Mons. Giovanni D’Ercole – Commento al Vangelo del 15 Ottobre 2023

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  1. ”Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti e raffinati. Asciugherà le lacrime su ogni volto… Questi è il Signore in cui abbiamo sperato…rallegriamoci poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”. Così il profeta Isaia c’introduce oggi nella liturgia di questa 28ma Domenica del Tempo Ordinario, dove a dominare è il tema del banchetto, anzi la festa nuziale del Figlio del Re. Nelle domeniche passate le parabole parlavano della vigna nella quale il padrone aveva mandato i suoi servi prima e poi i suoi figli a lavorare senza però ottenere una risposta sufficiente. Anzi oltre a maltrattare i suoi inviati, questo proprietario, costatata la cattiveria di quanti aveva chiamato a lavorare nella sua proprietà, deve registrare persino l’uccisione del suo unico figlio. Questo racconto dei vignaioli assassini (Mt 21, 33.43) che i capi del popolo, i farisei e i sommi sacerdoti compresero come una spietata critica verso il loro comportamento, ebbe a scatenare lo loro furia e così decisero di eliminare Gesù. Precisa infatti l’evangelista: “capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta (Mt 21,45-46). Di fronte a queste minacce Gesù però, non solo non indietreggia, ma diventa ancor più esplicito, entrando in diretta polemica con le autorità del popolo giudaico, e con le parabole che seguono egli prosegue la denuncia contro i superbi dottori della legge e falsi maestri in Israele, ostili e refrattari all’avvento del regno di Dio.
    Vorrei subito sottolineare la determinazione di Gesù che non si scoraggia e non deflette dinanzi all’ingratitudine e all’opposizione al suo insegnamento; non scende a compromessi per rendere più facile il dialogo. No! Prosegue deciso il suo cammino anche se questo lo condurrà, come immagina, verso l’abbandono di tanti e il tradimento di suoi fedelissimi e il tutto si concluderà con la sua stessa morte. Non si stanca di denunciare il male e l’ingiustizia che vede, e, al tempo stesso, come ha fatto sin dall’inizio, non smette di annunciare la vittoria del bene sul male e la piena realizzazione del progetto di Dio malgrado l’infedeltà degli uomini.
  1. Nell’odierna pagina evangelica Matteo, precisando che il Signore parla ancora ai capi dei sacerdoti e ai farisei, presenta” il regno dei cieli simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio”, non solo un lauto banchetto ma l’insieme dei festeggiamenti previsti in occasione di uno sposalizio solenne. Pieno di gioia manda “i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire”. Essi infatti “non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi a i propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Come in precedenza, a dominare è il rifiuto degli eletti, e ancora una volta le parabole di Gesù pongono l’accento sulla superba chiusura di coloro che pur avendo ascoltato profeti e maestri mantengono la mente e il cuore refrattario all’annuncio della salvezza. La reazione del re è decisa: manda il suo esercito per uccidere gli assassini e dare alle fiamme le loro città.
    La misericordia divina appare anche qui nella sua realtà: è amore divino infinito, non un gioco di parole; un amore paterno che talora si vede costretto a ricorrere anche al castigo come strumento pedagogico per ridestare la coscienza addormentata o l’animo reso dal peccato ribelle dalla grazia divina. Questo duro richiamo del Signore interpella le nostre coscienze. Possiamo infatti interpretare in questa luce gli eventi che nella nostra vita, e nella storia dell’umanità, appaiono misteriosi e quasi una maledizione divina. Dio deve essere veramente paziente nell’accettare le nostre infedeltà se nonostante tutto continua ad occuparsi di noi! Se con sincerità osserviamo la situazione delle nostre famiglie e parrocchie, se consideriamo la nostra personale testimonianza cristiana, notiamo che si prosegue dappertutto a leggere e commentare la parola di Dio, continuano come sempre i riti e le celebrazioni, ma il senso della festa di nozze non sembra averci conquistato per cui tante ragioni e motivi possono facilmente farci rinunciare all’invito del banchetto eucaristico domenicale. L’altro rischio è abituarci al sacro al punto che lo stupore dell’amore divino non conquista più i cuori. In altre parole, questa pagina del vangelo ci spinge a chiederci in verità: “Ma Dio occupa ancora l’assoluto primo posto nella nostra vita?”. Qualsiasi sia la nostra risposta restiamo certi che, come sempre, Dio non si lascia vincere dall’ingratitudine degli uomini, e come il re in questa parabola, anche egli non si stanca di ricominciare a darci fiducia.
