con amore nei confronti con il prossimo. È il messaggio vissuto dal Messia quando si è fatto ultimo come gli ultimi di quella società ed insegnato un amore mai condizionato dalla fede diversa, dal genere, dall’età, dalla salute e da quelle condizioni in cui la fragilità umana è costretta a sperimentare.
La sinistra spetta a quanti pensano secondo logiche umane o anche religiose senza porre al centro Dio e gli altri. Alla destra andranno quanti, pur nelle difficoltà, hanno cercato l’incontro e la relazione con l’uomo, l’altro chiunque sia, ovunque si trovasse (i famosi crocicchi delle strade) per dare corpo e vita all’insegnamento del Maestro.
Per riflettere
Un Giudice severo? Dio ama le sue creature al punto da consegnare alla croce il suo Figlio che mai ha imposto la fede e sempre cercato di far comprendere la volontà salvifica del Padre. Credere è vivere il suo insegnamento. “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (Gv 3, 18).
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi