Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero; lui spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini; umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce: per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome perché ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre (Fil 2, 5-11). È Gesù che pur essendo da primi posti si è scelto l’ultimo, perché lì poteva amare i prediletti del Padre.
Il lievito dei farisei porta all’“avere di più”; riempie l’uomo di possesso e di rapina (possesso e rapina, atteggiamento che poi l’uomo utilizza anche nei confronti dei fratelli e delle sorelle) e lo riduce ad un idropico, che cresce talmente tanto nella sua vanagloria da non poter più passare per la porta stretta.
Nessuno di noi si può salvare, ma tutti veniamo salvati. Tutti eccetto l’orgoglioso che rifiuta la mano tesa perché pretende di farcela da solo.
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Gesù, nuovo sabato, ci guarisce in giorno di sabato dall’idropisia; guarigione che ci porta ad uno spirito nuovo: è lo spirito dell’umiltà contrario a quel bisogno di protagonismo di cui fanno mostra tanti piccoli idropici che cercano i primi posti al banchetto.
Gesù ha scelto l’ultimo posto facendosi servo di tutti, umiliandosi. Suoi amici sono coloro che fanno altrettanto! Siamo esortati, in questa parabola, ad occupare gli ultimi posti, perché sono i posti del Figlio.
Dovremmo leggere come sottofondo a questa parabola il cantico del Magnificat. Veniamo guariti dall’orgoglio del nostro io per vivere di Dio; ci snebbia dai deliri di potenza e ci ripulisce gli occhi. Solo l’umile dà gloria a Dio e riceve da lui gloria. Il superbo invece dà gloria all’io e resiste a Dio. L’umiltà è la verità dell’uomo, humus che Dio ha illuminato della sua gloria, ma è anche la verità di Dio che, essendo amore, non può essere superbo.
Potremmo dire che l’umile conosce Dio con naturalità. L’umile è colui che non ricerca la vanità, l’apparenza, ma il centro stesso del nostro vivere e della nostra esistenza. L’umiltà e la vanità sono due atteggiamenti che coinvolgono tutta la nostra esistenza e la orientano o da una parte o dall’altra. Non è la stessa cosa che noi andiamo incontro al quotidiano con umiltà o con vanità; con un atteggiamento che richiede la salvezza da parte di qualcun altro, con un atteggiamento di auto sufficienza; con un atteggiamento di affetto verso l’altro oppure con uno di sfruttamento dell’altro. Questi atteggiamenti noi abbiamo la pretesa di inscatolarli, cioè di usarli solo quando ne abbiamo bisogno. Ma è una illusione: noi pensiamo di essere duri, o vanitosi o autosufficienti ad esempio solo sul lavoro credendo poi di potere esser diversi a casa. È una illusione: ogni momento della nostra vita che noi viviamo ci educa e ci fa crescere in un modo o nell’altro. La nostra vita non è fatta a cassetti che possiamo aprire a piacimento. Se siamo violenti sul lavoro lo saremo anche in famiglia; se la vanità ci attanaglia nel rapporto con gli altri saremo vanitosi anche con la moglie e il marito; se siamo orgogliosi nell’ambito sociale lo saremo anche con gli amici.
Un cuore buono non lo si improvvisa: o lo vivi o non lo vivi, o lo hai o non lo hai, o lo sei o non lo sei.
Un cuore umile prega per il nemico, uno orgoglioso parla male di lui; un cuore umile sa anche fare un gesto di bontà e di gentilezza con gratuità lasciando l’altro libero di accoglierlo oppure no, lo butta lì e va via, un cuore orgoglioso non si abbassa a queste cose; un cuore umile non cerca il male dell’altro anche se sente dentro spesso l’aggressività nei suoi confronti, l’orgoglioso butta continuamente sull’altro la sua rabbia; un cuore umile chiede a Dio di convertirlo al suo amore, l’orgoglioso sa lui quello che va fatto in ogni momento non ha bisogno di consigli.
Il cuore umile sta umile e sceglie l’ultimo posto, un cuore orgoglioso ed esaltato si auto-esalta e sceglie i primi posti.
Non si tratta di essere falsi, si tratta invece di essere persone che cercano la verità della loro stessa identità, che ricercano il volto di Dio nel profondo del proprio intimo, che riconoscono che il volto di Dio dentro di sé non è così chiaro e limpido.
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