  2. In effetti, l re, dopo che indignato ha fatto giustiziare gli assassini, ora invia ancora i suoi servi con quest’ordine: ”La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze”. E i servi, precisa l’evangelista, eseguirono l’ordine del re e riempirono la sala con quanti trovarono “cattivi e buoni”. Come per le parabole precedenti l’invito del re è sempre ampio e generoso, ma c’è qui una differenza da sottolineare. Mentre ai vignaioli veniva domandato i frutti della vigna, cioè qualcosa di dovuto perché era stato loro assegnato un compito e promessa una ricompensa, qui il re estende l’invito a tutti senza condizioni: è libero, un ingresso gratuito per tutti e il pranzo è offerto a chiunque lo voglia. I servi e i vignaioli delle precedenti parabole ricevevano o rifiutavano la ricompensa, cioè qualcosa che era loro dovuto in cambio del lavoro eseguito; qui invece si respinge ciò che il re offre con bontà e magnanimità senza prezzo e senza condizione. Appare pertanto più chiaro il messaggio di Gesù: qui è in gioco la terribile scelta dell’essere umano quando rifiuta l’amore di Dio! Non è questo in effetti l’atteggiamento di tanti contemporanei che pensano di non aver bisogno della salvezza eterna? Non è forse vero che si vive assorbiti da affari e preoccupazioni materiali al punto da ritener perso o inutile il tempo dedicato a Dio? Quando però arrivano eventi funesti o ci si ritrova in situazioni nelle quali tutto ci crolla addosso, c’è chi ritiene e pretende il ricorso disperato a Dio come l’uscita di sicurezza a portata di mano. Un Dio tappabuchi deve rispondere alle nostre pretese ed esigenze: forse non pochi nelle nostre comunità lo percepiscono ancora in questo modo! Per questo è urgente e impegnativo il compito di chiunque voglia essere discepolo di Gesù: per vocazione siamo chiamati a testimoniare con la vita che vivendo lontano da Dio si va incontro alla rovina eterna, e al tempo stesso, la misericordia divina ci invita a non spegnere mai la speranza nel cuore di chiunque. L’odierna parola di Dio ci ricorda che il banchetto nuziale è sempre pronto e il Figlio unigenito di Dio si è incarnato, è morto in croce e prosegue il suo sacrificio in ogni celebrazione eucaristica per il perdono dei peccati e per la salvezza dell’intera umanità.
  3. Nota l’evangelista che la sala era piena di “cattivi e buoni”: cosa vuol dirci Gesù con questa precisazione? Come in altri passaggi evangelici la Chiesa, indicata con tanti simboli tra i quali la rete, la vigna, il campo, la città celeste o il banchetto nuziale, è aperta a tutti senza distinzione. Del resto ce lo ha fatto comprendere quando nella parabola del contadino che scopre nel suo campo buon grano insieme alla zizzania, ha precisato che occorre lasciar crescere insieme il grano e la zizzania senza pretendere di estirparla perché si rischierebbe di danneggiare anche il buon grano. Ma questo fa capire che essere invitati e chiamati al banchetto, essere entrati nella sala per fare festa non significa ancora la salvezza definitiva. Non basta entrare nella Chiesa o dirsi cristiani per gustare la gioia promessa del regno dei cieli, definizione questa tipica dell’evangelista Matteo! Fin dall’inizio, nelle comunità cristiane si precisava che è meglio essere cristiani senza proclamarlo che proclamarsi tali senza esserlo. Succede infatti che il re, entrando in sala, percepisce un invitato senza l’abito nuziale e lo caccia via a malo modo “fuori nelle tenebre”. Era ben vestito pertanto, ma gli mancava l’abito nuziale. Anche qui le interpretazioni sono molteplici, come sempre quando si tratta della simbologia biblica. Mi fermo a sottolineare che quest’invitato è in sala come tutti, cioè appartiene materialmente alla Chiesa, ma gli manca di lasciarsi impregnare dall’amore di Dio sì da poter, vivificato dalla sua grazia, essere disposto e pronto ad amare e perdonare i fratelli. La sua fede non è accompagnata dalle opere dello Spirito come san Paolo insegna nella lettera ai galati (5, 13-24). Si dice discepolo di Cristo ma il suo cuore non è tutto di Cristo e per Lui. Una provocazione che c’invita a riflettere seriamente sul nostro battesimo; ci esorta a pregare e a rinnovare l’impegno costante della conversione del cuore, consapevolii, come scrive l’apostolo nell’odierna seconda lettura tratta dalla lettera ai Filippesi, che tutto possiamo in colui che ci dà la forza” (cf.4,12-14).
  4. Faccio mia e la propongo anche a voi questa preghiera di sant’Agostino tratta dal discorso -sermo -122,8. “Aiutami Signore, a togliere di mezzo le vane e cattive scuse e fa’ che venga alla cena che mi deve nutrire interiormente. Non mi trattenga altezzosità di superbia: no, non mi renda la superbia altezzoso; neppure mi arresti curiosità illecita, allontanandomi da te; non mi impedisca il diletto carnale di gustare il diletto spirituale. Fa’ che io mi accosti e m’impingui. E chi venne (al tuo banchetto) se non i mendichi, i deboli, gli zoppi, i ciechi? Non vennero invece i ricchi, i sani, coloro che si credevano di camminare bene e di avere vista acuta: uomini molto presuntuosi di sé e quindi tanto più miserabili quanto più superbi.
    Mi accosterò quale mendico, perché m’inviti tu che da ricco ti sei fatto povero per me, affinché la tua povertà arricchisse la mia mendicità. Mi accosterò come debole, perché non hanno bisogno del medico i sani ma gli infermi. Mi accosterò come storpio e ti dirò: “Reggi tu i miei passi nei tuoi sentieri”. Mi accosterò quale cieco e ti dirò: “Illumina i miei occhi, affinché io non dorma giammai sonno di morte”.

AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina FacebookSito Web