Siamo chiamati ad essere testimoni del Vangelo nelle piccole cose, a vivere con semplicità e verità profonda la nostra vita, a prendere seriamente il compito che ci viene affidato. Se non siamo impegnati nel realizzare le cose semplici come possiamo aspirare alle cose di Dio?
E proprio questo accade: toccati dalla grazia, dopo avere scoperto l’immensa bellezza del Vangelo, dopo avere vissuto, grazie a una comunità, la tanta luce che riceviamo e che ci conduce a Dio, arde in noi il desiderio della pienezza, della santità. Bello, magnifico, vero.
Siamo pronti a partire per annunciare al mondo il Vangelo, a diventare monaci eremiti sprofondati nella contemplazione, a immolare il nostro corpo nel martirio. Solo che, a conti fatti, fatichiamo a sopportare le colleghe catechiste, manco riusciamo a pregare cinque minuti al giorno e se qualcuno irride la nostra appartenenza a questa scassatissima Chiesa ci offendiamo!
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Ha ragione il Signore: Dio conosce i nostri cuori, li ama, li trasfigura, ci incoraggia, certo, ma a partire dalla quotidianità, facendo piccoli passi possibili (Chiara Corbella). E per chiosare la parabola dell’amministratore disonesto, il Maestro insiste: attenti alla ricchezza perché può ingannarci: promette ciò che non riesce a mantenere: la felicità, la pace del cuore, il senso della vita.
Gesù non è un classista: fra i suoi discepoli accoglie persone povere e persone facoltose e non gioca a fare il pauperista. Ma sa che un cuore ingombro di preoccupazioni, un cuore che accumula, un cuore che non è libero dalla bramosia difficilmente può lasciarsi convertire.
Non è un problema di spessore del portafoglio ma di lacci e lacciuoli, di far diventare dio ciò che Dio non è, di riconoscere gli idoli che si mascherano da buoni propositi e buone intenzioni. Siamo onesti con noi stessi allora, sleghiamo i lacci che ci impediscono di innalzarci verso Dio.
La generosità e l’elemosina ci possono aiutare a diventare liberi per trovare l’essenziale.
FONTE: Amen – La Parola che salva