Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 15 Ottobre 2023

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Anche no, grazie

Preparo il commento al vangelo la domenica sera. 

Mi ritaglio un tempo di riflessione e di preghiera che mi proietta alla domenica successiva, una sorta di post-it della mia vita interiore per fecondare la settimana. Ci provo, almeno, in questa mia vita ogni giorno più fragile.

Ho appena letto i quotidiani on-line, soprattutto nella parte, per me straziante, che descrive gli scandali della Chiesa e quella, per me incomprensibile, di chi ha adottato lo stile del mondo per sparlare pubblicamente del Papa e dei vescovi accusati di distruggere la Chiesa. Come se, sul serio!, potessimo distruggere la Chiesa!  Provo disagio, lo confesso. Anche un senso di nausea. 

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Non voglio entrare nello specifico: non ho gli strumenti per capire fino in fondo la situazione (chi li ha?), e le poche informazioni fornite sono interpretate nella linea di pensiero del giornalista che le riporta, lo so bene. 

Ma il disagio rimane. Come se qualcuno parlasse male di mia madre e mi invitasse a prendere le distanze solo perché ha un vestito fuori moda (leggetevi Il santo, di Antonio Fogazzaro).

No, non è questa la Chiesa che ho conosciuto. Non così, almeno.

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Non è questa la Chiesa che mi ha accolto e amato. E che accolgo e amo.

Santa e in continua riforma. Santa perché del Santo. Peccatrice perché fatta da discepoli scarsi come me.

Siamo peccatori, lo so. Tutti.

E ne siamo consapevoli. Ma non a sufficienza.

E se tutto quello che sta succedendo, dal Covid in avanti, ma anche prima, fosse lo sgambetto che lo Spirito ci sta facendo per fermarci e capire cosa stiamo facendo? E se – sul serio – ci stesse sfuggendo qualcosa di grandioso che, pure, è sotto gli occhi di tutti?

Ho bisogno urgente e inappellabile di Profezia.

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Un re che chiama

Il Dio che Gesù è venuto a rivelare è un re che invita a nozze.

Non costringe, non obbliga, non intima. Propone.

E non propone solo di andare a lavorare nella vigna per cambiare il mondo insieme a lui, no. 

Propone di partecipare ad una bella festa, ad un banchetto elegante, ad una cena che lungamente abbiamo sognato.

Così è Dio. Non quello piccino della nostra testa, quello severo delle nostre paure, quello intransigente delle nostre ristrette visioni inutilmente moralistiche. 

Un Dio che fa festa. Un Dio che ama la compagnia, che la cerca, che mi invita.

Invita me, perché non è egoista come sappiamo essere noi, non narcisista e diffidente.

Dio è uno spettacolo di luce e di vita e mi chiede, mi propone nell’assoluta libertà, di partecipare alla sua vita ma anche di condividere la sua gioia. Un Dio felice che mi vuole felice.

E i servi vanno, invitano, insistono.

Noi servi, noi discepoli che già abbiamo conosciuto l’immensa bellezza di Dio.

Matteo, ci spiegano gli esegeti, parla dei discepoli che cercano di evangelizzare i fratelli giudei.

Come sono belli sui monti piedi di chi parla di Dio!

Solo che.

Ahia

Grandioso, direte voi.

In teoria. In pratica Dio si riceve un solenne e condiviso: no, grazie.

Abbiamo delle cose da fare. Vero, certo. Cose urgenti, necessarie, importanti.

Ma sempre e solo delle cose. Materia, impegno, lavoro, sudore.

Cose.

Che riempiono ogni spazio, che occupano la mente, che spengono l’anima e il desiderio.

Peggio: che la uccidono.

Non sono malvagi coloro che rifiutano.

Sono solo troppo impegnati per diventare felici. Si illudono di trovare la felicità dopo avere finito le cose da fare. Come se la felicità potesse aspettare. Come se dipendesse dalle cose.

Eppure basta poco. Accogliere l’invito, andare.

Vedere quanta gioia, verità, bellezza, abitano in Dio, e come la nostra vita, comunque sia, possa fiorire. Tutto il Vangelo consiste in un vieni e vedi.

Cosa abbiamo di meglio da fare, oggi, dell’essere felici?

Accampiamo scuse.

Problemi, dolore, a volte addirittura attribuito a Dio, ostacoli. 

Macché: se non siamo felici oggi, non lo saremo mai.

Così la comunità di Matteo sperimenta il rifiuto e interpreta la catastrofe della distruzione del tempio come la conseguenza di tale rifiuto. Non il gesto stizzito di Dio, ma la deriva di un mondo, allora come, oggi, che pensa di bastare a se stesso.

Parte del popolo di Israele ha rifiutato l’invito, allora Dio si volge agli scappati di casa, ai reietti, a noi, per entrare al banchetto. Solo che.

L’abito

Una sola cosa serve: l’abito. Un abito adatto, confacente. 

Richiesta assurda, all’apparenza: al rifiuto degli invitati il re spinge ad entrare cattivi e buoni, mendicanti e poveri. Come pretendere da loro un abito nuziale?

Noi, oggi, sappiamo che l’invito di Dio è rivolto a tutti, anche a chi non ne è degno, anche ai peccatori. Nessuna selezione di bravi cristiani per far parte della festa.

Ma l’abito sì. Certo.

Un riferimento alla veste battesimale, alla nostra dignità, a diventare ciò che siamo.

Perché oggi la Chiesa ha bisogno di cristiani, non di preti. O di preti cristiani.

Per portare il Vangelo nel mondo, non per spingere il mondo nelle chiese.

Il re è un padre, è buono, non è un bonaccione, un inutile Babbo Natale.

Ci ama seriamente, con gioia, ma non si fa prendere in giro.

Possiamo drammaticamente rifiutare la gioia. Ma anche fingere e non essere disposti a crescere, a fiorire, a convertirci. A fare i cristiani a traino. Innocui e inutili.

La conseguenza, allora, sarà quella di essere per sempre legati alla nostra minuscola visione della vita ed abitare nelle tenebre.

Forse

Allora questa Parola mi aiuta, mi spinge, mi scuote, mi inquieta.

Forse è rivolta a me. Forse sono proprio io a rifiutare la logica della festa. Anche se discepolo da lungo corso. Anche se catechista o prete o cardinale. Forse davvero dobbiamo smetterla di pensare che queste parabole siano per gli altri.

Io, Paolo, posso rifiutarmi di partecipare alla festa di Dio. O convertirmi.

Perché Dio continua ad invitare, dice Isaia. E se chi doveva partecipare non c’è, pazienza.

Voglio esserci. E vivere con verità e dignità il mio battesimo. Per diventare io evangelizzatore dove sono.

Perché anch’io, come san Paolo, ho sperimentato che tutto posso in colui che mi da’ la forza.

Anche di vivere questo tempo di scelta e di setaccio.

Ecco.

Cosa abbiamo di meglio da fare oggi che non essere felici?

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Mt 22, 1-14 | Paolo Curtaz 18 kB 15 downloads

Ventottesima domenica durante l’anno – Is 25,6-10/ Fil 4,12-20/ Mt 22,1-14 …

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