p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 29 Ottobre 2023

✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 22,15-21

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Le parole non bastano

Nella vita abbiamo tanti progetti, aspirazioni e sogni, ma a un certo punto ci accorgiamo che nell’imbarazzo della scelta non ne abbiamo realizzato nessuno. Succede anche nelle relazioni, dove magari facciamo tante promesse, dove forse siamo anche animati da buone intenzioni per esprimere il nostro affetto, ma alla fine, presi da tante urgenze, ci accorgiamo di non aver fatto nulla. Viviamo spesso di rimpianti per tutte le cose belle, buone o importanti che non abbiamo fatto.

Alla fine del libretto degli Esercizi spirituali, Ignazio di Loyola, in una delle due osservazioni che introducono la Contemplatio ad amorem, scrive che «l’amore è da porre più nei fatti che nelle parole». Lo sanno bene gli innamorati, che a fronte di numerose e intense parole affettuose, spesso vedono infrangersi il loro amore sugli scogli della realtà, dove si può scivolare e farsi male.

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L’imbarazzo della scelta

La domanda del dottore della Legge, in questa pagina del Vangelo, fa leva proprio sulla difficoltà di fare sintesi: cosa sceglierà Gesù? Quale sarà per lui il criterio da seguire per essere felici, quella condizione che per un ebreo coincide con l’obbedienza piena alla Legge del Signore? Come si può obbedire a tutta la Legge? Ma se non si può obbedire a tutta la Legge, allora vuol dire che non si può mai arrivare a essere felici.

Quando uno sceglie, esclude sempre qualcos’altro. Il dottore della Legge vorrebbe costringere Gesù nella situazione dell’asino di Buridano, che non sapendo decidere in quale sacco di biada mangiare, alla fine muore di fame.

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Il dottore della Legge vuole forse trovare una giustificazione alle sue frustrazioni, cioè alla sua personale incapacità di obbedire a tutto quello che la Legge prevedeva. La Legge infatti comprendeva molti precetti e tutti sembravano ugualmente importanti. È appunto quella situazione che si presenta anche nella nostra vita: tutto ci sembra importante e urgente e così finiamo per rimanere bloccati, incapaci di trovare un punto di partenza.

Una chiave

Gesù invece ha le idee chiare e riparte proprio dalla Legge: c’è una parola infatti che rappresenta la chiave per comprendere tutto il resto, c’è un fondamento, un punto di partenza. Gesù trova questa chiave in Dt 6,4-9 ovvero la preghiera dello Shema (ascolta!) che ogni ebreo recita due volte al giorno. Una preghiera che al contempo è anche un comando, come se dicessimo: fa’, o Signore, che io sia capace di compiere quello che tu desideri da me!

Il grande comandamento dunque è l’amore: possiamo fare tante chiacchiere, possiamo raggiungere tanti obiettivi, possiamo fare anche tante cose buone, ma se non c’è l’amore per Dio, abbiamo sprecato il nostro tempo e non arriveremo a essere veramente felici.

L’amore per Dio

Sì, l’amore per Dio, perché questo amore mi decentra, mi solleva dal ripiegamento su di me. L’amore per Dio mi ricorda innanzitutto che non sono io il fondamento della mia vita: questa vita l’ho ricevuta e sono chiamato ogni giorno a riconsegnarla. Io non mi do la vita, ma la ricevo come dono.

Amare Dio vuol dire anche ritrovarmi come persona: a lui appartiene tutto ciò che sono. Per questo Egli mi chiede di amarlo con tutto il mio essere: cuore, anima, mente. Il cuore è il centro della persona, dove sentimenti e pensieri si incontrano, proprio cioè dove anima e mente trovano la loro sintesi. L’anima è il luogo dei bisogni, dei desideri e quindi dei sentimenti, la mia affettività. La mente è il luogo dei pensieri.

Sappiamo bene come possa essere lacerante quando questi aspetti della nostra vita non sono in armonia, quando pur riconoscendo che qualcosa è sbagliato, non riusciamo a fare a meno di desiderarlo. L’amore per Dio lo riconosciamo quando ci sentiamo centrati, quando sentiamo interiormente di essere laddove avremmo voluto essere. Non si può amare Dio ed essere divisi.

Amore totale

Sebbene il dottore della Legge abbia chiesto a Gesù solo quale sia il grande comandamento, Gesù ritiene che l’amore per Dio sia non solo il grande comandamento, ma anche il primo, cioè da esso, inevitabilmente, ne scaturisce un altro, che non è solo amore per il prossimo, ma un appello innanzitutto ad amare me stesso.

Sì, perché se non mi amo, se non amo alcuni aspetti di me, se non accolgo anche le mie ferite e i miei lati oscuri, se non accetto la mia storia, difficilmente sarò proteso serenamente verso un’altra persona. Se non amo me stesso, tenderò a odiare negli altri quello che non apprezzo in me. Se non mi amo come sono, tenderò a invidiare quello che negli altri mi ricorda la mia povertà.

Come dunque sono chiamato ad amare me nella mia totalità, quella stessa totalità con cui prima desideravo amare Dio, così adesso sono chiamato ad amare l’altro così com’è, con i suoi difetti, le sue fragilità, le sue ombre. Allora potremmo dire di amare veramente. Le parole di Gesù sono inequivocabilmente un appello alla totalità: non esiste l’amore a metà, l’amore parziale, l’amore a ore alterne.

E saperlo non basta: il dottore della Legge conosceva già tutte queste parole, eppure non le viveva. Così, tante volte anche noi, pretendiamo di sapere Dio, di conoscerlo, eppure non lo amiamo. E dunque non siamo felici. Conoscere qualcosa su Dio e amarlo non sono la stessa cosa: l’amore si vede nei fatti, non nelle intenzioni.

Leggersi dentro

  • Dove si vede nella tua vita il tuo amore per Dio?
  • Quali aspetti fai più fatica ad amare negli altri?

per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte