Il Vangelo e le letture della XXXIV domenica del Tempo Ordinario, solennità di Gesù Cristo Re dell’universo e ultima domenica dell’anno liturgico, ci spostano in un’atmosfera decisamente altra rispetto alla nostra quotidianità e forse anche rispetto al nostro pensare Dio. … O forse no.
La prospettiva è quella dell’ultimo giorno, della fine del mondo, del giudizio universale. O forse più correttamente, e certamente più biblicamente, è la prospettiva del compiersi della storia, del giorno in cui Dio si rivelerà in pienezza, del tempo in cui ogni cosa avrà il suo senso e ci sarà manifesto.
Quel giorno sarà il giorno in cui straordinariamente tutti i popoli si raduneranno e ritroveranno se stessi, scoprendosi fratelli e sorelle in umanità. Già… sorelle e fratelli in umanità… Così quel giorno ci riconsegnerà alla più vera e originaria condizione: l’essere ugualmente creature, create da colui che ha posto in essere l’universo dal nulla e lo ha retto, sostenendo e dando forza alle coscienze, animando la materia, muovendo le energie che attraversano lo spazio e generano il tempo.
Non so cosa provochi in voi pensare a quell’ultimo giorno, c’è da perdersi in quell’immensa prospettiva, decisamente universale, che le letture di questa domenica aprono per noi. Pensiamoci seriamente, diamogli peso, e permettiamo che impattino sulle nostre scelte quotidiane, sui nostri pregiudizi sulla storia, sui nostri stati d’animo nei confronti degli altri, su quelle decisioni che ci collocano al di qua o al di là di certe posizioni anche ideologiche.
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Davanti a noi oggi splende una meravigliosa verità: nell’ultimo giorno, Dio ci radunerà tutti attorno a sé, al di là delle culture, delle lingue, delle fedi, del genere e di ogni possibile differenza. Dio ci radunerà con un cuore di pastore, un pastore che conosce e che chiama, un pastore che raduna anche i dispersi, un pastore che riconduce a sé a fa riposare, e fascerà, e curerà, e pascerà, cioè nutrirà, tutte e tutti.
E sì, userà giustizia, ma la sua giustizia, quella del pastore, abituato a lasciarsi circondare pur di tenere a sé e difendere.
È così che ci ritroveremo quel giorno!
E allora non riesco a non chiedermi ancora una volta: che fine faranno popoli e confini nell’ultimo giorno? Che fine faranno religioni, fedi e tutte quelle infinite differenze che ci vedono schierati ovunque con armi in mano?
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Il Dio pastore che Gesù ci permette di scoprire con sempre maggiore intimità raduna attorno a sé le nazioni e distingue solo in nome del bene, di quel bene talmente abituale nella coscienza da rendere capaci di gentilezza, di attenzione e premura, di sguardi solleciti nell’intuire i bisogni, di una magnanimità gratuita e non misurata.
Perché a fare la differenza non è il bene fatto in nome di Dio, ma il bene fatto in nome dell’altro in quanto altro. Perché è lì, nella gratuità anonima e disinteressata che dimora Dio. E il Vangelo è lapidario in questo. Non usa mezzi termini. Chi pensa di agire in nome di Dio si ritrova dalla parte opposta alle sue logiche e chi crede di non averlo mai visto si riscopre in lui. Paradosso del Re crocifisso. Paradosso dell’Onnipotente ucciso.
Cosa fare allora? Come vivere perché quel giorno ci trovi davvero desti e autenticamente realizzati nel bene?
La nostra via è Cristo, risorto dai morti e nostra primizia. È lui a svelarci ciò che davvero potremmo essere. È lui, il volto di quel Divino pastore che si è lasciato consegnare come agnello immolato per la nostra salvezza. Lui, il Dio fatto carne perché potessimo vedere e percorrere la sua stessa via. Lui la via da percorrere, lui la vita da vivere, lui la forma a cui conformarci, lui la pienezza di umanità che può rendere divino il cosmo.
Per gentile concessione di Sr. Mariangela, dal suo sito cantalavita.com